di Roberta Pedrotti
Nell'ambito di un progetto dedicato al sodalizio fra Giulio Cesare Croce e Adriano Banchieri, frate olivetano dall'ingegno versatile e genialoide, l'Ensemble Dramatodia propone la Barca di venetia per Padova, sorprendente commedia madrigalesca dei primi del Seicento.
BOLOGNA, 28/09/2015 - Anche a non voler parlare di mistificazione, non si potrà dire che non sia almeno un depauperamento concettuale il ridurre la storia della musica profana fra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo a sofisticati ragionamenti, alle utopie filologiche e classiciste, agli alti sentimenti letterari dei Bardi umanisti, o all'evoluzione della prattica monteverdiana. E sì che, a dimostrazione della refrattereità a una sana visione interdisciplinare, fino a qualche anno fa almeno le avventure di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno facevano parte dell'immaginario comune e il loro autore, Giulio Cesare Croce è tuttora citato nelle storie della letteratura in uso nelle scuole superiori.
Bene, sodale di Croce e autore della novella su Cacasenno che chiude la trilogia fu il frate olivetano Adriano Banchieri. Questi, musicista cui, naturalmente, si deve anche un rispettabilissimo catalogo sacro, meriterebbe di essere ricordato soprattutto per l'inventiva scatenata di veri e propri madrigali satireschi, fratelli germani della commedia dell'arte, densi d'umori carnascialeschi che condividono lo spirito con le future scene scabrose e con la comicità di molta opera secentesca. Solo titoli come lo Zabaione musicale, La pazzia senile, il Festino della sera del giovedì grasso avanti cena possono essere decisamente eloquenti.
Il ciclo forse più noto di Banchieri, la Barca di Venetia per Padova, è una vera e propria commedia sviluppata per madrigali, la cui struttura può dirsi boccaccesca non solo per il tipo di umorismo, ma anche per il doppio livello suggerito dai testi, intonati da un'allegra brigata impegnata in una traversata notturna a bordo di un burchiello fra Venezia e Padova, sul doppio piano, dunque, della cornice e dei racconti o delle scenette imbastite per ingannare il tempo. I personaggi, in entrambi i livelli, sono già di per sé maschere, tipi standard di padroni (ovviamente prototipo di Pantalone), mercanti, ebrei, cortigiane, fanciulle, napoletani, fiorentini, bresciani, tedeschi. La commedia e la satira non solo plasmano madrigali di una teatralità vivacissima, ma presentano anche sottilissimi rimandi e dotte allusioni musicali, là dove, per esempio, si imitano le salmodie da sinagoga, si canta “alla napolitana” o “alla piemontese”, più ancora quando proprio al Mercante bresciano et hebrei segue un “madrigale alla romana” si dichiara nello stile di Marenzio, che fiorì alla corte papale, ma era pur sempre bresciano di nascitae prima formazione.
Non tutte le allusioni, non tutti gli umori del ciclo sono, ovviamente, subito intellegibili per l'ascoltatore moderno, ma al melomane odierno dovrebbe almeno suonar familiare il dialogo fra la bella Ninetta e il spasimante “Parone di barca”. Donizetti e Romani guardavano a un filone popolare ben ricorrente nella musica d'arte, la storia è sempre più rigogliosa di quanto la storiografia non voglia ricordare.
L'occasione di ascoltare questo brillantissimo, sorprendente ciclo è offerta nel chiostro del Museo Medievale di Bologna dall'Ensemble Dramatodia, gruppo bolognese i cui membri avevamo più volte apprezzato nel repertorio sacro in seno all'attivissima cappella arcivescovile di S. Petronio, custode di un patrimonio inestimabile. Alberto Allegrezza ci aveva abituati ad ammirarlo nei panni di profeti, santi, a intonare preghiere, testi sacri e sacre riflessioni: qui lo troviamo scatenato deus ex machina, regista, cantante e attore, animatore di una scatenata esecuzione in un moto perpetuo. Pur nell'esiguità dei mezzi, il gioco di mascheramenti e ambiguità è elevato all'ennesima potenza barocca, smaccatamente dichiarato là dove i due soprani chiamati a interpretare il Napoletano e il Fiorentino son due ragazze (Maria Dalia Albertini e Francesca Santi) con i baffi di nerofumo, mentre l'unico personaggio femminile presente sulla Barca, la cortigiana Rizzolina, è un contraltista a sua volta en travesti (Jacopo Facchini), con aria da drag queen ante litteram. Capita, però, che là dove i singoli episodi musicali (come nel caso della Ninetta) richiedano d'indossare la maschera di una fanciulla, siano a soprani a ricorrere a un doppio mascheramento, in un continuo turbinio d'indentità che, naturalmente, coinvolge anche le voci maschili dei tenori (Allegrezza e Riccardo Pisani) e del basso (Guglielmo Buonsanti), nonché l'attore Francesco Bocchi (il servo del "Paron della barca"). Corona il gioco surreale della frenesia carnascialesca la presenza, pur discreta dietro al suo clavicembalo, del maestro di cappella petroniano, Michele Vennelli: ormai alla vigilia dell'appuntamento più importante dell'anno, il concerto del 2 ottobre per la celebrazione del santo patrono, si può ben dire che semel in anno licet insanire. Il contrasto di registri non solo nei diversi piani del raccont ma anche rispetto alla vita reale, perfettamente in linea con lo spirito a cavallo fra Rinascimento e Barocco, anzi giova alla riuscita della serata, anche nell'eccesso. Dopotutto, il dotto monaco Banchieri era colui che più di tutti sapeva scherzare senza limiti o autocensure.
E, quel che più conta, l'esecuzione è ottima, come ci si aspetta, fra sacro e profano, seri o buffi, da questi musicisti, che hanno destinato il ricavato della serata alla realizzazione di un progetto video dedicato proprio alla collaborazione fra Croce e Banchieri.