di Stefano Ceccarelli
Il maestro Antonio Pappano dirige un concerto dedicato a Amnesty International, celebre associazione in difesa dei diritti umanitari. Sotto la sua bacchetta rivive la monumentale Ottava sinfonia di Anton Bruckner. Ai tre concerti romani – è stato trasmesso in diretta a Rai Radio 3 proprio quello di lunedì 25 – farà seguito una tournée che porterà l’orchestra e Pappano fra Germania (Dresda) e Austria (Vienna).
ROMA, 25 maggio 2015 – «Amnesty International è una fonte autorevole per i governi e di speranza per gli oppressi, la sola speranza per una vita migliore». Così Antonio Pappano conclude il suo breve intervento in apertura del concerto per Amnesty, associazione che il maestro segue e a cui ha dedicato già spazio all’interno dei suoi concerti. La serata è anche un’occasione per ricercare fondi di cui, chiaramente, Amnesty ha essenziale bisogno: i ringraziamenti di Antonio Marchesi (presidente dell’Amnesty italiana) al maestro Pappano e ai presidenti dell’Accademia – dall’Ongaro e Cagli – preludono a esemplificare l’operato internazionale di Amnesty, volto a tutelare i diritti umani e le vittime di chi non li rispetta, e concludono con la richiesta di fondi.
Il concerto prevede l’esecuzione della monumentale Ottava sinfonia in do minore di Anton Bruckner, partitura dalla gestazione sofferta (sei anni: dal 1884 al 1890, per un totale di due versioni complessive). La sinfonia si situa perciò in quell’arco di anni di intensi e profondi cambiamenti politico-sociali fin de siècle che muteranno indelebilmente il volto dell’Europa: la caduta del liberismo di Bismark, la creazione di nuove entità nazionali, la rivoluzione industriale improntata sulla filosofia positivista e l’imperialismo di cui Vienna era specchio evidente. «Il declino delle élites liberali corrisponde all’ascesa artistica di Anton Bruckner, che nel 1892 ottenne un indiscusso riconoscimento con l’Ottava Sinfonia, eseguita per la prima volta dai Wiener Philarmoniker diretti da Hans Richter il 18 dicembre» (O. Bossini, dal programma di sala). Ottava Sinfonia, che peraltro fu l’ultima scritta dall’austriaco. E la cui gestazione filologica successiva testimonia indelebilmente il vituperato antisemitismo nazista. La versione in cui la si legge oggi (e la si è eseguita all’Accademia) è quella del musicologo Robert Haas (1939) che reintrodusse nella seconda versione dell’Ottava parti della prima che Bruckner tolse affidandosi alle critiche di Hermann Levi, celebre direttore d’orchestra ebreo – a cui Wagner aveva affidato la première del Parsifal a Bayreuth (fatto che avrà colpito il wangerianissimo Bruckner). Haas le espunse proprio perché, nella follia epuratrice nazista, i consigli di un direttore ebreo, di colui che giudicò la prima versione ineseguibile, erano solo intorpidimenti dell’originale purezza della partitura, che andava perciò recuperata: suo malgrado, Bruckner divenne per il Nazismo «una sorta di incarnazione della purezza artistica dell’intero popolo tedesco» (Bossini). Come che sia, è oramai solida tradizione leggere la partitura nella versione di Haas, che dobbiamo accettare e, anzi, redimere dai principi distorti che l’hanno partorita, vedendone il bello a dispetto delle perverse intenzioni che l’hanno generata: la redenzione è forse uno dei maggiori pregi del bello artistico in sé.
Così l’ha certamente accolta Antonio Pappano. E anche tutta la sublime orchestra dell’Accademia, che in mano al suo direttore splende del suono più bello e limpido. In una partitura di tali proporzioni, fondamentali sono gli attacchi, i respiri e l’architettura agogica cui bisogna accostarsi con idee chiare e sicure. Fin dal I movimento (Allegro moderato) la direzione di Pappano vivifica la partitura grazie all’impressionante pulizia sonora e alla gestione delle compagini volumetriche del suono. Tutto il primo movimento si basa sugli slittamenti tonali dall’impianto di do minore, sul cromatismo misterioso, sulle venature screziate, il tutto inserito in un gioco di volumetrie: insomma un’architettura fragile, da dirigersi con cautela, ma potente. Il tutto condito da quelle continue, tenui dissonanze che Bruckner sceglie di porre continuamente a stuzzicare l’orecchio dell’ascoltatore. Una sintassi armonica resa limpidissima dagli ottimi accademici: mi ha impressionato soprattutto la facilità della discesa in diminuendo o smorzando del suono, che Pappano fa eseguire con una naturalezza impressionante. I chiaroscuri, appunto, cui accennavo. Lo Scherzo (II) vede Pappano ancor più rigoroso e vigoroso nel creare ritmo: come imbriglia le diverse compagini strumentali nel creare il giusto suono! La difficoltà di questa partitura michelangiolesca, cioè il mantenimento dell’equilibrio nella “cornucopica” invenzione dell’austriaco, non sembra minimamente toccare la direzione di Pappano, che appare sempre più addentro al suono bruckneriano, quasi si stesse galvanizzando in una sorta di trance. La parte più bella è il pastorale, bucolico Trio, uno dei momenti più alti della partitura, le cui luminose sonorità sono condite dalle dolcezze estreme delle arpe. Ma il movimento più impegnativo è certamente il mastodontico Adagio (III), vera ipertrofica esperienza mistica. Le caldamente ambigue progressioni armoniche che lo aprono riempiono l’orecchio e l’animo, facendoci perdere nella palude sonora del movimento, nei fuochi fatui delle sue luminescenti venature, una anabasi dall’oscurità alla luce. Catartico, ricchissimo, il quarto movimento, il Finale, che nella sua raffinata potenza ci conduce, dopo un potente sviluppo e la teoria dei temi principali, che ricompaiono in una sorta di fregio a polittico, verso l’apoteosi finale.
Pappano esce trasfigurato dallo sforzo profuso nella direzione. Rimane girato verso l’orchestra ancora per qualche attimo, prima di mostrare il suo volto visibilmente emozionato a un pubblico giustamente ovante.