di Francesco Bertini
Ann Hallenberg, una delle più accreditate e sensibili intepreti del repertorio barocco, offre a Venezia un interessantissimo recital dedicato alle incarnazioni musicali, fra XVII e XVIII secolo, delle tre carismatiche matrone romane: le sorelle Vipsania Agrippina e Agrippina Maggiore, con la figlia di quest'ultima, Agrippina Minore.
VENEZIA, 21 maggio 2015 - Ogni estate, da quattro anni, il Venetian Centre for Baroque Music propone, a Venezia, il Festival Monteverdi Vivaldi. Con il 2015 si inaugura la prima stagione invernale sostenuta dalla collaborazione con l’orchestra barocca ‘Il Pomo d’Oro’. Il concerto conclusivo della rassegna porta nella città lagunare, oltre al citato ensemble, un’artista nota a livello internazionale, Ann Hallenberg.
Il programma prevede un excursus su tre figure femminili dell’antica Roma: la celebre Agrippina Minore, madre di Nerone, e le due sorelle Vipsania Agrippina, moglie di Tiberio, e Agrippina Maggiore, genitrice di Caligola e della stessa Agrippina Minore. Della prima, musicalmente più nota, si conoscono le origini luminose ma anche il fiero e astuto carattere. Durante l’impero del fratello Caligola, anzitempo precipitato in un grave tumulto mentale inadatto all’oculata gestione del potere, Agrippina venne esiliata perché ritenuta implicata in una congiura di palazzo. In breve tempo tornò trionfalmente a corte, con il passaggio della carica allo zio Claudio. Quest’ultimo, messa a morte la consorte Messalina, decise di sposare la nipote che, in breve, si trovò a ricoprire una delle massime cariche dello stato. Con abilità assicurò la successione al trono al figlio Nerone il quale prese il potere nel 54 d.C., in seguito all’avvelenamento di Claudio. L’impero neroniano ha alimentato e alimenta tuttora una serie infinita di miti, cresciuti e coltivati sulla scia delle stranezze, delle abitudini e delle follie del princeps. La figura di Agrippina conserva, al pari del figlio, quell’aura oscura, vivificata dai raggiri e dal potere della corte, che la rese sempre presente e partecipe alle decisioni istituzionali. Aizzato dalla seconda moglie Poppea, Nerone cominciò a vedere nello strapotere della madre un pericolo al proprio governo. Da questo alla decisione di eliminare Agrippina, il passo è breve. Con la morte della donna, crebbero le voci contraddittorie attorno al lei e alle sue relazioni con il prossimo.
L’opera più nota a lei dedicata è Agrippina di Georg Friedrich Händel. Dalla composizione, andata in scena al veneziano Teatro di San Giovanni Grisostomo il 26 dicembre 1709, la Hallenberg propone ‘Ogni vento ch’al porto lo spinga’ e ‘L’alma mia fra le tempeste’ dove la risolutezza del personaggio emerge appieno negli ampi vocalizzi, sorretti dagli interventi dell’oboe. Sempre alla figura dell’augusta romana si rifanno Britannico di Carl Heinrich Graun e Nerone fatto Cesare di Giuseppe Maria Orlandini. Dal primo lavoro, datato 1751 e collocato storicamente a cavallo tra barocco e classicismo, si ascolta ‘Mi paventi il figlio indegno’, aria di una certa complessità tecnica che sopravvisse, grazie all’interpretazione di Pauline Viardot, anche nel XIX secolo. Dal secondo, del 1721, viene proposta la concitata ‘Tutta furie e tutto sdegno’.
Non ebbe minore rinomanza e vitalità l’esistenza di Agrippina Maggiore. Nipote di Augusto, dal quale, per qualche anno, venne cresciuta, e moglie del celebre condottiero Germanico, la nobildonna godette del favore del popolo e per questo venne esiliata, ritenuta troppo forte e pericolosa. Sulla sua figura, Nicola Antonio Porpora incentra la propria opera Agrippina, composta per Napoli nel 1708, dalla quale è tratta ‘Mormorando anch’il ruscello’. Il marito Germanico intitola la composizione del tedesco Georg Philipp Telemann che con l’aria ‘Rimembranza crudel’ coglie le sensazioni di dubbio e rimpianto di Agrippina.
È invece meno nota Vipsania Agrippina la quale, dopo il divorzio da Tiberio, futuro imperatore, si unì al senatore Gaio Asinio Gallo. A lei Giovanni Battista Sammartini dedica, nel 1743, la sua Agrippina, moglie di Tiberio dalla quale vengono proposte ‘Deh, lasciami in pace’ e ‘Non ho più vele’ che esemplificano l’acuta arte compositiva dell’autore milanese.
Ann Hallenberg dimostra intelligenza nell’affrontare con gusto il repertorio più congeniale ai suoi mezzi, che paiono maturi per evidenziare la scrittura barocca.
Al termine del concerto il mezzosoprano ha offerto al pubblico ben due bis: ‘Qual nave smarrita’ da Radamisto e ‘Sta nell’ircana’ da Alcina di Georg Friedrich Händel.
Ad accompagnare la serata, con l’esecuzione anche del Concerto per due corni, archi e basso continuo RV 539 di Antonio Vivaldi e l’Adagio e fuga di Johann Adolf Hasse, vi è l’Orchestra "il Pomo d’Oro" fondata nel 2012 e costituita da un gruppo di giovani musicisti interessati all’esecuzione su strumenti d’epoca. In questo caso Riccardo Minasi lascia la direzione dell’ensemble al giovane russo Maxim Emelyanychev che, al contempo, offre una prova lodevole al cembalo. Per quanto attiene i restanti esecutori, due violinisti, un violista, un violoncellista, un contrabbassista, un oboista e due cornisti, nonostante qualche sbavatura e disomogeneità, la prestazione risulta sintonica con le esigenze tanto della cantante quanto degli autori.