di Andrea R. G. Pedrotti
Cast parzialmente variato per il Don Giovanni all'Arena, ma esito complessivamente invariato: sempre straordinario fulcro carismatico, attore e musicista di classe superiore, Carlos Alvarez nel ruolo eponimo, fra collegi di valore, cui si aggiungono, nell'alternanza della locandina, oggi Daniela Schillaci, Leonardo Cortellazzi e Ingsung Sim. Continuano invece a lasciar perplessi la concertazione di Stefano Montanari e l'allestimento di Franco Zeffirelli.
VERONA, 17 luglio 2015 - Terza rappresentazione, seconda per quel che ci riguarda, del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart. Ribadiamo le nostre perplessità sulla scelta del titolo, che potrà essere la più ottocentesca delle opere del salisburghese, ma rimane comunque un componimento del Settecento. Non scordiamo che nemmeno molte opere del grande repertorio del XIX secolo possono esser rappresentate con efficacia comunicativa all'Arena di Verona. Ci parrebbe assurdo, per esempio, assistere a una Sonnambula, mentre gradiremmo moltissimo il ritorno fra le pietre scaligere di opere come La Gioconda di Amilcare Ponchielli o L'Africaine di Giacomo Meyerbeer. Purtroppo la risposta del pubblico non è stata delle migliori, dal punto di vista delle presenze, ma si è dimostrato calorosa e pittoresca. Di notevole impatto, prima dell'inizio dell'opera, l'esecuzione del “Va' pensiero” da parte di una folto gruppo organizzato, presente in galleria.
La regia presentava le medesime pecche della prima, ossia un'eccessiva confusione, che poco spazio lasciava al dramma (seppur giocoso) intimo che prendeva vita sul palcoscenico areniano. Qualche meccanismo era, ovviamente, più calibrato, ma le troppe comparse e un eccesso di ruoli scenici hanno pesantemente disturbato la serata. Oltre ai tanto numerosi, quanto inutili, funamboli presenti sul palco, avremmo apprezzato maggiormente una maggior discrezione nei cambi scena. Nessuna colpa va imputata alla sempre lodevole precisione dei tecnici dell'Arena, ma le tempistiche, evidentemente dettate da Franco Zeffirelli, disturbavano non poco l'effetto complessivo. Diventa un problema se, sul finire del secondo atto, la celeberrima frase del libertino ispanico “Viva le femmine, viva il buon vino...” viene turbata dal clamore, vigore e stridore di ridondanti elementi scenografici sul fondo.
I costumi di Maurizio Millenotti paiono quelli di un film e sono, per la quasi totalità, apprezzabili. L'unico abito su cui nutriamo dei seri dubbi è quello di Donna Anna al suo ingresso, che pochissimo a che spartire con il contesto del momento. Tutto questo considerando anche che l'opera ha principio con l'entrata a cavallo di Don Giovanni, che, quindi, avrebbe avuto ben poco tempo a disposizione per dedicarsi a un approccio amoroso.
Belle le luci di Paolo Mazzon, mentre risultano confuse, se non inesistenti, le coreografie di Maria Grazia Garofoli, schiacciate dall'oppressione degli altri presenti.
Molto bene il cast vocale: Carlos Álvarez si conferma il miglior Don Giovanni di oggi, ribadendo, se non migliorando, la straordinaria prova di un paio di settimane fa [inizialmente era prevista un'alternanza con Ildebrando D'Arcangelo, ndr.]. Perfetto cantante, quanto inappuntabile attore, è completamente padrone della parte. Dal sua voce e dalla sua recitazione emergono tutte le sfumature psicologiche del personaggio, che viene reso come meglio non si potrebbe anche nel grande spazio areniano.
Alla prima avevamo molto apprezzato la Donna Anna di Irina Lungu, la quale non solo si conferma sugli stessi livelli, ma interpreta il ruolo in maniera ancora più efficace e coinvolgente. La recitazione è elegante e raffinata, anche grazie al naturale portamento fiero dell'artista russa. Accenti ed espressioni non più coinvolgenti, rispetto alla prima, e la voce risulta ancor più pastosa e proiettata. Purtroppo la Lungu non può insistere su dei pianissimi o sfumature particolari che si perderebbero nell'anfiteatro scaligero. Nel corso del recitativo e rondò del secondo atto: “Crudele!.. Ah no, mio bene! - Non mi dir, bell'idol mio”, abbiamo avuto, inoltre, il piacere di ascoltare finezze rare per l'ampio spazio e una serie di trilli notevoli per precisione e musicalità.
Discreto il Don Ottavio di Leonardo Cortellazzi, che si impegna nella ricerca della sfumatura e dell'espressione. La sua non è una figura di grande personalità, ma viene risolto in maniera sostanzialmente corretta. Delle due arie abbiamo certamente preferito “Dalla sua pace”, rispetto a “Il mio tesoro intanto”, durante la quale molte agilità parevano troppo stentate e difficoltose.
Siamo stati molto contenti di salutare il debutto areniano di Daniela Schillaci, ottima Donna Elvira; sempre sicura non teme nella maniera più assoluta il cimento con il grande anfiteatro. L'emissione non è mai forzata, la recitazione è caratterizzata da una partecipazione sempre misurata, elegante, ma mai fredda e distaccata. Di rilievo l'esecuzione delle due arie, tanto da far dubitare che questo fosse un debutto e che Daniela Schillaci non conoscesse l'Arena già perfettamente, con i suoi pregi e le sue insidie.
Poco da aggiungere, rispetto alla prima, riguardo il Leporello di Alex Esposito; il baritono bergamasco ha una bellissima voce, che lo sostiene nell'esecuzione, anche grazie a una tecnica in crescita. Peccato, come spesso accade a Esposito, riscontrare un eccesso di veemenza e di portamenti, spesso eccessivi.
Bene il commendatore di Insung Sim, dalla bella dizione, l'emissione morbida, pulita e un fraseggio del tutto consono al terrifico padre di Donna Anna.
Senza infamia e senza lode il Masetto di Christian Senn e la Zerlina di Natalia Roman, i quali risolvono i rispettivi personaggi senza lasciar particolari segni.
Ci spiace dirlo, ma la direzione di Stefano Montanari ci ha deluso molto più che alla prima; oltre alla fastidiosa tastiera, che sarebbe stata da limitare ai recitativi secchi, tutte le sezioni ci sono apparse piuttosto scollate, con numerose indecisioni degli ottoni e numerosi sfasamenti sulla parte destra della buca. I tempi sono vorticosi anche quando non sarebbe necessario, anzi anche quando la partitura richiederebbe maggior solennità e, come alla prima, l'effetto di coinvolgimento dell'infernale punizione di Don Giovanni, viene salvata solo dalla straordinaria arte di Carlos Álvarez e dalla professionalità dei suoi colleghi.
Bene il coro diretto da Salvo Sgrò, nonostante lo scarso utilizzo nell'opera in questione.
foto Ennevi