di Carla Monni
Danilo Rea Plays Billy Strayhorn, il primo concerto all'Auditorium Rai Arturo Toscanini della quarta edizione del Torino Jazz Festival, in cui il pianista vicentino omaggia il braccio destro di Duke Ellington per celebrare il centenario della sua nascita.
Leggi la recensione dell'inaugurazione del 28/05/2015
Torino, 29 maggio 2015 – Il Torino Jazz quest'anno è stato un festival davvero poliedrico. Dalla mattina alla tarda notte si sono contati circa una ventina di eventi di ogni tipo sparsi in tutta la città. “TJF. Arte, Cinema, Musica e Spettacolo”, questo il concetto racchiuso in uno dei tanti striscioni che hanno tappezzato i soffitti dei portici torinesi. La mattina si poteva assistere a conferenze, dibattiti e concerti, tra gli altri, sicuramente uno dei più memorabili è stato quello del sassofonista newyorkese Steve Lehman con il suo ottetto. Nel pomeriggio una bella rassegna di incontri e musica manouche dentro la Mole Antonelliana con i maggiori esponenti internazionali del gipsy jazz; poi magari un buon aperitivo al Cafè des Arts con Luisa Cottifogli, Aldo Mella e Gigi Biolcati, un trio abile a combinare jazz d'autore a brani originali, successi rock e pop, nonché musiche tratte dalla tradizione emiliana romagnola, sapientemente arrangiati e arricchiti da improvvisazioni estemporanee. La sera una vasta scelta di concerti a piazza San Carlo, nel cuore della città di Torino: da Hugh Masekela Sextet con le sue travolgenti danze sudafricane a Fabrizio Bosso e Randy Brecker con lo spettacolo virtuosistico Trumpet Night, ai Shibusa Shirazu, la irresistibile big band giapponese, in esclusiva europea, che ha trasformato la piazza in uno spettacolare palcoscenico di musica, danze, pitture, teatro, draghi volanti; e ancora la musica afrocubana, imbevuta di armonie contemporanee, del quartetto di Omar Sosa, e molto altro. Poi tutti a ballare attorno alle Night Tower, tre torri appositamente costruite per ospitare ognuna un musicista. Dal connubio di musica elettronica e free jazz del trio del sassofonista Francesco Bearzatti, al progetto di matrice minimal techno del trio berlinese Komfortrauschen, i musicisti hanno animato le notti di piazza Vittorio Veneto che si è riempita di tantissimi giovani. E infine, a concludere le serate jazzistiche torinesi, una bella passeggiata sui murazzi del fiume Po, e magari ritrovarsi in qualche circolo – frontale a una vista mozzafiato – e ascoltare le note, per esempio di Megalitico, disco di Gavino Murgia, in cui il musicista esplora con sassofoni, flauti e voce le possibili combinazioni tra jazz e musica etnica.
Una commistione dunque di “suoni giapponesi, africani, europei, americani”, come ha sostenuto il direttore artistico del festival, Stefano Zenni, in uno dei suoi videoclip che quotidianamente annunciavano il “buongiorno” del Torino Jazz Festival con la programmazione della giornata. Ma tra le mille sfaccettature di suoni provenienti da tutto il mondo non poteva mancare anche un pizzico di sonorità italiana. Nel tardo pomeriggio del 29 maggio a coronare il primo concerto ospitato nell'Auditorium Rai, il pianista vicentino – ma romano di adozione – Danilo Rea, si è esibito con il concerto Plays Billy Strayhorn, un progetto esclusivo dedicato a colui che per trent'anni fu stretto collaboratore di Duke Ellington e uno dei compositori che più di altri ha provato ad andare oltre i confini del jazz. Al pari del pianista afroamericano, Rea combina in primis i suoi studi classici con il jazz, abbandonandosi in ogni caso a un pianismo decisamente libero.
Rimane vivo il suo personalissimo stile "romantico", un lirismo chopiniano che ben si adatta alle ballad più sofisticate di Strayhorn, come l'elegante Lotus Blossom, impregnata tuttavia della sua vena virtuosistica prorompente e creativa. La melodia cantabile, inizialmente morbida, viene arricchita con glissandi, raddoppiamenti per terze, rapidissime discese e ascese scalari, slittamenti cromatici e note arpeggiate e ribattute. Di base Rea trasforma la materia sonora dei brani – come lo standard dalla struttura irregolare, Lush Life – giocando sulle dinamiche e sul fraseggio, soprattutto quando apre e chiude le frasi. La melodia spesso rimbalza dalla mano destra alla sinistra, suscitando climax dall'effetto sempre più intensivo. Le aperture pindariche, che si ispirano alla tradizione classica europea, si alternano dunque a passaggi tecnici estremi, in cui l'ingegnosità del pianista prende il sopravvento. Nell'improvvisazione il discorso musicale – ripreso a brevi cellule – viene di continuo sviluppato e rinnovato ritmicamente; un esempio è la famosissima Take the A Train in cui il ritmo si fa sempre più insistente. Rea privilegia non solo la linea melodica, ma anche il colore timbrico, passando dalle luminosità delle note più acute al clima lugubre di quelle più gravi, dipingendo in questo modo un'atmosfera immaginaria, guarnita di sfumature e tipica dell'impressionismo debussyano.
Eppure l'estroso ed ecclettico pianista collaborò non solo con i più grandi nomi del jazz, come Chet Baker, Lee Konitz, John Scofield e Steve Grossman, ma già a partire dagli anni '70 Rea accompagna i più importanti cantautori italiani, da Mina a Gino Paoli. Da sempre è riuscito a unire – dal vivo e nei sui album – il jazz alla musica classica, al pop e alla canzone d'autore. Non sono dunque un caso le moltissime citazioni intonate all'interno dei brani di Strayhorn, come nella soave Satin Doll, in cui balza alle orecchie un breve estratto di Nel Blu Dipinto di Blu (Volare) di Modugno, uno dei cantautori italiani tanto ammirati da Rea, che nacque ascoltando i suoi vinili. Qua e là invece si è sentito qualche frammento de Il Pescatore di De André – a cui il pianista dedica nel 2010 un intero album intitolato Tributo a Fabrizio De André – caratterizzato da un'improvvisazione prevalentemente arpeggiata e timbricamente molto elegante. Il cantautore genovese viene omaggiato anche con il bis finale, in cui l'armonia di Lady Be dei Beatles viene a un certo punto ripresa sotto le note di Bocca di Rosa, proposta in una rilettura più classicheggiante. È vero, Rea attinge al repertorio della canzone d'autore italiana, ma non dimentica la tessitura originale strayhorniana, piuttosto la contamina, fondendo magistralmente linee melodiche ad altrettante musiche cantabili, intrise di jazz, canzone d'autore e musica classica.
Il pianista è riuscito ad affascinare appieno gli spettatori dell'Auditorium Rai, in particolar modo per la sua spiccata sensibilità melodica e soprattutto la sua curiosità. "Per ognuno di noi è importante rimanere curiosi e rimanere un po' bimbi. I musicisti devono rimanere un po' bambini, non è così facile [...] soprattutto se un musicista fa dell'improvvisazione la sua prima ragione di vita".