di Roberta Pedrotti
Arcadi Volodos per Musica Insieme fa della sua tecnica prodigiosa il lucido strumento per dare misura alla vertigine di infinite sfumature fra infinitamente grande e infinitamente piccolo.
BOLOGNA 26 ottobre 2015 - I numeri, le misure, le quantità con cui siamo abituati a considerare l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo costituiscono un filtro astratto rispetto a quel che è incommensurabile alla nostra esperienza. Cercare di abbracciare concretamente con il pensiero la dimensione reale di una particella subatomica o di una stella provoca un senso di vertigine che affascina, certo, ma anche turba e, talora, perfino stordisce e disturba.
Non disturba, ma senza dubbio perturba il controllo dell'incommensurabile nel lavoro di Arcadi Volodos, capace di concentrare la più grande quantità di suono nello spazio impalpabile del più sottile pianissimo, di raggiungere una densità acustica tale da sembrar quasi collassare su se stessa e, senza perdere massa e compattezza, polverizzarsi in una nube vaporosa. Esattamente come nel canto, quando una mezzavoce ben emessa è egualmente ricca e lieve, galleggiante in uno spazio irreale appena tangibile dai nostri sensi. Lo spessore, la dovizia del suono si espande e si contrae in gradazioni dinamiche così nette e minute da porsi sul limite del pensabile, del misurabile nella nostra realtà concreta e non solo nell'astrazione matematica e scientifica. Allo stesso modo il virtuosismo perfetto coincide con una ricerca del tocco per cui uno stesso scintillìo della mano destra ora evoca l'incanto infantile del carillon, ora mostra tagli lignei inattesi.
La cremosità e la ricchezza del suono ricorda i trionfi della pasticceria siciliana e, come questa, alle dolci nubi di ricotta sa mescolare in felice contrasto e perfetta armonia gocce di cioccolato, variopinti canditi, granelle di pistacchi. Ma la ricchezza dell'arte dolciaria trinacria è tanto sfacciatamente grandiosa quanto la dovizia pianistica di Volodos nel combinare variamente ampiezza e sottigliezza, legato e staccato è governata da una misura sorvegliatissima, che punta all'essenza delle definizioni di ogni brano proposto, soprattutto nell'esatto calibro dei vari “un poco”, “non troppo”, “semplice”. Volodos cerca l'esattezza dello scienziato nel misurare l'incommensurabile, nel circoscrivere la cifra sonora, la consistenza e la multidimensionalità del suo fraseggio, preciso, lucido, acuto. E la scienza, giocando sulla vertigine suscitata dalla definizione dell'indefinibile, si fa poesia.
Lo dimostra il rigore compunto e programmatico del battagliero giovane Brahms del Tema e Variazioni in re minore op. 18b (1860) contrapposto alla maggiore libertà – e talora levità – di una maturità padrona dei propri mezzi tecnici ed espressivi, non più così preoccupata di dover dimostrare il proprio valore e di reggere i vessilli della reazione antiwagneriana, come emerge nei finissimi otto Klavierstücke op. 76 (1878)
Lo dimostra il ripiegamento di Schubert, a pochi mesi dalla morte, nella Sonata in si bemolle maggiore D 960, controllatissima, eppur capace di vaporizzarsi in un Andante sostenuto che perturba proprio per la sua consistenza inafferrabile e così precisamente misurata da Volodos.
Di evidente buon umore, il pianista russo inanella ben quattro bis, senza risparmio e senza tema d'eclettismo: il Minuetto di Schubert da pezzo di carattere è trasfigurato e svelato in un'articolazione metrica e timbrica di sconvolgente modernità; nel quadretto sottile delle Jeunes filles au jardin di Mompou combina il perlage rarefatto impressionista con una fluidità di fraseggio dal sapore quasi swing, sensazione confermata dal gustoso umore iberico della Malagueña del cubano Leucona, dal più sciolto e brillante virtuosismo; in chiusura, un Intermezzo di Brahms chiude il cerchio della trascendenza del controllo, del virtuosismo della misura, dell'equilibrio sottilissimo fa il definito e la vertigine dell'infinito.