di Joel Poblete
Pietro Spagnoli e Alessandro Corbelli sono gli stellari protagonisti che garantiscono l'esito di una delle migliori produzioni degli ultimi anni del Teatro Municipal della capitale cilena. Pregevoli anche gli altri interpreti, guidati dalla scintillante bacchetta di José Miguel Pérez-Sierra nel bell'allestimento di Emilio Sagi.
SANTIAGO del CILE, 14-22 agosto 2015 - Una delle migliori sintesi di teatro e musica degli ultimi anni al Teatro Municipal de Santiago è stata la splendida versione del Turco in Italia di Rossini presentata in sei repliche con due compagnie. A prima vista, l'elemento più eclatante era costituito dalla scenografia di undici metri di altezza creata da Daniel Bianco come perfetta riproduzione di un vicolo napoletano, ma la qualità dello spettacolo volava, fortunatamente, molto più alta e venerdì 14 agosto (lo stesso giorno in cui l'opera ebbe la sua prima assoluta nel 1814), al debutto di questo quarto titolo della stagione lirica, il Municipal ha offerto quel che potrebbe ben considerarsi non solo il miglior allestimento di quest'anno, ma anche uno dei migliori da molto tempo a questa parte.
Non sarà, forse, così perfetta come i lavori più rappresentati del compositore italiano – le commedie Il barbiere di Siviglia, L'italiana in Algeri e La cenerentola - ma ad ogni modo quest'opera è incantevole e la sua musica, così brillante e vivace, ha momenti davvero geniali, sicché questa nuova esecuzione in Cile dopo oltre due decenni dalla sua unica apparizione precedente nel Paese, nel 1992 al Municipal, ha rappresentato un gradito ritorno. Soprattutto potendo contare su una messa in scena accurata e memorabile come quella dello spagnolo Emilio Sagi, uno dei registi più noti nel teatro lirico a livello internazionale, e che dal suo debutto cileno nel 1996 ha sempre affascinato il pubblico di Santiago con le sue produzioni, di qui questa era l'ottava e la quinta di un'opera belcantista, dopo Lucia di Lammermoor, La fille du régiment, L'italiana in Algeri e, lo scorso anno, I puritani [leggi la recensione].
Il turco in Italia è una classica commedia di equivoci e confusioni sentimentali che non elude gli stereotipi che oggi potrebbero essere accusati di politicamente scorretto, ma che all'epoca funzionavano perfettamente, come in questo caso il contrasto fra turchi e italiani, tutto condito con un tocco assolutamente creativo, acuto e pirandelliano, con il poeta che cerca ispirazione per un nuovo testo e stimola i contrasti per sviluppare la sua creazione. In questa coproduzione con il Capitole de Toulouse, Sagi, che allestiva per la prima volta quest'opera, sposta l'azione agli anni '60 del ventesimo secolo. E, a differenza di altri registi che travisano l'essenza dell'opera mutando epoca e luogo, con un gruppo di talentuosi artisti spagnoli suoi abituali collaboratori, ha saputo conservare l'incanto rossiniano con uno spettacolo che sorprende e diletta dall'inizio alla fine.
Invece dell'impostazione ludica sviluppata in un altro titolo rossiniano visto su queste scene, L'Italiana en Algeri del 2009, qui ha puntato su un meraviglioso realismo. Abbiamo già citato l'impatto immediato della bella, concreta e imponente scenografia di Daniel Bianco, con la sua scala, l'arco, i balconi e la pizzeria; questo vicolo rimane quasi senza variazioni per tutta l'opera – nel secondo atto il banco del fruttivendolo è sostituito da manifesti dei classici del cinema italiano, come Ladri di biciclette di De Sica, Stromboli di Rossellini e Divorzio all'italiana di Germi – non smette mai di affascinare, ricco com'è di dettagli da osservare più e più volte (i ciottoli a terra, i muri invecchiati) e per l'ottimo utilizzo dello spazio nei suoi piani e livelli. Il tutto opportunamente completato dai costumi esuberanti e colorati di Pepa Ojanguren, mentre le luci di Eduardo Bravo sono parse un po' più piatte e meno incisive. Una cornice scenica tanto accattivante è stata utilizzata da Sagi con una precisione e un senso del ritmo comico invidiabili, con un piacevole moto perpetuo che comprendeva il passaggio ricorrente di un tram, una moto e varie biciclette, con un effetto di vitalità e dinamismo, di realismo e credibilità.
E, parlando sempre dell'aspetto teatrale, non si può non mettere in risalto il livello dell'eccellente Coro del Teatro Municipal, diretto dall'uruguayano Jorge Klastornik, i cui membri, oltre a cantare benissimo come d'abitudine, si sono piegati alla perfezione a ogni esigenza scenica, rendendo ancor più vivo e spontaneo lo spettacolo insieme con le convincenti comparse che, nei panni di vari ruoli non cantanti, parevano veri cittadini napoletani.
I risultati positivi non si limitano certo ai soli, numerosi, pregi scenici, peraltro sempre al servizio della musica e con essa perfettamente intrecciati. Grande merito va reso alla concertazione dello spagnolo José Miguel Pérez-Sierra, sul podio della Filarmónica de Santiago per le recite di entrambe le compagnie; questo maestro ha debuttato al Municipal lo scorso anno con I puritani, sempre con Sagi regista, e aveva già messo in luce la sua affinità con lo stile belcantista. L'impressione è stata ora accresciuta, e ha dimostrato che Pérez-Sierra ha ben messo a frutto gli insegnamenti di quello che è internazionalmente considerato l'”apostolo” e il maggior esperto vivente di Rossini, l'oggi ottuagenario direttore e musicologo Alberto Zedda, del quale lo spagnolo è stato assistente dal 2004 al 2009. Dalla coinvolgente ouverture in poi, mettendo ben in evidenza in contrasti, i dettagli e le sottigliezze, con saldo equilibrio fra voci e orchestra nei numerosi concertati (in particolare nella scoppiettante energia del finale primo e in tutti i crescendo), Pérez-Sierra ha affrontato per la prima volta nella sua carriera questo titolo offrendone una lettura dinamica, vigorosa, piena di vitalità, come deve essere in una commedia di questo tipo. Al pari del precedente titolo in stagione, The Rake's Progress [leggi la recensione], il cembalo nei recitativi era affidato alle dita esperte del pianista cileno Jorge Hevia.
La notevole compagnia scritturata riuniva due dei migliori cantanti rossiniani degli ultimi decenni: i baritoni italiani Pietro Spagnoli e Alessandro Corbelli, che già avevano cantato al Teatro Municipal ciascuno in cinque diverse occasioni, ma mai insieme su queste scene. E, come c'era da aspettarsi, sia uniti sia separati si sono confermati grandi artisti.
Spagnoli ha debuttato in Cile nel 1995 proprio con un titolo rossiniano, Il barbiere di Siviglia, e è poi tornato con altre opere dello stesso autore, La cenerentola nel 2004 e la citata Italiana in Algeri del 2009; oggi, affrontando per la prima volta il ruolo di Selim, il turco seduttore che arriva in Italia, si è mostrato sicuro e a suo agio in tutta la tessitura anche in una parte normalmente affidata a bassi. Espressivo nel canto, di voce potente e ben proiettata, dal timbro accattivante, ha saputo realizzare anche teatralmente una performance impeccabile, forse la migliore fra le sue prove in Cile. E con i suoi sessantadue anni e più di quaranta di carriera, è universalmente noto che Corbelli (il cui debutto al Municipal risale al 1989) è un maestro del canto rossiniano, che domina da capo a fondo, davvero a 360° il personaggio di Don Geronio, il marito anziano e geloso, suscitando le risate del pubblico con un pathos che mai scadeva nel ridicolo e lo trasformava in un pagliaccio, bensì lo dotava di umanità e suscitava una forte empatia; in tutte le scene che lo vedevano coinvolto è parso geniale, sia nelle arie o negli assieme sia nei recitativi e non ha stupito che alla fine di ogni recita fosse riservata a lui l'ovazione più clamorosa. Non solo per la simpatia che suscitava il suo personaggio, ma anche in verità perché è un privilegio ascoltarlo e vederlo in scena. Pertanto, il duetto fra Spagnoli e Corbelli nel secondo atto, "D'un bell'uso di Turchia", recitato e cantato alla perfezione da entrambi e reso con uno straordinario sviluppo teatrale e comico, è stato il momento culminante dello spettacolo, e anche solo per tornare a sentirlo e vederlo interpretato da loro si sarebbe desiderato un bis dell'intera recita.
Da parte sua, il soprano statunitense Keri Alkema non cessa di sorprendere con le sua apparizioni in Cile: dopo aver attirato l'attenzione nel 2011 e lo scorso anno con una pregevole voce che pareva ideale per Verdi – come Amelia in Simon Boccanegra e Desdemona in Otello [leggi la recensione], rispettivamente – in questa stagione ha accettato di tornare per affrontare per la prima volta due ruoli tanto differenti come quello della tragica protagonista di Madama Butterfly e della civetta Fiorilla del Turco in Italia. Come nella sua incarnazione del delicato e complesso personaggio pucciniano, ha messo nuovamente in luce qualità vocali, senza però convincere come nelle sue precedenti apparizioni cilene; tuttavia, si è disimpegnata molto bene ed è stata assai applaudita alla prima. Dal punto di vista scenico, dal suo esuberante ingresso a bordo di una Vespa, ha saputo mostrarsi simpatica e divertita, e se su alcuni passaggi dovrà lavorare di più (così come su alcuni acuti), ha dato prova di adeguata flessibilità vocale nei suoi interventi, incluse le impervie agilità, tanto che più d'uno non avrebbe immaginato ascoltandola in quei ruoli di Verdi e Puccini.
Al suo debutto in Cile, il tenore brasiliano Luciano Botelho, nei panni di Don Narciso, ha esibito convincenti doti attoriali e un canto agguerrito e virtuosistico ideale per Rossini, nonostante qualche occasionale difficoltà nelle note acute di un personaggio forse meno determinante degli altri, ma pur sempre dalla scrittura vocale assai esigente. E il baritono cinese ZhengZhong Zhou, che pure abbiamo ascoltato lo scorso anno nei Puritani pur senza entusiasmare troppo, ha suscitato ora miglior impressione come cantante, anche se avrebbe potuto essere più comico e incisivo nel ruolo del poeta Prosdocimo, artefice degli intrighi.
Completavano il gruppo dei solisti due interpreti cileni. Come Zaida il soprano Daniela Ezquerra è parsa disinvolta sulla scena e abile nell'interazione comica con i colleghi, anche se non sempre a suo agio nel canto, alle prese con una parte abitualmente affidata da mezzosoprani. In compenso, una grata sorpresa è venuta dal giovanissimo tenore Francisco Huerta, Albazar che non solo esordiva al Municipal, ma il cui debutto assoluto come solista risale, addirittura, a questo stesso anno, nell'ambito del Festival di Castleton (Stati Uniti); credibile, vivace e simpatico come attore, ha esibito vocalità gradevole e generosa per volume e proiezione, con una buona esecuzione della sua aria "Ah, sarebbe troppo dolce".
Gli artisti della compagnia alternativa – "elenco estelar" –, quasi completamente formata da cileni, sono stati pure all'altezza della situazione, nuovamente con la scintillante energia impressa da José Miguel Pérez-Sierra all'orchestra. I nomi coinvolti era sicuramente i più adatti al repertorio rossiniano sul panorama nazionale, a partire dai due bassi baritoni che non solo si sono distinti in questo repertorio in precedenti produzioni al Municipal (Il barbiere di Siviglia e L'italiana in Algeri) e in altri teatri cileni, ma stanno ora affrontando con successo questi titoli anche ad altre latitudini, soprattutto in Europa. Ricardo Seguel era il protagonista, Selim, e lo ha reso con la sua nota simpatia, sfrontatezza e vena comica, con voce sonora e ben timbrata, ogni volta più a suo agio nelle agilità e in una tessitura esigente negli estremi. A sua volta, Sergio Gallardo ha suscitato risate con il suo divertito Don Geronio; come aveva già dimostrato in precedenza, l'interprete si mette sempre in luce in questo tipo di ruoli e le sue agilità si fanno sempre più sicure e precise.
Fiorilla era il soprano Patricia Cifuentes, sempre apprezzata nel repertorio belcantista; ancora una volta ha recitato con efficacia e abilità, con un canto che salvo un paio di occasionali problemi in acuto ha saputo porre assai bene voce e risorse al servizio del capriccioso personaggio, arrivando a brillare per raffinatezza e coloratura agile e precisa. In più di un aspetto è arrivata a far meglio della collega dell'altra compagnia, Keri Alkema. Qualcosa di simile si può dire del sempre efficace baritono Patricio Sabaté, il cui poeta Prosdocimo, correttamente cantato, è stato più spiritoso del collega dell'altra compagnia.
L'unico cantante non cileno di questo cast, il tenore argentino Santiago Bürgi, è tornato a dimostrare la sua buona forma dopo la pregevole prova nell'ultima opera al Municipal, The Rake's Progress; in questa occasione, come Don Narciso, ha affrontato e risolto con intelligenza e attenzione le esigenze vocali del ruolo, specialmente le incursioni nella zona acuta. Alla sua prima apparizione in questo teatro, il soprano Yaritza Véliz è stata una rivelazione come Zaida, disinvolta in scena e in possesso di una voce gradevole e di buon volume. Il tenore Diego Godoy-Gutiérrez ha iniziato con qualche rigidità ed eccesso nella recitazione, ma rilassandosi mano a mano ha concluso cantando assai bene l'aria di Albazar, del secondo atto.
foto Patricio Melo