di Stefano Ceccarelli
I concerti aperitivi alla stagione musicale regolare dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sono un appuntamento fisso e grandemente atteso, come Il giro del mondo in tre orchestre, che ci porta a conoscere realtà musicali dei posti più disparati del globo. Terzo concerto della serie è quello con l’orchestra del Qatar diretta da Dmitrij Kitajenko, che presenta un concerto dal programma magnifico, nonché oneroso: la Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 di Sergej Prokof’ev e due monumenti di Pëtr Il'ič Čajkovskij, il Concerto per pianoforte n. 1 in si bemolle minore op. 23 e la Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36. Solista al pianoforte è il russo Boris Berezovsky.
ROMA, 15 settembre 2015 – Il giro del mondo regalatoci dall’Accademia di Santa Cecilia ci porta fra le fiorenti e ricchissime sabbie, lambite dal mare, dell’emirato del Qatar, oggi potenza economica e mecenate di numerosi eventi, dallo sport fino alla cultura. La sua orchestra nazionale è stata accuratamente selezionata ed è composta di talentuosi musicisti: la sua inaugurazione s’ebbe nel 2008 sotto la direzione del compianto Lorin Maazel. La qualità del loro suono è straordinaria; hanno, peraltro, dimostrato di saper reggere un programma di due ore di musica non certo agevole, quanto di più occidentale la Russia abbia prodotto: una sinfonia di Prokof’ev, la Prima, che è un riverito – ma senza dimenticare un pizzico della sana ironia di un genio – omaggio allo stile terso di Mozart e Haydn, e due composizioni dell’ “occidentalissimo” Čajkovskij. Kitajenko è imponente, scultoreo nel suo muovere la bacchetta il minimo che serva: il suo Prokof’ev è doc (ne ha inciso il completo ciclo delle sinfonie). Apprezzabile l’attenzione con cui Kitajenko scova nella partitura della Prima Sinfonia, inframmezzati alle tinture armoniche perfettamente devote al classicismo, talune venature turbanti, puramente novecentesche. Si potrebbe, altrimenti, quasi dire che l’abbia realmente composta Mozart! Dopo l’aristocratico I movimento, gli archi entrano nel II a disegnare arabeschi: coesione orchestrale e pasta sonora sono perfette. La gavotta (III), poi, è squisita. D’effetto anche il coreutico IV movimento, tutto imperniato in tessiture ritmiche di giochi di intervalli e frizzi di noticine che la Qatar riesce a rendere con impareggiabile leggerezza. La sala, non certo gremita, scoppia in fragorosi applausi. Il concerto è già un successo.
Fa il suo ingresso il pianista Boris Berezovsky. All’attacco del celeberrimo Primo concerto in si bemolle minore, Kitajenko indulge in effetti espressionistici, magniloquenti (come il rallentamento precedente all’ingresso del pianista). Berezovsky entra benissimo, ma nel rutilare delle figurazioni successive v’è qualche impercettibile sfasatura con l’orchestra, mista a leggerissime imperfezioni. Ma già nell’Allegro con spirito l’organico si riassesta in armonia: magnifiche le delicate screziature fra pianoforte e legni. Berezovsky cade quasi in trance nel suo virtuosismo, che ama esprimersi al sommo grado nelle cadenze più muscolari: la direzione consapevole e decisamente posata di Kitajenko – tanto che a tratti si perdono carezze della partitura – evita di dover andare a rincorrere Berezovsky. L’Andantino semplice è tra i momenti migliori della serata: la delicatezza con cui Kitajenko apre il brano (con quelle sue figurazioni sembra, chiudendo gli occhi, di trovarsi nel notturno nilotico che apre il III di Aida) prepara le atmosfere oniriche fra pianoforte e orchestra tipiche del Čajkovskij più felice. Il finale Allegro con fuoco è un tripudio di figurazioni ostinate dal vago sapore orientaleggiante, magiaro: il talento di Berezovsky è nelle sue acque. Gli applausi sono di cuore: il pianista viene più volte chiamato sul palco.
Il secondo tempo è interamente dedicato alla monumentale Quarta sinfonia. Kitajenko dona il meglio di sé. L’incipit è potente, fatidico. Dalle maglie della guardinga orchestrazione, si giunge al tema del destino (clarinettista e oboista ottimi): mi piace come Kitajenko faccia emergere un senso di sardonica ironia che ben si adatta a questi passaggi della Quarta. L’ottima sonorità dell’orchestra ben sa rendere la potenza disperata di questa sinfonia: nel finale I il controllo degli archi sulle acute sferzate è notevole. L’Andantino in modo di canzona inizia con l’oboe cullato fra i vapori pizzicati degli archi; il direttore dà un certo abbrivio, forse poco consono al cullante sentire della canzona, ma naturalmente l’acme lirica riporta l’agogica a un controllo etereo – peccato qualche imprecisione dei corni, si sa, fisiologica. Lo Scherzo è un gioiellino. Praticamente perfetto il pizzicato: Kitajenko ama molto soffermarsi sui particolari, come avesse una lente d’ingrandimento. Ben eseguito lo staccato che porta al trio dal bel sapore bucolico, preludente alla ripresa del primo tema. L’orchestra prorompe in un’energica sortita: è l’Allegro con fuoco. Il tema dal sapore orientaleggiante è ben scandito: Fremono gli accordi: la partitura si fa corale, michelangiolesca. Il finale è ottimo: gli applausi prorompono festosi.
Concerto piacevolissimo, che ci ha permesso di conoscere un’orchestra ottima dal punto di vista qualitativo e della coesione e pulizia del suono, capace di generare volumi e accenti di rara plasticità.