Dal salotto al cortile

 di Giuseppe Guggino

 

Per un’opera da salotto quale Cendrillon di Pauline Garcia Viardot, scritta per solisti e solo pianoforte, il Luglio Musicale Trapanese abbandona occasionalmente Villa Margherita per spostarsi nel più raccolto chiostro di San Domenico. La compagnia di giovanissimi è guidata dalla splendida pianista-accompagnatrice Elena Rizzo che suona da cima a fondo l’opera come meglio non si potrebbe. Piacevole la regia di Renato Bonajuto.

Trapani, 11 luglio 2015 - Sembra voler guardare a Martina Franca questa piacevole tappa del Luglio Musicale Trapanese, che, con la proposta di un titolo raffinatissimo e di infrequente esecuzione quale è Cendrillon di Pauline Viardot, compie un’operazione culturale davvero ammirevole.

Se la fiaba forse con il maggior numero di riversamenti in musica – a partire da Nicolas Isouard fino a Jules Massenet – nella versione salottiera del celebre contralto francese pare avvicinarsi di molto alla scansione dei pezzi chiusi di Ferretti-Rossini, pur ripristinando la Fée al posto di Alidoro e la scarpetta al posto dello smaniglio, la circostanza non è sufficiente a giustificare nel flyer di sala (o meglio, di cortile) una trama in due atti (quando Cendrillon ne ha tre) costellata da Angelica (sic, non Angelina), Don Magnifico, Clorinda, Tisbe, Don Ramiro e Dandini, quando invece i rispettivi corrispondenti omologici si chiamano Marie, le Baron de Pictordu, Armelinde e Maguelonne, le Prince Charmant e le Comte Barigoule.

La scrittura, nonostante l’anno di composizione sia il 1904, ricorre sovente a chansons à couplets, in genere variate ad ogni ripresa nell’agogica e inframezzate da récit, tanto per i pezzi a solo che per i duetti; l’orizzonte estetico per le linee di canto guarda ineluttabilmente al secolo trascorso, a partire dalle strofe di sortita di Marie, un’evidente citazione dell’incipit di Bella Nice dalle sei ariette dedicate a Marianna Pollini da Bellini (1929); viceversa la scrittura pianistica, molto sofisticata, capace di una ricerca timbrica sempre drammaturgicamente coerente (il ricorso al tremolo solamente in presenza della Fée, ad esempio) sembra guardare molto da vicino a certe ricercatezze armoniche imprevedibili dei Péchés de vieillesse rossiniani; da qua a scrivere che Rossini e la Viardot fossero cognati, come fa il regista nel flyer di cortile – confondendo evidentemente Colbran con Malibran – ce ne passa! Comunque sia, delle difficoltà di questa scrittura è perfettamente consapevole la splendida Elena Rizzo che con sensibilità da accompagnatrice di razza adotta le tempi fluidi alla bisogna e con allure di autentica pianista ricorre al tocco sempre ben calibrato al discorso musicale dipanato, assicurandosi così il meritato successo agli applausi finali: davvero brava!

Meno entusiasmante è il cast vocale che schiera alcuni elementi probabilmente troppo acerbi per uno spettacolo professionale. Il materiale di Francesca Martini, impegnata nel ruolo eponimo, è estremamente interessante, anche l’assetto vocale complessivo è buono, e certamente di lei sentiremo parlare in futuro se il suo percorso di crescita proseguirà; l’altro giovane soprano, Maria Ladu, impegnato nella piccola ma sovraesposta parte della Fée, invece ha un percorso probabilmente più lungo innanzi. Le sorellastre Maria Cristina Napoli e Lara Rotili si disimpegnano bene, anche grazie a un’interpretazione un poco troppo caricata per essere salottiera; nel secondo atto, a casa del Prince Charmant, si giovano della possibilità di inserire un pezzo “a scelta” proponendo rispettivamente La Luciole e L’absence, entrambe tratte dalle dieci arie da camera della Viardot del 1850, mentre Marie opta per una versione vocalizzata del Liebestraum no. 1 di Liszt (il tutto senza notizia nel flyer di cortile, così come per il libretto italiano, che si dovrebbe sempre garantire almeno per i titoli infrequenti). Il comparto maschile si compone di voci più rodate che, in ordine di bravura crescente, sono Nicola Pisaniello come Prince, tenore dal registro acuto avventuroso, il bravo Pictordu di Francesco Paolo Vultaggio, basso-baritono dai mezzi interessanti occasionalmente un po’ ingolato e, infine, Saverio Pugliese, buon tenore impegnato come Barigoule.

Felicissimo il ricorso alla bidimensionalità delle serigraphie d’Épinal in bianco e nero per le scene che, con pochi elementi ben disposti, riescono a fornire alla regia di Renato Bonajuto le giuste coordinate all’interno delle quali muoversi con il valido supporto dei costumi esagerati ma divertenti di Tatiana Lerario.

All’inizio qualche piccolo inconveniente - poi rapidamente dissipatosi - legato ad un pubblico in cortile forse poco salottiero, che però alla fine apprezza e saluta lo spettacolo con simpatia; replica unica lunedì 13 luglio.

foto Francesco Bellina