di Andrea R. G. Pedrotti
A Verona va in scena Il barbiere di Siviglia in una spiritosa versione che mescola l'animazione all'azione teatrale. Non tutto sempre funziona alla perfezione, ma l'idea è gustosa e il cast si segnala per alcuni elementi di indubbio rilievo, come Annalisa Stroppa, Edgardo Rocha e Omar Montanari.
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Verona, 12 aprile 2015 - Ultimo titolo operistico al Teatro Filarmonico di Verona, prima della stagione estiva, quel Barbiere di Siviglia che ritroveremo anche in Arena il prossimo agosto.
Pier Francesco Maestrini ha ideato una messa in scena estremamente originale, adatta a mantener giovane un titolo che, prima della cosiddetta Rossini renaissance, ha sempre contato moltissime rappresentazioni: l'opera è vista come una sorta di cartone animano e, ovviamente, tutta la produzione non sarebbe stata possibile senza la preziosa collaborazione di un maestro dell'animazione come Joshua Held.
L'idea è senz'ombra di dubbio molto bella, ma di difficile realizzazione e siamo convinti che alcuni meccanismi che hanno, talvolta, scricchiolato non avranno alcun inconveniente nelle repliche, poiché a un crescendo di equilibri abbiamo assistito anche nel corso della recita stessa.
La scena non è quasi presente, costituita da un unico telo per le proiezioni e dal minimo indispensabile per quanto riguarda gli scarni elementi d'arredo. Tutti i personaggi vogliono ricordare l'icona di un tondeggiante Gioachino Rossini, apparendo più come figure di Botero che non come i classici protagonisti dell'opera del pesarese. Unico difetto che si può imputare all'impostazione registica è un abuso per tutta la metà del primo atto di effetti sonori piuttosto fastidiosi, specialmente quando si scontravano con la musica durante il duetto fra Figaro e Almaviva “All'idea di quel metallo” e, soprattutto, durante la cavatina di Rosina “Una voce poco fa”. Riteniamo che questo sfasamento fosse dovuto a una sincronizzazione ancora perfettibile, poiché, nel prosieguo dell'opera, l'inconveniente veniva meno; infatti tutti gli effetti sonori erano inseriti nelle pause. Unico errore che, purtroppo, ha minato l'equilibrio drammaturgico dell'opera è stato un finto applauso nel cartone animato, dopo che Lindoro si è disvelato a Rosina, come il Conte d'Almaviva; forse sarebbe stato necessario fermarsi un istante in più, per non coprire la frase della giovane pupilla di Bartolo “Ah qual colpo inaspettato”.
Il principio è comunque scoppiettante, con tanto di una citazione storica, cioé lo smarrimento della musica originale della sinfonia di Il Barbiere di Siviglia, con il direttore d'orchestra a lamentarsi di questa mancanza, pronto a invitare Gioachino Rossini (sotto forma di proiezione animata) a comporla nel più breve tempo possibile. L'ouverture è immaginata come una sigla dei bei tempi di carosello, con titolo di testa a ricordarci l'intera locandina. Il seguito è tanto complesso da descrivere quanto semplice da vedere: i cartoni paiono rappresentare il pensiero dei protagonisti, ovviamente in chiave ironica, ma anche estremamente macabra nei suoi richiami alla morte e alla vecchiaia - ci riferiamo particolarmente all'aria di Berta “Il vecchiotto cerca moglie” e alla presenza di cupi avvoltoi o scheletri incappucciati. Spesso i cantanti si trovano soli sul palco, accompagnati unicamente dallo schermo dove vengono proiettati i disegni degli altri protagonisti, che, normalmente, partecipano all'azione. Tutto ruota nella chiave dell'assurdo e del disordine ordinato con gli interpreti a saltar fuori dal telo, assumendo la terza dimensione, o con i soli a doppiare se stessi nella bidimensionalità trasfigurata, e vagamente espressionista, che stava sul fondo della scena. Sicuramente il momento più risuscito risulta il finale primo, con i cantanti opportunamente schierati nel concertato innanzi a tutta la confusione e al disordine mentale che venivano proiettati con effetti quasi ipnotici. Come anche nella produzione areniana firmata da Hugo De Ana, l'attimo più bello in assoluto è la danza che i cantanti compiono durante lo “Zitti, zitti, piano, piano”. Evidentemente è un terzetto che stimola particolarmente la fantasia coreutica dei registi che si avvicendano alla Fondazione veronese.
Meritatissima ovazione quando, sullo schermo, appaiono varii mostri sacri del panorama operistico e musicale in genere, fra i quali fa la sua comparsa la caricatura di Giovanni Allevi, cacciato malamente dagli interpreti e da tutto il coro con un fitto lancio di pomodori.
Di ottimo livello la compagnia di canto, con il convincente Conte d'Almaviva di Edgardo Rocha: il tenore non ha sicuramente una voce possente, ma è dotato di squillo sicuro, il fraseggio è espressivo, ricco di sfumature e mezze voci. Un grande miglioramento, rispetto a qualche anno or sono, probabilmente dovuto anche alla vicinanza con artisti del calibro di una raffinatissima musicologa come Cecilia Bartoli. Al termine risulterà l'interprete più applaudito della compagnia, con un'autentica ovazione dopo il rondò, connotato - come detto - da un'attenta cura degli accenti. Peccato solo lo spostamento di alcune agilità dalla “u” alla “e”, nella frase “di tanta crudeltà”. Omar Montanari è un Bartolo giovane e interessante: il personaggio è ben interpretato, domando senza patimento alcuno la scrittura musicale emettendo in luce un sillabato rimarchevole. Anzi, riesce a restituire al pubblico veronese un “medico barbogio” che ascolteremo con gran piacere per molti anni a venire.
Migliore del cast è, a nostro avviso, Annalisa Stroppa, come Rosina. Il mezzosporano bresciano ha una voce estremamente adatta al suolo, è vocalmente sicura e scenicamente disinvolta. Perfettamente in linea con le esigenze registiche di Maestrini, al pari di Montanari è sicuramente cantante che riascolteremo molto volentieri in futuro, in ruoli sia seri, sia buffi.
Christian Senn è un buon Figaro, forse privo di una certa brillantezza in acuto, ma dizione e fraseggio sono appropriati; il colore vocale è molto bello e lo strumento è controllato con sicurezza.
Un gradino sotto i colleghi il Basilio di Marco Vinco, che non trova in Rossini sicuramente il suo terreno d'elezione, tratteggiando un maestro di musica sufficiente, ma piuttosto anonimo. Irene Favro è una Berta notevolmente caratterizzata: buona comprimaria e attrice partecipe alle vicende. Infine Salvatore Grigoli era Fiorello e Un ufficiale. Ci piace ricordare che la comparsa che interpretava il notaro era l'unico personaggio, a eccezione dei coristi, a non mettere in mostra una possente fascia adiposa addominale.
La direzione di Stefano Montanari risulterebbe pienamente convincente (specialmente nella sinfonia), se non fosse per un fastidioso e soverchiante clavicembalo (non un fortepiano) suonato con troppo impeto a sostenere la linea del basso nei numeri musicali. A parte questo, le dinamiche sono corrette e il fraseggio musicale di buon livello. Considerato che l'orchestra della Fondazione è capace di prove maiuscole con direttori del calibro di Wellber, Carminati, Bignamini, o Marco Armiliato, ma perde spesso gli equilibri con colleghi meno abili, non possiamo che lodare il maestro Montanari, per il perfetto amalgama delle sezioni. Come sempre di qualità assoluto e indiscutibile il coro dell'Arena, guidato con precisione, ancora una volta, da Vito Lombardi.
I costumi, in linea con l'idea generale, erano curati dallo stesso Pier Francesco Maestrini.
foto Ennevi