di Joseph Calanca
Per il terzo anno consecutivo il Regio di Torino sceglie di inaugurare la sua stagione nel segno di Verdi. Dopo la Messa di Requiem e Simon Boccanegra è infatti Aida ad aprire gli appuntamenti lirici del massimo teatro piemontese, cogliendo inoltre l’occasione per festeggiare la riapertura del rinnovato Museo Egizio. Incanta, nella seconda compagnia, la maestosa principessa etiope di Anna Pirozzi.
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TORINO 23 ottobre 2015 - Dopo cinque anni di lavori, meritevolmente compiuti senza chiudere al pubblico le sue sale neppure per un giorno, lo scorso 1° aprile il Museo Egizio ha inaugurato il suo nuovo allestimento. Un cantiere da 50 milioni di euro per quella che rappresenta un’attrazione cardine del Piemonte e uno dei dieci musei più visitati in Italia; un percorso espositivo praticamente raddoppiato sfruttando gli spazi al secondo piano del Palazzo dell'Accademia delle Scienze occupati per quasi un secolo e mezzo dalla Galleria Sabauda ora trasferita a Palazzo Reale. Un evento epocale per la città di Torino, a cui il Teatro Regio, altra eccellenza piemontese, non poteva sottrarsi di rendere omaggio: con una perdonabile differita di qualche mese torna infatti in scena la più egiziana delle opere, nell’allestimento creato nel 2005 da William Friedkin. Regista statunitense, Premio Oscar nel 1972 per Il braccio violento della legge e colpevole di aver turbato il sonno di intere generazioni grazie al capolavoro L'esorcista, nel 1998 con Wozzeck per il Maggio Musicale Fiorentino debutta nell’opera lirica, affermando di preferirla addirittura al cinema, ormai “forma espressiva decadente”. Sceglie un approccio dichiaratamente servile al testo teatrale poiché “il primo dovere di un regista d’opera”, dichiara, “è portare a compimento le intenzioni del compositore”. Ecco quindi che il rosso sipario torinese si apre sul rassicurante Egitto verificabile a pochi metri di distanza nelle sale del rinnovato Museo. Scenografie monumentali e di sicuro effetto, accolte dal pubblico con sospiri di sollievo ed entusiasti applausi a scena aperta, sapientemente illuminate da Andrea Anfossi e realizzate da Carlo Diappi, che firma con la medesima maestria anche i costumi. Anche le coreografie di Marc Ribaud, riprese da Anna Maria Bruzzese, si piegano a questa placida visione archeologica, mentre le sagome animate ideate da Michael Curry, già collaboratore del Cirque du Soleil e di Julie Taymor per il musical The Lion King, regalano alla scena del trionfo un’inattesa virata giocosa.
Nell’approcciare quella che chiama “versione originale e tradizionale di una produzione operistica”, Friedkin sembra dimenticare però il necessario lavoro su chi sul palcoscenico deve agire: troppo spesso le mani dei protagonisti di questa Aida si rifugiano in una gestualità da cinema muto e i figuranti, ad esempio, faticano a trasformare la loro passeggiata sotto i fari in un credibile passo di marcia. Si tratta, in definitiva, di uno spettacolo visivamente sontuoso che, compiacendosi della sua erculea imponenza, tralascia ogni possibile interpretazione del capolavoro verdiano. Chi cercasse una lettura più critica, e quindi stimolante, dovrà spostare gli occhi dalla scena al programma di sala, dove si incontrano le immagini delle mise en scène create da Graham Vick, David McVicar, La Fura dels Baus.
Nemmeno ciò che accade in buca convince totalmente: Gianandrea Noseda immergere la sua orchestra in un cupo colore, già esplicito nel languore morente con cui è risolto il preludio. Scompare ogni brillante esotismo dalla variopinta partitura, ogni allegria dalle scene di massa; è una lettura che riesce a trovare la sua ragion d’essere, la sua atmosfera più congeniale soltanto nel magico notturno sulle sponde del Nilo e nello struggente duetto finale.
Molto meglio la parte vocale. Chi scrive ha avuto il piacere di ascoltare Anna Pirozzi non proprio dagli esordi ma dai primi importanti impegni al Teatro Comunale di Bologna: Il Trovatore, Macbeth e Nabucco. Già da allora era evidente una qualità vocale non comune ma ancora da affinare, un’interessante scommessa per il futuro. Le promesse sono state interamente mantenute e ora la sua Aida ha ben poche rivali al trono d’Etiopia: voce torrentizia e timbro dorato, che nel registro centrale ricorda addirittura il preziosissimo strumento di Montserrat Caballé. Una leggera monocromia espressiva, evidente soprattutto in “Ritorna vincitor!”, con il suo drammatico dualismo tra amore e patriottismo, è facilmente perdonata in virtù dei frequenti e sonori pianissimi e di un registro acuto spavaldo e immacolato: il do dell’aria del terzo atto, limite per tante colleghe, diventa per il soprano partenopeo di nascita e valdostano d’azione una serena e stupefacente passeggiata di salute.
L’illustre rivale, Amneris, era Anna Maria Chiuri. Ormai veterana del ruolo, domina la parte con sicurezza, accentando a dovere e dimostrando anche in scena, unica di tutto il cast, una credibile partecipazione alla vicenda. Massimiliano Pisapia porta dignitosamente a termine, grazie ad una maestria di lungo corso e a un timbro ancora freschissimo, il compito di sostituire, a causa di un’improvvisa indisposizione, il previsto Riccardo Massi nel ruolo di Radamès.
Dimitri Platanias è un Amonasro possente per fisico e voce, anche se la linea di canto risulta piuttosto rude e l’interprete non troppo incisivo. Qualche tensione in acuto per Giacomo Prestia (Ramfis) viene però temprata dall’autorevolezza di uno dei bassi più interessanti della sua generazione, in particolare nel repertorio verdiano. A fianco del tonante Re di In-Sung Sim, completano la compagnia la Sacerdotessa di Kate Fruchterman e il Messaggero di Roberto Guenno. Strana la prestazione del Coro del Teatro Regio, preparato da Claudio Fenoglio, che alterna vistosi scollamenti interni a momenti davvero magici, come il canto a fil di voce dei Sacerdoti durante la consacrazione nel Tempio di Vulcano.
foto Ramella Giannese