di Roberta Pedrotti
Chiude la rassegna pianofortissimo 2015, lo stile personalissimo di Jacky Terrasson, berlinese di padre francese e madre statunitense, sedotto dal jazz dopo aver intrapreso studi musicali classici.
BOLOGNA, 1 luglio 2015 - Breve quanto intensa questa terza edizione del festival bolognese pianofortissimo. Solo quattro concerti, contro i sei degli anni passati, ma un panorama internazionale e generazionale di tutto rispetto: l'astro nascente luminosissimo della ventiduenne Mariam Batsashvili [leggi la recensione], il glamour olandese del diciannovenne Arthur Jussen [leggi la recensione], la tradizione e la personalità di Vadim Rudenko [leggi la recensione] e, infine, Jacky Terrasson, jazzista sui generis di origini e formazione cosmopolite (nato a Berlino da padre francese e madre statunitense).
Chiudiamo dunque in leggerezza, con un programma tutto affidato all'estro del pianista e alla sua personale esaltazione dello strumento e del rapporto fisico con esso. Poco più di un'ora in cui non solo Terrasson suona, si accompagna più o meno sommessamente con la voce, percuote e manipola il piano, ma celebra, si può dire, una sorta di storia d'amore con lo Steinway Angeletti utilizzato per l'intera rassegna, fino a indirizzargli nemmeno metaforicamente parte degli applausi. Non più strumento ma, almeno, collega musicista con cui condividere il successo.
E in effetti il pianoforte in sé e per sé è il vero protagonista del programma e delle improvvisazioni di Terrasson, che lo esplora e lo esalta in un incessante scorrere da un estremo all'altro della tastiera. Sembra evocare i movimenti dell'acqua, un continuo movimento ora ampio e placido, ora fitto fitto, ora turbinoso e increspato. Tutte le declinazioni di un moto ondoso perpetuo e mutevole, nel quale, e questo sembra l'elemento più originale, l'elaborazione, la variazione jazzistica di temi preesistenti non è l'elemento costitutivo del pezzo, la base su cui si sbizzarrisce la fantasia dell'artista, la fonte da cui ricavare i mattoni per la sua architettura. Invece, quando riconosciamo Over the raimbow o La vie en rose o Malafemmina, la percepiamo come una goccia di colore puro lasciato cadere in quelle acque pianistiche mosse da Terrasson. I colori dell'iride che si stemperano in varie gradazioni d'intensità e riconoscibilità, le tinte rosate della Piaff o quelle calde e peccaminose della porpora di Totò s'inseriscono, si sciolgono, si sovrappongono a un tessuto che sembra l'esplorazione appassionata del suono e del potenziale di quel maestoso e voluttuoso, lucido e morbido oggetto vivo d'ebano e avorio.
Questo gioco, come i pur differenti altri concerti, trova perfetta ospitalità nel chiostro dell'Archiginnasio, in quel piccolo angolo denso di autentica storia bolognese, senza medioevo fasullo ma ancora spirante di stratificazioni barocche, su cui volano e sibilano rondini e pipistrelli nell'aria calda dell'estate. Sarà stato l'annuncio che, anche in caso di maltempo, i concerti si sarebbero tutti svolti qui, spostandosi eventualmente sotto il porticato, a propiziare un clima così benevolo per tutte le serate di pianofortissimo 2015?
Eventuali momenti di disturbo (la notifica di un sms dalle ultime file, i cori imperterriti provenienti da piazza Galvani o dintorni) sono comunque assorbiti dal garbo di Terrasson, che al massimo alza lo sguardo e improvvisa una pausa all'occorrenza, ma senza turbare la continuità del recital, con la libertà che gli consente un programma tutto suo, d'ispirazione jazzistica. E non diremo che ogni pezzo ci è parso egualmente felice o interessante, ma diremo, certo, d'aver passato una bella serata e di aver chiuso in una bellissima atmosfera questa edizione del festival pianistico bolognese, che ha ben tenuto fede, anche in un numero ridotto di serate, al suo carattere peculiare di esplorazione del panorama pianistico attuale, fra scoperte e rarità per l'Italia.