di Francesco Bertini
Mancavano dalle scene veronesi da trentacinque anni le vicende di Capuleti e Montecchi nell'intonazione di Bellini. Il pubblico non si presenta in gran numero per salutarne il ritorno, ma il consenso è stato unanime per una compagnia in cui hanno brillato Mihaela Marcu e Daniela Pini.
VERONA, 07/11/2013 - Dopo trentacinque anni d’assenza torna a Verona, sua città d’elezione, la tragedia lirica I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini. L’opera, come potrebbe trarre in inganno il titolo, non è ispirata alla tradizione shakespeariana bensì ad un filone italiano di narrazioni incentrate sui due giovani amanti clandestini. Si tratta delle Storie di Verona di Girolamo Dalla Corte, del dramma Le tombe di Verona ossia Giulietta e Romeo di Luigi Scevola e della novella IX di Matteo Bandello. Le novità della vicenda, decisamente differente da quella attualmente più conosciuta, colpirono con forza il pubblico veneziano (il debutto avvenne, nel Teatro La Fenice, l’11 marzo 1830) che tributò un successo trionfale all’opera, portata poi in tutta Italia e Europa. L’ampia diffusione contribuì ad imporre, per alcuni decenni, questa lettura come la più riuscita di una vicenda già musicata da illustri predecessori quali Nicola Zingarelli (Giulietta e Romeo) e Nicola Vaccaj (Giulietta e Romeo), e affrontata in seguito, questa volta sulla base del dramma del Bardo, da Charles Gounod (Roméo et Juliette). La città scaligera ospita questa nuova messinscena di I Capuleti e i Montecchi, coproduzione tra la Fondazione Arena di Verona, il Gran Teatro La Fenice di Venezia e la Greek National Opera, affidata alla cura registica di Arnaud Bernard, a quella scenografica di Alessandro Camera e a quella costumistica di Maria Carla Ricotti. Lo spettacolo viene ambientato all’interno di un museo che, secondo le note contenute nel programma di sala, si presume edificato all’epoca di Bellini ma colto nell’attualità, durante dei lavori di restauro. I personaggi escono vivi dalle tele mentre la scenografia muta risaltando gli spazi approntati con gusto da Camera. Il regista lavora attentamente con i singoli interpreti ma nell’insieme la sua operazione non funziona sempre al meglio. A fianco dei cantanti, sovente vincolati ad un’espressività fin troppo predeterminata, si vedono operai, tecnici, addetti alle pulizie che lavorano all’interno della pinacoteca distogliendo lo spettatore il quale si chiede (e il vociare durante lo spettacolo rende bene questi interrogativi) il significato o la necessità di certe azioni, di fatto poco giustificate. I costumi di Maria Carla Ricotti sono di gradevole fattura e di aspetto prettamente cinquecentesco.
La trionfatrice della serata, una vera rivelazione dopo alcune prove positive ma non eclatanti degli anni scorsi, è il soprano Mihaela Marcu. L’artista delinea una Giulietta compiuta, tanto per linea di canto quanto per qualità sceniche. L’emissione è cristallina e omogenea, la zona centrale solida, l’acuto padroneggiato con pieno dominio ed altrettanto efficace il fraseggio, coadiuvato da un’abilità scenica matura. Il suo Romeo è Daniela Pini, mezzosoprano particolarmente versato nel repertorio belcantistico. L’artista italiana pare dominare bene l’agilità, nonostante manchi una caratterizzazione vocale pienamente consapevole del ruolo, in rapporto soprattutto alla scrittura belliniana. La Pini è attrice ben calata nella parte, tanto da risultare anche fisicamente assai credibile. Benché l’annuncio non sia stato fatto, Giacomo Patti, Tebaldo, è parso in stato fisico non ottimale. La sua prova, in un ruolo di difficile esecuzione, ha denotato lacune tecniche con problematiche d’emissione, difficoltà d’intonazione, fraseggio sommario. Anche Paolo Battaglia si è dimostrato interprete poco raffinato della parte di Capellio. Il canto stentato dà una immagine goffa e rozza del personaggio. Più credibile, nonostante alcune mende nella parte conclusiva dell’opera, è parso il Lorenzo di Dario Russo. La concertazione di Fabrizio Maria Carminati è vibrante ma non sempre in sintonia con la delicatezza belliniana. La scelta di agogiche incalzanti offre una lettura volta a prediligere dinamiche vigorose. La prova dell’Orchestra dell’Arena di Verona è piuttosto corretta, al contrario del Coro della fondazione, preparato da Armando Tasso, che, specie nel settore femminile, si presenta poco attento. Il colpo d’occhio sulla sala semivuota colpisce negativamente, soprattutto in rapporto al titolo di non frequente esecuzione. Ad ogni modo la serata beneficia, al termine, dei consensi unanimi del pubblico all’indirizzo di tutti gli artisti.