di Andrea R. G. Pedrotti
L'inaugurazione della stagione sinfonica dell'Arena di Verona risulta non più che corretta, con un programma fin troppo eclettico, privo di un filo conduttore o di una particolare forza interpretativa.
VERONA 17 ottobre 2015 - La Fondazione Lirica Arena di Verona inaugura la stagione sinfonica 2015-2016 con un concerto al Teatro Ristori. L'ubicazione è la medesima prescelta per l'evento omologo dello scorso anno, tuttavia molti altri eventi della sinfonica scaligera, in questa stagione, avranno luogo presso la sede del Teatro Ristori. L'acustica sicuramente premia una scelta dovuta all'incerta situazione del Teatro Filarmonico, il cui utilizzo, per la stagione lirica 2016-2017, rimane ancora incerto.
Concerto inaugurale all'insegna del grande repertorio, con Haydn, Mozart, Claude Debussy, Pablo de Sarasate e Felix Mendelssohn. Sicuramente grandi nomi, ma il filo conduttore dell'intera serata si reggeva solo sulla fama degli autori affrontati, senza un vero e proprio filo conduttore o un legame che giustificasse il salto dal Classicismo di Haydn e Mozart al Romanticismo di Mendelssohn fino al secondo Ottocento. Tutti brani famosi, ma messi assieme quasi fosse un CD dal titolo Grandi melodie del passato o qualcosa di simile.
Sotto la bacchetta di un corretto Pietro Borgonovo, si è principiato con la Sinfonia n. 1 in re maggiore di Franz Joseph Haydn. L'orchestra esegue il brano senza errori, pur senza entusiasmare. Come detto in moltissime occasioni, quello areniano è un complesso tecnicamente di buon livello nel panorama italiano, ma - causa l'assenza di un direttore musicale - risente pesantemente della personalità del direttore d'orchestra; il metronomo non si lamenta, il pathos, sì. I tre movimenti vengono affrontati in maniera omogenea, ma fin troppo anodina, con il solo piglio indicato in partitura. La scarsa interpretazione rende meno efficace la resa, specialmente quando ci troviamo innanzi a una scrittura musicale antecedente alla passionalità del grande repertorio ottocentesco.
Giunge il solista, ossia il flautista Davide Formisano, con due brani di Wolfgang Amadeus Mozart, come l'Andante K. 315 in do maggiore per flauto e il Rondò K. 373 in re maggiore per flauto. Il compositore di Salisburgo, nella lirica come nella cameristica, ha assoluta necessità di un un interprete, che non sia solo esecutore. Non troveremo mai particolari salti nella tessitura, ma l'obbligo di affrontare il cantabile con intenzione e cura del fraseggio. Per fortuna Davide Formisano, dall'alto della sua ormai lunga esperienza, si dimostra all'altezza del ruolo, conferendo ai suoi cimenti mozartiani un piglio e un virtuosismo conformi alle aspettative.
Altra stranezza nel programma del concerto: fin qui molti potrebbero pensare che si sia assistito a una serata incentrata sull'intimismo e lo spirito cameristico, visti i brani e la sede, invece veniamo, senza colpo ferire, catapultati verso Bizet e la Carmen Fantasie di Pablo de Sarasate. Abbiamo avuto la fortuna di ascoltare questa stessa fantasia, nel corso dello splendido Gala areniano di questa estate [leggi la recensione]. Medesima orchestra, dunque, ma differente direttore e solista - in quel caso era un violinista. Questa scelta ci fa sorgere spontanea una domanda: ma con tutto lo sterminato repertorio sinfonico per orchestra che si sarebbe potuto eseguire, era necessario far ascoltare nuovamente la stessa fantasia a distanza di non più di tre mesi, per di più alterandone lo strumento solista? Riteniamo che questa sia una domanda retorica, quanto pleonastica, tuttavia lasciamo immaginare la risposta che ci siamo dati a chi ci sta leggendo.
La differente qualità della direzione si è, purtroppo, sentita: ancora poco piglio, poca partecipazione, poca intensità. Certamente ancora bravo il flautista, abile nell'affrontare senza sbavature i virtuosismi del caso, ma l'esecuzione complessiva - soprattutto se paragonata a quella di questa estate - ci è parsa, invero, assai deludente.
Il tradizionale bis concesso dal solista ospite è stato, in questa serata, Syrinx di Claude Debussy. Bravo ancora una volta Davide Formisano.
Seconda parte dedicata interamente alla Sinfonia n. 4 op. 90 in la maggiore “Italiana” di Felix Mendelssohn. Come detto poc'anzi, passando all'Ottocento le cose paiono migliorare, anche se restiamo decisamente inquadrati nella prima metà del XIX secolo, considerato il legame dell'autore con il Classicismo e che l'anno di stesura fu il 1833. L'intero brano scorre bene, ma non entusiasma a sua volta. La buona tecnica di maestro e professori fa sì che la sinfonia giunga al termine, anche se alcune parti sono risultate piuttosto insipide. Bello il Saltarello finale: nulla più.
Poco pubblico nella sala del Ristori, di miglior acustica rispetto a quella del Filarmonico, ma con meno della metà delle poltrone a disposizione; infatti avremo contato circa duecento presenti (è una stima per eccesso), a fronte dei circa cinquecento posti disponibili. Non troppo entusiasmo al termine e pochi veronesi. Curioso, tanto più quando veniamo da una stagione notevole come quella dell'Accademia Filarmonica, con spazi ben più ampi, gremiti di pubblico autoctono.