di Giovanni Chiodi
Michele Mariotti e i complessi del comunale di Bologna, con un cast quasi completamente rinnovato, ripropongono a Bergamo (dopo una tappa torinese) il concerto che ha chiuso il Rossini Opera Festival 2015.
Bergamo, 21 ottobre 2015 - Il secondo appuntamento del cartellone di Lirica Bergamo 2015 è un concerto diretto da Michele Mariotti con l’orchestra e il coro del Comunale di Bologna. Il programma, interamente rossiniano, riprende quello presentato in agosto al Rossini Opera Festival pesarese [leggi la recensione]. Ma il maestro Mariotti ha affinato un’esecuzione che era già di spiccata originalità.
Nella prima parte sono proposte l’ouverture e le danze del Guillaume Tell, di cui Michele Mariotti è oggi un interprete di eccezionale levatura. Non c’è routine in questa esecuzione: la partitura è letta con rigorosa aderenza e nello stesso tempo tutto scorre con estrema libertà, grazie alla trasparenza dell’accompagnamento, alla scorrevolezza dei tempi, all’eleganza e alla morbidezza del fraseggio, alla fluidità del gesto.
L’apice si raggiunge nello Stabat Mater: un’esecuzione paradigmatica, studiata meticolosamente nei tempi, nella dinamica, nella filigrana del suono orchestrale, e calcolata su un’intesa perfetta con i cantanti. Una lettura di forte impatto per il modo in cui Mariotti riesce ad amalgamare orchestra, solisti e coro in un discorso unitario, di vibrante tensione e di simultanea, continua e costante varietà di colori e di espressione.
Questo Stabat Mater, infatti, possiede sia i toni accesi del dramma, sia le tinte malinconiche del dolore più intimo, della compassione, della tenerezza, della dolcezza, che sono spesso dimenticate in altre letture, pur costituendo il sale di questa partitura. L’impegno richiesto ai cantanti nel dosare inflessioni e accenti del testo è assecondato, per l’occasione, da un quartetto in grado di rispondere pienamente alle sollecitazioni del concertatore e alle esigenze del belcanto.
Yolanda Auyanet non ha un timbro seducente, ma canta con sensibile partecipazione. Antonino Siragusa cesella ogni sillaba del Cujus animam. Michele Pertusi domina in modo impressionante e compatto una parte scabrosa. Se dovessi però indicare, tra i tanti, un momento di particolare emozione, di quelli che ti arrivano direttamente al cuore, sceglierei il Fac ut portem di Veronica Simeoni, che è riuscita, anche grazie a un uso stupendo della mezzavoce, a creare un’oasi di intima purezza e di sbigottito trasalimento.
Un concerto importante e coinvolgente, da ricordare come un vertice dell’interpretazione rossiniana.
foto Gianfranco Rota