di Roberta Pedrotti
Per la stagione di Musica Insieme il Quartetto Prometeo propone la prima assoluta di Umana Passione, sette musiche per voce e quartetto d'archi con testi tratti dal Vangelo secondo Gesù di José Saramago, uno dei più grandi - e discussi - capolavori del 900 letterario.
Leggi l'intervista a Sandro Cappelletto
BOLOGNA, 9 febbraio 2015 - "In principio erat verbum". Anzi, Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος. All'origine c'è l'atto del cogliere, selezionare, dire, raccontare, ragionare, raccolti nell'area semantica del verbo λέγω e del sostantivo λόγος. C'è la parola come sintesi e simbolo del pensiero, anche musicale; quindi, dell'essere Uomo. Avranno un bel dibattere, per secoli, sul primato della musica sulla poesia o viceversa, sull'autonomia espressiva e sul potere significante delle note: alla fine, se il principio è il pensiero, la sua espressione artistica è un organismo unico nel quale gli autori possono, di volta in volta, variare la luce e la prospettiva con cui si concentrano su un elemento.
Un elemento che può essere benissimo testuale, movente ispirazione e guida della creazione, senza che questo significhi soverchiare la musica. Quando, infatti, Matteo D'Amico ascoltò Le ultime sette parole di Cristo sulla croce di Haydn accostate, secondo un'idea del direttore artistico dell'Accademia Filarmonica Romana Sandro Cappelletto, a letture dal Vangelo Secondo Gesù di Saramago, nacque quasi spontanea, da quelle parole, trarre una composizione originale e autonoma. Una Umana Passione, partecipato e sentito omaggio al capolavoro letterario, al logos mitico e razionale della tragedia dell'Uomo che si scopre figlio di Dio e strumento del potere di Dio, dell'Uomo ribelle al Padre e al Padrone che, infine, constata solo la sua impotenza nel gioco della storia e del dominio. Il testo di Saramago è così profondo e sincero che turba ancora: turba le signore per bene che vengono al concerto e borbottano sentendo dire che Giuda rifiutò ogni compenso per la denuncia di Gesù, estremo sacrificio in ossequio al volere del Maestro e non tradimento venale; turba il signore distinto che alle parole “Uomini, perdonatelo [Dio], perché non sa quello che ha fatto!” sibila la sua intenzione (rimasta tale) di fischiare. Turba, positivamente, un altro spettatore, che annuncia festoso nell'intervallo la volontà di acquistare Il Vangelo secondo Gesù subito il mattino seguente. Ogni parola è un mondo di logos, raccoglie, sceglie, dice, ragiona, racconta; ci riporta all'intera complessità di un romanzo, risveglia la fervida lettura di qualche lustro fa, ma anche solo in queste pagine finali afferma la possibile autonomia del culmine della Passione. A cinque anni dalla scomparsa e ventiquattro dalla pubblicazione del romanzo, José Saramago resta non solo uno dei letterati più vicini alla musica degli ultimi decenni (suoi i libretti di Blimunda, Divara e Il dissoluto assolto di Corghi), ma soprattutto uno degli intellettuali più profondi nel concetto, più originali nello stile e nell'invenzione narrativa del XX secolo. Un nome che, anche a prescindere al sacrosanto premio Nobel, resta nella Storia.
Lo stesso Cappelletto legge le parole che ha selezionato con e per D'Amico scandite in sette episodi: Il figlio dell'Uomo, Giovanni Battista, Giuda Iscariota, La cattura, Caifa, Pilato e Golgota. La musica di D'Amico ha il pregio di unirsi ai brividi della parola pronunciata, in una sorta di dotta e discreta – e per questo assai intelligente – onomatopea fisica e metafisica, in cui risuonano non solo i passi, ma anche l'eco concettuale ed emotiva del testo, riverberando il significante al servizio del significato. Ma l'ispirazione non è solo nel testo, perché sicuramente l'origine dell'idea nell'audizione di Saramago accostato alla versione quartettistica dell'opera di Haydn (1790) non è stata priva di conseguenze nella scrittura severa di D'Amico, di cui si apprezzano anche le suggestioni modali, tali da concretizzare una moderna idea di musica sacra devota all'Uomo più che al Dio, ma non per questo meno impregnata di riflessione spirituale.
Il quartetto Prometeo (Giulio Rovighi e Aldo Campagnari al violino, Massimo Piva alla viola e Francesco Dillon al violonello) si conferma specialista della musica dei giorni nostri, restituendo tutto l'interesse e la tensione drammatica e intellettuale di un brano così denso.
Il repertorio classico, con La caccia di Haydn (giusto, per quanto sottile, richiamo all'originale ispirazione del pezzo di D'Amico) e il Quartetto in sol maggiore D 887 di Schubert (sempre gustoso per le sue reminiscenze finali dal Barbiere di Siviglia), sembra trovarli meno a loro agio, meno incisivi. Lo smalto ritorna infatti con il bis: la Ciaccona del bussetano Tarquinio Merula (1595-1665) nella trascrizione di Francesco Filidei (classe 1973) sintetizza alla perfezione il linguaggio contemporaneo e quello del primo barocco, con la sua estroversione ritmica. La fantasia antica si sposa alla modernità, sia nei suoni prodotti con la bocca, sia nell'utilizzo anticonvenzionale degli archi, che dal gesto provocatorio voluto da Rossini per l'ouverture del Signor Bruschino si è concretizzato dal XX secolo nella manipolazione sempre più creativa degli strumenti.
Pubblico attento e applausi, ma, soprattutto, una buona ragione per scuotersi con un testo che punge e turba ancora.