di Roberta Pedrotti
Teresa Iervolino chiude la seconda edizione del Festival Solo Belcanto di Montisi (SI), sorprendente miniatura in cui il contralto campano ha modo di ribadire il suo talento e la sua continua crescita di cantante e artista.
MONTISI, 29 agosto 2015 - Per il suo intreccio di astrazione e concretezza, fisicità e idealità, il Belcanto è per sua natura sul crinale borderline, in naturale commercio con la follia. E, se un pizzico di follia ci vuole per organizzare una rassegna concertistica a Montisi, questa non poteva che essere consacrata al Solo Belcanto.
Parliamo naturalmente di una follia virtuosa, di uno spirito idealista e visionario che se ne infischia delle logiche pratiche ed economiche per godersi l'incanto e l'utopia del virtuosismo più scintillante e teatrale che si cela ed esplode in spazi discreti, in miniature sorprendenti come scatole cinesi.
A Montisi, intanto, arriva solo chi ci vuole arrivare: non è Siena, non è Arezzo, non è Pienza, è vicinissima, ma non è rinomata per qualche monumento o specialità particolare, non è indicata come tappa obbligata dei percorsi turistici o come snodo autostradale o ferroviario imprescindibile. Soprattutto, il borgo è incantevole nella sua discrezione, nelle sue abitazioni antiche, intatte, ma vissute quotidianamente, nei suoi locali e nei suoi negozi privi d'ogni allettamento turistico, di sgargianti giostre di ricordini. E ti sorprende, per esempio quando entri nel Barrino, con la sua insegna dipinta a mano, la sua saletta minuscola e dimessa da caffè di periferia, in cui però una scaletta angusta conduce al paradiso dei pici fatti in casa dalla madre del proprietario e ci regala, senza pretese e in un clima semplice e familiare, uno dei più genuini e gustosi ristorantini toscani. Ti sorprende, quando la padrona di casa, ispiratrice e prima mecenate del Festival, Silvia Mannucci Benincasa, ti invita ad ammirare il cielo notturno e una luna splendente come non mai nell'aia della sua abitazione.
E ti sorprende la deliziosa follia di un teatrino di soli cinquantotto posti, il Teatro della Grancia, surreale per la vertiginosa sproporzione fra la musica – e gli artisti – che può trovarsi ospitare e le sue dimensioni fisiche, luogo d'élite non per i prezzi ma per la semplice evidenza di un pubblico che non può capitare lì per caso, ma si restringe alla familiarità salottiera di un gruppo che ha scelto con entusiasmo di essere presente.
Con la direzione artistica di Giovanni Vitali, Solo Belcanto ha visto sfilare, in questa sua seconda edizione, i nomi di Jessica Pratt, Roberto De Candia (anche docente del master per giovani cantanti, cui ha fatto seguito un ulteriore concerto), Alfonso Antoniozzi, Rachele Stanisci e, infine, Teresa Iervolino, a omaggiare, rispettivamente, Jenny Lind, Sesto Bruscantini, Marianna Barbieri Nini e Marietta Marcolini.
Quest'ultima detta prima musa di Rossini senza far torto alle sorelle Mombelli, i cui fascini pare stimolarono assai l'adolescente Gioachino nella stesura della prima opera Demetrio e Polibio. e non solo perché ben due titoli scritti per la Marcolini, L'equivoco stravagante (1811) e Ciro in Babilonia (1012), andarono in scena prima del debutto effettivo del Demetrio, ma soprattutto perché la continuità della collaborazione (cui seguirono nel 1813 La pietra del paragone e L'italiana in Algeri, nel 1814 Sigismondo) segnò in modo indelebile la prima fase della carriera di Rossini e la personalità dell'interprete influenzò assai la scrittura e la teatralità stessa dei personaggi (al di là della femme fatale Isabella, è noto l'aneddoto circa la predilezione della Marcolini per i ruoli en travesti o per scene di mascheramento virile di figure femminili sì da mettere in mostra le sue splendide gambe).
Vocalità per definizione ambigua, quella del contralto belcantista, ma che nell'immagine della Marcolini – nonostante un catalogo rossiniano comprendente una fanciulla scambiata per castrato, una vedovella che per sedurre il bel misogino finisce per spacciarsi per il proprio gemello militare, un sovrano e condottiero che è anche sposo e padre e un altro che delira per il rimorso di un presunto uxoricidio – si ammanta anche di un'intensissima fragranza femminile. Così Teresa Iervolino, contralto vero, ha nel velluto della sua voce quella malìa ambrata, quell'eleganza di porgere che la rendono semplicemente ideale per rievocare la figura e la personalità della prima Isabella. E con mordente, quello vero che deriva dalla musicalità, non quello esteriore che si giustappone come una maschera a un canto meno colorito e rifinito.
Il concerto si apre con quello che è forse il più complesso dei ruoli rossiniani per la Marcolini, perché fuori dai canoni della commedia o del dolore amoroso (non privo di slanci eroici) di Sigismondo: Ciro è un uomo maturo, non tanto anagraficamente, ma perché Gran Re dell'Impero persiano, perché padre e quindi non solo in ambasce per un'amata o per il proprio onore, ma per la sua famiglia e per una moltitudine di popoli. Dalla sua estesissima e drammatica Gran Scena (tale per forma, non sappiamo se per effettiva definizione d'autore, essendo perduto l'autografo) si ascolta proprio il cantabile “T'abbraccio, ti stringo”, dedicata proprio al figlioletto. Anche nel cimento del più virile e maturo dei personaggi, l'arte del legato espressivo, la finezza del timbro, di una pasta vocale rotonda e ben tornita ma in linee e ombreggiature canoviane permettono anche all'artista men che trentenne di cogliere l'essenza ideale del personaggio, il “cantar che nell'anima si sente”.
Il rondò “Se per voi le care io torno” viene passato alla sofisticata Clarice della Pietra del paragone dall'Ernestina del grottesco e boccaccesco Equivoco stravagante e quindi unisce in sé due titoli marcoliniani. La Iervolino ha già cantato Clarice a Parigi e il personaggio è dominato con spirito vivace, perfettamente a fuoco nel gioco del travestimento, fra sentimenti autentici e maschera. Le belle variazioni e la coloratura fluida e precisa culminano in una felice puntatura, perfetta per gusto nel contesto della baldanzosa presentazione del falso capitano Lucindo.
Viceversa, Sigismondo non ha bisogno di sigillare a sua aria con un acuto, con una cesura che non si addice al suo carattere lunare e al fascino della Gran scena in cui il sovrano polacco, finalmente e attraverso drammatici confronti, riconosce la sposa perduta, ritrova la conferma del suo amore e del suo perdono, dichiarandosi infine pronto anche a morire in battaglia forte della pace interiore recuperata. Una scena di cangiante intensità psicologica, di rimorso ed ebbrezza scandite da soluzioni melodiche e armoniche di formidabile invenzione e intensità. Teresa Iervolino le coglie e ci fa desiderare di vederla nel ruolo completo. Ché è naturale che il percorso di un artista intelligente non possa mai dirsi concluso e si nutra di ogni esperienza, tanto possiamo e dobbiamo aspettarci per il futuro.
Isabella chiude in bellezza il programma ufficiale con “Cruda sorte” e “Pensa alla patria” ed è un piacere ascoltare la voce giusta per il ruolo, una voce cui la scrittura concepita per la Marcolini calza come un guanto, con tutta la freschezza, la malizia, la tenerezza, lo spirito, il gusto e il garbo che vengono da un'autentica intelligenza e sensibilità musicale. Le stesse che segnano l'appassionato – ed estemporaneo – bis francese, con la lirica À Chloris di Reynaldo Hahn, cantato con innamorata dolcezza prima di prorompere nel contrasto felice con un Marechiare pieno di calore e carnalità, gustoso come sa esserlo il repertorio partenopeo affidato ad artisti di questa caratura, capaci di trovare il perfetto equilibrio fra cuore e cervello.
Al pianoforte, in una serata caldissima che non ha però smorzato gli entusiasmi, Davide Cavalli, collaboratore abituale di Riccardo Muti, musicista espertissimo e impegnato anche come solista con il vivido romanticismo della Vallée d'Oberman dalle Années de pèlerinage (Suisse) di Liszt, dedica ideale alla meravigliosa natura delle campagne che circondano Montisi. In questa natura la compagnia pian piano, poi, si scioglie, ebbra di belcanto, buona tavola e luna piena.