di Roberta Pedrotti
Concerto cucito su misura sul repertorio e le caratteristiche del direttore-pianista Wayne Marshall, capace d'ispirare il giusto spirito fra classico e jazz con musicalità elegante e brillante comunicativa. Atmosfera festosa e leggera che non contrasta - anzi! - con la qualità oggettiva del programma e dell'interpretazione, ma si combina alla perfezione con il clima già estivo che si respira in città.
BOLOGNA, 5 giugno 2015 - È già estate a Bologna. Non c'è una vera e propria vacanza per i complessi del teatro Comunale – impegnati in molti, vari appuntamenti primo fra tutti il Rossini Opera Festival – tuttavia la stagione lirica e quella sinfonica sono in procinto di prendersi una piccola pausa e, soprattutto, il clima arroventato di questi giorni suggerisce già un'atmosfera vacanziera.
Non è, insomma, la stagione del brasato e della polenta fumante, piuttosto della grigliata all'aria aperta e di un buon gelato. Non meno buoni e appetitosi questi di quelli, così come non meno semplici nella realizzazione ed esigenti quanto a tecnica e materie prime.
Così, il programma proposto dal Comunale per questo concerto ha freschezza e vitalità che ben si addicono al clima estivo con frizzanti aromi jazz e suggestioni cinematografiche che già ci trasportano fra le imminenti iniziative della Cineteca Nazionale all'aperto in piazza Maggiore. Nondimeno, si tratta di un programma di tutto rispetto, che si apre nel nome di uno dei più importanti compositori italiani del '900, la cui unica colpa pare esser stata quella di divenir famoso soprattutto con i suoi lavori per il cinema e di non esser mai stato per indole propenso all'impegno politico sociale o a farsi alfiere dell'avanguardia (anche se è ben chiara nel suo lavoro la lucida consapevolezza delle rivoluzioni musicali del XX secolo e la capacità di riviverle, non senza distaccata ironia, personalmente). Nino Rota sarà forse ricordato da molti come il suono di Fellini, anche quando talora (consapevolmente e volutamente, è chiaro) film in come Amarcord le immagini sembrino più che altro dar forma alle note di Rota. E, mutatis mutandis, sarebbe possibile immaginare Il Gattopardo di Visconti scindendolo dalla sua colonna sonora? Tuttavia quella colonna sonora Rota la trasse da abbozzi giovanili di cui il regista s'innamorò, ma che erano totalmente avulsi dal romanzo di Tomasi di Lampedusa; perfino la Suite che abbiamo ascoltato e che è entrata nel repertorio concertistico non fu stesa personalmente dall'autore, il quale si limitò ad approvare e supervisionare la collazione dei temi, tant'è vero che nel catalogo ufficiale rotiano essa non compare, al contrario della colonna sonora completa. Vicende pratiche e pragmatiche che fanno parte della vita concreta dell'arte e soprattutto di un'arte come quella della musica da film, che nasce in funzione della sua integrazione con il linguaggio cinematografico. Tuttavia, proprio in questa dimensione peculiare, il respiro dell'ispirazione dell'opera di Rota si innalza e travalica anche i confini del referente narrativo. Non importa aver presente le traversìe dei Salina: le loro passioni, ambizioni, tensioni sono astratte come assolute in una musica nata autonoma, divenuta funzionale e indissolubilmente legata alla pellicola, salvo poi da questa trarre nuova forza ed emanciparsi in una sua vita concertistica. Wayne Marshall, che di questo repertorio è uno dei più appassionati alfieri, ne dà una lettura tesa e irruente, corrusca e spedita, felicemente svincolata rispetto a quella originale di Ferrara, proprio a conferma di questa autonomia affermatasi dialetticamente da una prima tesi giovanile e da una successiva antitesi cinematografica.
Da questa ouverture ideale si prosegue festosamente con il Concerto per clarinetto e orchestra d'archi con arpa e pianoforte di Aaron Copland, in cui Marshall padronegga al meglio il difficile equilibrio fra scrittura classica e jazzistica ben coadiuvato da Luca Milani, primo clarinetto del Comunale e qui solista ispirato, brillante quanto saldo nella tecnica.
Se quello di Copland ha l'aria di un duetto divertissement fra il solo e l'orchestra, la lettura che Marshall offre del Concerto per pianoforte e orchestra in fa maggiore di Gershwin sembra distaccarsi completamente da una storia concertistica che è stata, fin dalle origini, per lo più anche storia sociale e rappresentazione artistica del rapporto fra il singolo e la società. Qui l'autore pare solo con il suo pianoforte, come del resto il nostro direttore, in questo caso anche solista alla tastiera. Solo nell'atto della composizione, solo e colto nell'intimità del suo rapporto con la musica, da cui sorge come immaginazione ed emanazione il suono dell'intera orchestra. La posizione del piano, tastiera parallela al palco e pianista con le spalle al pubblico, strumento incastonato letteralmente fra gli archi, non favorirà forse l'espansione di un classico bel suono, la presenza fisica del timbro e delle dinamiche, ma favorisce la fusione fra il direttore/compositore e quella che diviene una sorta di propaggine del suo gesto pianistico. E, soprattutto, del suo fraseggio, il vero punto di forza di Marshall, capace di coniugare eleganza e comunicativa, di cogliere il carattere borderline di una partitura che jazz, certo, non è, ma con il jazz respira in simbiosi con il concerto sinfonico e che richiede un pianista con rigorosa formazione classica e spirito, swing, senso dell'improvvisazione. Tutte caratteristiche che pare condividere e trasmettere attraverso l'orchestra – che sa rispondergli con il giusto carattere, e poco importa se l'entusiasmo travolge qualche dettaglio – con il pubblico. Gli attacchi del direttore sono direttamente consequenziali, un tutt'uno senza soluzione di continuità, al tocco del pianista. Sogno sinfonico del musicista jazz, amplificazione timbrica e sonora dell'ispirazione alla tastiera.
Il pubblico festeggia e ne ha ottime ragioni. Come già Milani, Marshall sorridente improvvisa un bis e ci lascia solo la curiosità di poterlo vedere alle prese con un repertorio completamente diverso da quello con il quale è identificato come specialista.
L'aria è rimasta calda, sotto i portici di Bologna, anche ora che si è fatto buio, ma si rientra a casa rinfrancati come dopo un buon gelato artigianale, di quelli creati da un maestro gelatiere con ingredienti freschi e genuini, un gelato che non ha nulla da invidiare a una sachertorte.