di Roberta Pedrotti
Con Richard Strauss, Johannes Brahms e una prima assoluta di Ivan Fedele, commissionata dalla R. Accademia Filarmonica di Bologna per completare un trittico da un primo pannello composto per l'Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, si apre la stagione sinfonica del Teatro Comunale. Una stagione dedicata a memoria e progresso nel nome di Nono, Brahms e della Resistenza.
Video, Ivan Fedele presenta Syntax
BOLOGNA, 23 gennaio 2015 - È la serata inaugurale della stagione sinfonica del Comunale di Bologna. Nell'intervallo, in coda alla toilette, due amiche, abbonate si presume da qualche stagione, commentano il programma: “Se vogliono dare questa musica contemporanea organizzino delle rassegne dedicate, ma ci lascino vivere!”, “No, il teatro è vivo. Anch'io amo moltissimo i romantici tedeschi e non ho capito bene tutto di questo pezzo nuovo, ma è giusto ascoltare tutta la musica, anche quella di oggi!”.
Il dialogo è autentico, ma ha un che di letterario, come una drammatizzazione filosofica di Platone o il Saggiatore di Galileo. Due punti di vista che sintetizzano bene l'approccio del pubblico a una programmazione concertistica senza limiti e barriere fra la musica di XVIII e XIX secolo e quella di XX e XXI, soprattutto all'aprirsi di una stagione che ha come eroi eponimi Johannes Brahms e Luigi Nono e come motto, nei settant'anni dalla Liberazione, Resistenza illuminata.
È inevitabile che il nuovo o l'inconsueto disorientino qualcuno e appaiano anche più ostici di quanto non siano, ma conforta che il rovescio della medaglia sia una diffusa curiosità, un'apertura scevra da pregiudizi e pronta ad accogliere gli stimoli di queste proposte.
Chiudere la musica cosiddetta contemporanea esclusivamente nella riserva di rassegne specialistiche ha, invero, poco senso e porterebbe a ghettizzare un repertorio per di più già storicizzato (per buona parte del pubblico sotto l'etichetta di “contemporaneo” finiscono anche composizioni di cent'anni orsono!), dimenticando che fino a qualche decennio fa le prime esecuzioni assolute – non sempre di capolavori – erano all'ordine del giorno nei cartelloni e che è così che si è formato il repertorio familiare di capolavori che tanto appassionano – e a ragione – le platee.
Aprire la stagione con un Lied corale del giovane Strauss (Wandrers Sturmlied, op 14) e la Quarta Sinfonia di Brahms a incorniciare una prima assoluta di Ivan Fedele (Syntax), ha più che un valore simbolico la semplice naturalezza di un'attenta proposta culturale. Il programma è infatti coerente e accosta al debutto due lavori coevi (1884-85), di un diciannovenne destinato a un grande avvenire che guarda sicuramente alla liederistica corale brahmsiana, ma in cui ribolle una personalità potente già riconoscibile e pronta a esplodere, e di un cinquantaduenne nel pieno della maturità artistica, con alle spalle un nutrito catalogo.
Syntax non stona, per di più in un contesto classico, giacché il suo linguaggio non è quello, semplicemente, della sperimentazione e dell'avanguardia, bensì quello del compositore musicologo, scienziato e studioso consapevole, nella miglior accezione – artistica e non accademica – del termine. Come il suo maestro Azio Corghi (revisore critico, fra l'altro, dell'Italiana in Algeri rossiniana), Fedele fonda la sua scrittura sull'analisi approfondita delle forme compositive del passato, sì da concretizzare il vero significato dell'abusata e travisata frase verdiana sull'antico e il progresso: il futuro si costruisce senza dimenticare le radici, un compositore deve conoscere chi l'ha preceduto, la sintassi musicale storica, per poter tracciare un cammino nuovo. In una stagione dedicata alla memoria e al rapporto fra classico e progresso, Syntax di Ivan Fedele, quindi, si colloca come apertura ideale.
Il brano, strutturato in tre sequenze, non ricerca la citazione di temi e stili, ma guarda in profondità ad alcuni elementi costitutivi della scrittura, rispettivamente, di Haydn, Mozart e Beethoven, rievocando, per esempio, architetture matematiche riconoscibili nei pentagrammi del Salisburghese, o elementi “genetici” ritmici e timbrici sviluppati alla maniera del compositore di Bonn. Ovviamente il riconoscimento non è immediato; l'ascolto non è ostico, ma impegnativo, intellettuale e tuttavia, proprio per il suo lavorare su elementi strutturali e non appariscenti, assai evocativo. Il richiamo all'antico e la sua proiezione nel presente e verso il futuro persiste inafferrabile, netto ma sfuggente com'è lo scorrere stesso del tempo.
Se, in questo lavoro per orchestra aumentata, con interventi tecnologici e frammenti registrati e amplificati (con una resa tecnicamente encomiabile), un limite si potrà riscontrare, sarà in una certa omogeneità complessiva, che non lascia emergere, almeno al primo approccio, così nettamente le peculiarità di ogni sequenza. In un debutto sarebbe difficile imputare questo limite all'autore o all'esecutore, ma l'ascolto successivo della Quarta di Brahms lascia sospettare che più di Fedele con la penna, sia stato Michel Tabachnik con la bacchetta a non valorizzare il carattere delle dediche ai tre giganti della sinfonia classica.
Nella grande partitura romantica che occupa l'intera seconda parte del concerto, infatti, il maestro svizzero fa valere l'autorità già mostrata in precedenza, ottenendo un suono particolarmente denso e compatto dagli archi, un assieme preciso e coeso davvero lodevole. Tuttavia la teutonica precisione ha il suo non inevitabile rovescio della medaglia in una certa pesantezza e, soprattutto, in una monotonia e rigidità di fraseggio, per cui riesce difficile riconoscere le diverse indicazioni dinamiche dei movimenti, distinguere l'Allegro non troppo del primo dall'Andante moderato del secondo, l'Allegro giocoso del terzo dall'Allegro energico e appassionato del quarto.
Benché Tabachnik, tecnicamente saldo come ci si aspetta dalla sua illustre scuola e dal suo luminoso curriculum, abbia familiarità con la musica di Fedele, avendo tenuto a battesimo la fortunata Antigone a Firenze, ci resta dunque la curiosità di riascoltare Syntax con una bacchetta dal fraseggio più terso e mobile.
Ciò detto, si ribadisce che l'orchestra risponde bene al gesto del maestro e, ormai, sembra quasi un ensemble specialistico più versato al XX e XXI secolo che non a Romanticismo e Classicismo. Nel Lied di Strauss che aveva aperto la serata con una promettente intensità e una confortante precisione, avevamo apprezzato l'impegno del Coro del Comunale, anche se ormai si fa urgente – bilanci permettendo – un rinnovamento con l'aggiunta di nuove e fresche voci, soprattutto nelle sezioni femminili.
Applausi da parte di un pubblico piuttosto numeroso – speriamo non sia solo l'effetto della serata inaugurale. Alla fine, fra Brahms, Strauss e Fedele, forse entrambe le signore saranno state soddisfatte nelle loro passioni e nelle loro curiosità.