di Luis Gutierrez
Nell'allestimento in stile Broadway di Bartlett Sher dell'opera incompiuta di Offenbach si impone Laurent Naouri con le sue quattro incarnazioni demoniache. Degne di lode anche l'Olympia di Audrey Luna e la Giulietta di Susanna Phillips.
NEW YORK, 28 febbraio 2015 - L'attuale allestimento dei Contes d'Hoffmann esordì ormai quasi sei anni fa, e non mi ha fatto dimenticare quella precedente di Otto Schenk. Bartlett Sher è diventato il regista di punta della gestione Gelb e non ho idea del motivo. In questa occasione fa ampiamente ricorso alla sua esperienza di regista a Broadway, probabilmente per nostalgia nei tempi in cui le sue qualità erano meglio messe a frutto.
La presenza di ballerine, alcune che simulavano nudità – fossero stati almeno veri nudi l'effetto sarebbe stato diverso –, così come l'apparizione quasi permanente di ragazze camuffate da Olympia facevano sì che questi racconti finissero per essere anodini. Alla fine, la produzione è stata proposta un mese fa in LIVEHD e suppongo che moltissimi in tutto il mondo abbiano potuto vederla a farsene un'opinione personale. A me non piace.
Come è ben noto, Offenbach lasciò incompiuta la sua opera e morendo prima del debutto. Esistono dunque varie opzioni per la sua interpretazione; in questa occasione si utilizza l'edizione di Fritz Oeser, che molti considerano la più vicina alle intenzioni del compositore. L'ordine degli atti è quello che oggi si usa in quasi tutti i teatri: Olympia, Antonia e Giulietta.
In questa stagione lo spettacolo è andato in scena con due compagnie completamente distinte. Con questa recita ha avuto inizio il ciclo diretto da James Levine. Un dato positivo, date la sua conoscenza dell'opera e la sua musicalità, benché le recite che dirige arrivino a essere assai lunghe a causa dei tempi che decide di staccare: la recita è durata quattro ore, intervalli inclusi. Decisamente più del normale.
Matthew Polenzani è l'Hoffmann della serata. Polenzani è un tenore eccellente, anche se il suo rapporto con il Met lo ha portato a interpretare una grande varietà di ruoli in molte opere e pochissimo tempo, sì che il suo canto si sia fatto generico – l'ho visto in trentaquattro occasioni e venti ruoli diversi, da Don Ottavio fino al Chevalier de la Force, passando per lo Iopas di Berlioz e il David di Wagner. È garanzia di una buona serata, ma anche di una recita poco emozionante, come è stato in questo caso. La sua nemesi, il diavolo travestito da Lindorf, Coppélius, Doctor Miracle e Dapertutto, è personificato dal basso-baritono Laurent Naouri che, oltre a esser francofono in un'opera tipicamente francese, si trova in eccellente forma vocale, specialmente come Dapertutto nel cantare un brillante “Scintille, diamant!” – si perdoni la ridondanza – che si sviluppa nel pieno registro di baritono. L'attore non è meno convincente, con una menzione particolare per l'atto di Antonia, nel quale gode della propria malvagità. Karine Deshayes, pure francese, interpreta la Musa e Nicklausse, l'amico di Hoffmann che in questa produzione diviene inspiegabilmente aiutante delle quattro incarnazioni demoniache. A mia opinione, la sua prova vocale non è stata troppo buona in assoluto, ma anche nella recitazione è stata segnata dalle "idee" di Sher. Nel momento in cui scrivo sento un brivido di paura al rendermi conto che il signor Bartlett dirigerá l'Otello inaugurale della prossima stagione. Brrr!
Audrey Luna come Olympia dimostra un dominio assoluto della coloratura. Il suo timbro è molto gradevole anche quando arriva a quello che credo sia un sol sovracuto. Stupenda nei panni dell'automa, è parsa molto simpatica nel ringraziare meccanicamente l'applauso del pubblico al termine di “Les oiseaux dans la charmille”. Susanna Phillips è un'appassionata Antonia che supera molto bene le difficoltà di “Elle a fuit”, morendo “autenticamente” sul finale.
Il mezzosoprano, quasi contralto, Elena Maximova è Giulietta. La sua voce è potente ma non troppo bella, a mio giudizio, e la Barcarolle manca di quella magia che attendo dall'inizio dell'opera.
Solo in una occasione ho udito una cantante sola affrontare le tre eroine. Anche se l'impegno è piuttosto pesante, il fatto di avere una Giulietta soprano sortisce l'effetto migliore nella Barcarolle. Cosa avrebbe voluto Offenbach? Una o tre cantanti? Un mezzo o un soprano come Giulietta? Non lo sappiamo, purtroppo.
La moltitudine dei personaggi secondari è resa correttamente. Continuo a desiderare quattro servitori francofoni, ma son peccati veniali.
In definitiva, un vilain fuoriclasse, come Olympia e Antonia. Un Hoffmann generico e una Giulietta carente. Un Levine che ha esplorato tutti i dettagli della partitura ma che, una volta di più, fa sì che le opere durino molto più di quanto sarebbe opportuno.