di Gustavo Gabriel Otero
Freddezza ed esagerazioni sono la zavorra di un protagonista incostante, Mickael Spadacini, e della messa in scena di Hugo De Ana. Resta una grande artista come Anna Caterina Antonacci, cui è difficile esprimere il meglio di sé e che speriamo di applaudire ancora quanto prima in Argentina.
Buenos Aires, 14/04/2015. Debutto accidentato per la stagione 2015 del Teatro Colón di Buenos Aires, con il naufragio del progetto dei Troyens di Berlioz e la sostituzione con Werther si è assommata - senza maggiori notizie conosciute - della pertecipazione di Ramón Vargas come protagonisa.
Ne è risultato un Werther che evidentemente non resterà nei memoriali del Teatro Colón a causa di un protagonista incostante, di un allestimento magniloquente e vacuo, di una versione, in linea generale, fredda e poco comunicativa.
Il giovane tenore belga Mickael Spadacini potrà forse avere quasi tutte le note per cantare il personaggio di Werther, ma non è Werther in alcun modo. Il suo canto è irregolare e fuori dallo stile francese, la sua interpretazione vocale siassimila piuttosto al verismo italiano, mentre il portamento attoriale è quello di un giovane afflitto da marcato isterismo. Nei primi due atti ha cantato il testo senza alcuna intenzione, mentre negli ultimi due ha cercato di compromettersi un po' di più. Possiede, evidentemente, buon materiale e volume e forse maturerà adeguatamente in futuro.
Anna Caterina Antonacci è stata una Charlotte affidabile che non ha potuto entrare in giusta sintonia con il suo amato Werther. Adeguata nei primi due atti e nei momenti solistici del terzo, soprattutto in ‘Va! Laisse couler mes larmes’ e molto efficace nel finale: si tratta sempre di una grande artista e speriamo che torni presto sulle scene argentine.
Il personaggio della serata è stata il soprano di Rosario Jaquelina Livieri nel breve ruolo di Sophie che ha incarnato con omogeneità di registri, linea di canto pura, emissione limpida e raggiante. Hernán Iturralde è stato un correttoAlbert mentre il russo Alexander Vassiliev non ha sfigurato come Le Bailli. Perfetti Santiago Bürgi (Schmidt) e Fernando Grassi (Johann), ben assortiti gli altri comprimari; buono anche il rendimento del Coro di voci bianche e dei sei piccoli solisti preparati da César Bustamente.
La scenografia firmata da Hugo de Ana consiste in una medesima cornice per i primi tre atti, con una grande struttura metallica con tubi in vista e pannelli di vetrate che ricordano un giardino d'inverno. Dietro si vedono enormi sculture. Nell'ultimo atto la struttura vitrea scompare e si vede la camera di Werther, le sculture che stavano sul fondo ora simulano un cimitero. Una cornice attraente, ma anche magniloquente e fredda. I costumi, corretti, si collocavano come la scena all'epoca di Massenet. Il lavoro sugli attori, sempre a cura di Hugo de Ana, risultava di routine con il punto più debole nel protagonista, permanentemente sull'orlo dell'esagerazione e reso con violenza. Routine anche per le luci, completate da proiezioni di frammenti del romanzo originale, nella grafia dell'autore.
L'orchestra stabile sotto la direzione di Ira Levin ha svolto un buon lavoro, benché mancasse un po' di poesia e a tratti non si è trovato il giusto euilibrio fra buca e scena. La lettura musicale, così, non è risultata particolarmente brillante, ma, comunque, corretta.
Prensa Teatro Colón/Máximo Parpagnoli e Arnaldo Colombaroli cortesia Teatro Colon