di Pietro Gandetto
Grande successo al Teatro alla Scala per la prima assoluta di CO₂: l’opera ecologica che fa riflettere.
Milano, 19 maggio 2015 - La nuova opera CO₂ - commissionata dal Teatro alla Scala nel 2007 al compositore Giorgio Battistelli - ha debuttato sabato 16 maggio 2015 in prima assoluta mondiale; ispirata al libro An Inconvenient Truth dell’ex vicepresidente americano Al Gore, con la regia del raffinatissimo Robert Carsen e il libretto di Ian Burton, vede sul podio il trentacinquenne direttore tedesco Cornelius Meister.
Si dice spesso che il mondo dell’opera lirica sia un po’ “incrostato” dal tempo, alludendo al fatto che la maggior parte dei titoli rappresentati nei templi sacri del melodramma risalga a un periodo circoscritto fra il ‘600 e la prima metà del ‘900 e che manchino, quindi, i lavori contemporanei. Così non è. Quanto meno al Teatro alla Scala. E CO₂ ne è la prova: un’opera di oggi che dimostra come il teatro sia anche uno specchio in cui il futuro, prima di esistere, si riflette.
Un’opera che affronta in modo innovativo, ma con rimandi a miti classici, alcune delle questioni ecologiche attualmente più dibattute e trattate in EXPO 2015: gli eccesivi consumi energetici, il surriscaldamento globale e l'estinzione delle specie animali. Un’opera che in un certo senso, per usare le parole dello stesso Giorgio Battistelli, parla anche di Amore: “l’amore tra l’Uomo e la Terra”. Tutte queste tematiche universali e apolitiche vengono sviluppate in un linguaggio sicuramento inedito, quello dell’opera lirica, con il vantaggio di offrire al pubblico un punto di osservazione e una chiave di lettura nuovi e privilegiati. Il tutto sorretto da una musica e un allestimento davvero interessanti.
La musica
Con la partitura di CO₂, Battistelli ha dato vita a una musica “addensante” come il brodo primordiale del big bang, che viene rappresentato nella scena della creazione, capace di catalizzare l’attenzione del pubblico e di creare un’atmosfera fortemente evocativa. L’impatto emotivo che questa musica è in grado di suscitare è, per un pubblico attento, assolutamente straordinario: pur trattandosi di una composizione a tratti “difficile”, è al contempo coinvolgente grazie alla bellezza delle melodie e all’energia che la percorre. Ritmi incalzanti, evocazioni di canti mistici della tradizione orientale, motivi ieratici come quello del tenore all’incipit dell’opera e tappeti di archi che fanno da cornice agli interessanti temi affidati al coro e al coro di voci bianche. Una musica mai solamente concettuale, anche se il lessico è senza dubbio contemporaneo.
Una musica che non “risolve” quasi mai e riesce quindi ad avvincere il pubblico. Circa 90 minuti capaci di suscitare un’angoscia velata e continua, incisiva e mai eccessiva, funzionale alla sensibilizzazione del pubblico verso temi importanti. Armonie che ricordano, a tratti, quelle dei Chichester Psalms di Bernstein, anch’essi capaci di veicolare contenuti di forte impatto emotivo. Sotto il profilo strumentale, ampio l’uso di xilofoni, piatti, percussioni, arpe, archi e strumenti elettronici, in un alternarsi ben amalgamato di momenti di maggior pathos e di altri più intimistici e soavi. Sul piano vocale, ancora compresenza di antico e moderno: arie, declamazioni intonate che ricordano il richiamo del muezzin all'ora della preghiera, recitativi concitati, cori che accompagnano danze apocalittiche e altri momenti vocali più meditativi e spirituali.
L’allestimento
La regia di Robert Carsen e la scenografia di Paul Steinberg sono state davvero gratificanti, visionarie e suggestive. L’idea di una scena composta quasi unicamente dalla cornice dello schermo di un MacBook è tanto semplice quanto originale. Carsen si conferma il regista colto e sensibile di sempre: esteticamente appagante, poetico e vario nonostante la presenza fissa dello schermo durante tutta l’opera.
La scena ha una struttura fissa all’interno della quale si alternano nove distinti quadri incorniciati da un prologo (la scena della creazione) e da un epilogo (la scena dell’apocalisse) e proiettati dall’immaginario climatologo David Adamson che, nel suo emblematico nome, rappresenta l’Uomo. Attraverso le proprie narrazioni, il climatologo tiene un’ideale conferenza sul cambiamento climatico, nella quale riesamina la posizione degli scienziati, discute le implicazioni politiche ed economiche dei problemi climatici e illustra le probabili conseguenze del riscaldamento del pianeta se non si interverrà per ridurre le emissioni di gas serra.
In questo susseguirsi di scene (francamente, un po’ troppo scollegate l’una dall’altra), variegati sono i contenuti proposti: danzatori che ballano con torce di fuoco come particelle del brodo primordiale che ha dato origine alla vita. Filosofi-scienziati che spiegano l’origine del mondo e discutono con arcangeli che scendono dal cielo. Il cartellone di un aeroporto colpito da uno sciopero dei controllori di volo provoca il panico dei viaggiatori e diventa occasione di denuncia dell’inquinamento dovuto al traffico aereo. La Conferenza COP3, dove i rappresentanti dei paesi aderenti al Protocollo di Kyoto litigano sulle tematiche ambientali. Un coloratissimo supermercato “almodovariano” in cui casalinghe di sesso femminile e maschile en travesti acquistano freneticamente prodotti esotici provenienti dai più svariati paesi. Una lussureggiante foresta per la scena dell’Eden, dove Eva è indotta a mangiare la mela da un uomo Serpente che sfoggia con malizia le proprie serpi anch’esse minacciate dai disastri climatici. Una spiaggia caraibica è lo sfondo della commemorazione funebre di una vittima di uno tsunami. Uragani e cataclismi, personificati da danzatori-mostri accompagnati dal coro, in un movimento circolare che ricorda la danza Sufi dei monaci Dervisci (le coreografie sono di Marco Berriel). Gaia, la madre Terra, in posizione ieratica e solenne, denuncia con fermezza le responsabilità dell’Uomo, mentre un’eclissi di sole acceca il pubblico in sala con giochi di luce.
La struttura tendenzialmente fissa della scena è valorizzata dalla presenza di video spaventosi (a cura di Finn Ross) e di proiezioni fotografiche (di Edward Burtynsky) assai eloquenti nell'illustrare gli effetti devastanti dell’uomo sull’ambiente in un fitto intreccio di autostrade, torri di raffreddamento di centrali nucleari, montagne di copertoni d'auto, cumuli di auto, paesaggi devastati dalle opere dell’uomo e città distrutte da tsunami e uragani.
Le luci (anch’esse firmate da Carsen e da Van Praet) accompagnano con soluzioni d’effetto l’andamento dell'opera. Le luci di sala si riaccendono prima della fine dello spettacolo, quasi per illuminare le coscienze degli spettatori sugli interrogativi posti da Adamson: “Se questo non è il mio pianeta, di chi è? Se questa non è la mia responsabilità, di chi è? Se sono io la causa, non sono allora anche la cura?”. La sala diventa quindi buia, immersa nell’oscurità; un’oscurità accecante che evoca eloquentemente il destino dell’Uomo, reo nei confronti della sua Madre Terra.
Il direttore d'orchestra, Cornelius Meister, ben ha reso le diverse nuances e l’energia richieste dalla partitura di Battistelli: l’orchestra è fluida e incisiva; descrive e accompagna lo svolgimento dell'azione con un’alternanza omogenea di colori e ritmi. Fra tutti gli interpreti, molti dei quali provenienti dell’Accademia della Scala, la Gaia di Jennifer Johnston è energica e autorevole, Pumeza Matshikiza è una Eva seducente e dalla voce calda e luminosa, malizioso e mefistofelico il Serpente del controtenore David DQ Lee. Buona la performance di Anthony Michaels-Moore, più efficace nelle declamazioni e nello standing da scienziato-climatologo, meno convincente sotto il profilo vocale, soprattutto nell’aria finale. Di pregio anche le interpretazioni degli altri numerosi comprimari. Una menzione particolare meritano il coro diretto dal Maestro Bruno Casoni e il coro di voci bianche diretto dal Maestro Marco de Gaspari.
Pur con alcune reazioni fredde da parte degli spettatori scaligeri più tradizionalisti, lo spettacolo ha avuto nel complesso un grande successo di pubblico, che ha tributato copiosi e vigorosi applausi sia agli interpreti sia al team creativo e, in particolare, al compositore Giorgio Battistelli.
foto Brescia Amisano