di Valentina Anzani
Per la ricorrenza del Venerdì Santo al Teatro Manzoni si è tenuto un concerto tutto dedicato ai temi della Passione di Cristo, entusiasmante per il programma proposto, ma deludente per la resa musicale.
BOLOGNA, 3 aprile 2015 – L’appuntamento al Teatro Manzoni con Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna di venerdì 3 aprile ha coinciso con una ricorrenza del calendario liturgico: il Venerdì Santo. Il concerto non poteva che prevedere un programma di brani attinenti alla ricorrenza pasquale e ha visto quindi succedersi L’incantesimo del Venerdì Santo tratto dal dramma sacro di Richard Wagner Parsifal, lo Stabat Mater di Karol Szymanowski e, in conclusione, la sinfonia di Haydn intitolata La Passione (Sinfonia in fa minore op. 49).
Sul podio era ospite il direttore il Tito Ceccherini, che è parso poco consapevole del compito che gli era stato affidato. Già dal primo brano proposto si intuiva una certa pesantezza di suono e si ha avuto l’impressione che qualcosa fosse fuori luogo. Si trattava di una delle pagine più sottili del Parsifal, densa di leitmotiv pastorali e pervasa di un’aura rituale, ma l’ampiezza delle frasi motiviche wagneriane è apparsa frammentata e rallentata da una gestione inadeguata del fraseggio, che ha reso impossibile la percezione del tono estatico che il compositore intenderebbe evocare.
Il polacco Karol Szymanowski nel suo Stabat Mater del 1925 aveva accolto le sonorità delle innovazioni stilistiche di inizio secolo pur mantenendo una carica spirituale personale. Musica complessa per la varietà di stili da cui è scaturita, è fitta di dissonanze, ritmi vaghi ed escursioni di volume che il compositore vorrebbe dal pianissimo (ricercato per i momenti più contemplativi) al fortissimo delle sezioni il cui testo esprime disperazione. È una composizione che coinvolge coro e tre solisti, il cui scarsissimo apporto all’interpretazione ha perplesso: il soprano Patrizia Biccirè e il baritono Vittorio Prato sono risultati il più delle volte sommersi da orchestra e coro e non sono riusciti a brillare nemmeno nelle sezioni in cui le masse hanno taciuto. Più timbrata e dotata di emissione più accurata era il contralto Gabriella Sborgi, insufficiente comunque a risollevare quella che purtroppo non si può che definire un’esecuzione anonima. Non ha entusiasmato nemmeno la prova del coro, che ha dato l’impressione di essere stato abbandonato a sè stesso, con il risultato di un suono disgregato e stridulo.
Un mutamento delle sorti della serata lo si sperava dalla sinfonia di Haydn, aspettativa delusa per l’improprio eccesso nell’uso delle dinamiche, inutile espediente se le forme classiche della composizione sono trascurate.
Peccato che una selezione musicale contemplativa, volta all’elevazione sia stata appesantita da un’esecuzione scarsa e trascurata. Dispiace soprattutto che una musica come quella di Szymanowski non sia stata valorizzata quanto dovevasi: proprio perché scelta inconsueta che raramente è fatta risuonare nelle sale da concerto, avrebbe meritato di essere affidata a un portavoce più brillante.