di Giovanni Andrea Sechi
Chiude la stagione 2015 del Teatro Lirico di Cagliari l'operetta per eccellenza: La vedova allegra di Franz Lehár. La nuova produzione firmata da Mario Corradi non convince per gli interventi arbitrari al libretto che, loro malgrado, fanno tuttavia emergere il talento di Veronica Franzosi (Njegus). Nella compagnia vocale brillano Marina Bucciarelli (Valencienne) e Leonardo Cortellazzi (Camille).
CAGLIARI, 20 dicembre 2015 - Il melomane odierno, avvezzo a improvvisi tagli al budget di una produzione e incomprensibili sostituzioni in locandina a ridosso della prima, non si sorprenderà della presente produzione, creata in evidenti ristrettezze, come tante in questi tempi. Italo Grassi (scene e costumi), Anna Bertolotti (costumi), Bruno Ciulli (luci) e Aurelio Gatti (coreografie) fanno del loro meglio per cercare di evocare, o di dare un'idea di cosa potrebbe essere una Vedova allegra prodotta con mezzi idonei. Date queste premesse, non reca disturbo la mise-en-scène minimale, una scena (quasi sempre) vuota, in cui l'unico elemento decorativo sono delle piacevoli gigantografie di ritratti femminili di Giovanni Boldini (i pannelli fungono sia da fondale, sia da elementi architettonici quando l'azione si svolge dietro di essi). Senza dubbio i cantanti risultano più esposti in tale contesto semiscenico, ma almeno la parte visiva non penalizza la loro esibizione.
Se la regia rinuncia a offrire una propria lettura sul piano visivo, tuttavia, non deve però sfogarsi sul libretto in maniera arbitraria. È infatti una scelta infelice quella di tagliare la quasi totalità dei dialoghi, sostituiti da una nuova narrazione scritta da Mario Corradi (regia) e affidata al cancelliere Njegus (egli è perennemente in scena, ora come narratore, ora come impiccione, ora come semplice chiacchierone). Nel libretto di sala, il regista si affretta a motivare la sua scelta dichiarando che i dialoghi della Vedova allegra siano «lunghi, talvolta noiosi, spesso poco eleganti». Ma purtroppo, anche chi condividesse tale asserto, potrebbe trovare altrettanto noiose le anticipazioni, le digressioni e le divagazioni del suo Njegus: esse dilatano ancora di più il ritmo narrativo ed esacerbano l'alternanza tra brani recitati e cantati. Esiti tanto infelici, in anni recenti, furono lamentati ogni volta che altri registi italiani tentarono la medesima strada. Tuttavia la regia ha il merito di rivelare il talento di Veronica Franzosi (Njegus), chiamata al difficile ruolo di narratore (se non commentatore di qualsiasi cosa avvenisse sulla scena, un po' come in un documentario naturalistico).
Maggiori soddisfazioni arrivano dalla compagine vocale. Mihaela Marcu possiede uno strumento notevole e la confidenza scenica che la parte di Hanna richiederebbe, anche se l'emissione pare affaticata e non a fuoco in più momenti (specie nella romanza della Vilja). Tale affaticamento temporaneo non inficia una lettura del ruolo comunque encomiabile, grazie anche alla spigliatezza attoriale). Più convincente è il Danilo di Giuseppe Altomare, baritono dalla tecnica salda e che proviene da repertorio ben più oneroso: la parte forse non gli è congeniale nella tessitura acuta, ma il suo Conte si apprezza per la vocalità robusta e per l'ironia nella caratterizzazione. Nel loro elemento paiono invece Leonardo Cortellazzi (Camille) e Marina Bucciarelli (Valencienne): senza dubbio i migliori nel presente spettacolo. I vezzi e i modi civettuoli dell'ambasciatrice sono ben resi dal giovane soprano abruzzese. Nel contempo si apprezzano in lei la morbidezza dell'emissione e la grazia nel porgere: qualità che nobilitano i numerosi momenti elegiaci della partitura (e che rivelano l'apprendistato con un soprano come Mariella Devia). Altrettanto aggraziato, ma ancor più a suo agio pare l'amante di lei: nei suoi brani Cortellazzi non fatica a interpolare qualche puntatura inaspettata (la voce corre senza ostacoli nello spazio, talvolta ingrato, della platea cagliaritana). Si spera di rivedere entrambi al più presto in ruoli più esposti.
Convincente e commisurata all'impegno della propria parte è la resa di Enrico Marabelli (Mirko Zeta), Stefano Consolini (Cascada), Mauro Secci (Saint Brioche), nonostante i numerosi tagli della regia.
Misuratissima e in piena sintonia con le esigenze canto e con la scena è la piacevole direzione di Sebastiano Rolli, mentre si distingue per la consueta compostezza l'Orchestra e il Coro del Teatro Lirico di Cagliari.
Rattrista vedere una produzione così povera per un'opera che celebra il lusso e il romanticismo fine a sè stesso (specie se si pensa alla sfarzosa chiusura della scorsa stagione, con la ripresa degli Stivaletti di Čajkovskij - leggi la recensione). Consolatoria è la presenza di alcune punte nel cast vocale.