di Roberta Pedrotti
Riparte con la coda autunnale la stagione sinfonica del Comunale di Bologna. Il programma che accosta il giovane Brahms alla Sesta di Beethoven è particolarmente congeniale al direttore musicale Michele Mariotti, che offre una delle sue più convincenti prove concertistiche. Ovazioni per il pianista Roberto Cominati.
BOLOGNA 5 novembre 2015 - È ricominciata la stagione lirica, sono ripresi i concerti del Bologna Festival e di Musica Insieme, l'anno accademico ha avuto inizio, l'autunno è ormai inoltrato e ritornano anche gli appuntamenti sinfonici del Comunale.
Si riparte con Brahms, eletto a fil rouge dell'intero cartellone concertistico, e con quel pezzo emblematico dei dolori (artistici) del giovane Johannes che è il Concerto n. 1 in re minore per pianoforte e orchestra op. 15, tormentato debutto nella scrittura orchestrale, concepito inizialmente come sinfonia e sviluppato fra mille dubbi e ripensamenti, in una costante insoddisfazione, enfatizzata anche dalle drammatiche circostanze contemporanee del tentativo di suicidio e del conseguente precipitare delle condizioni dell'amico Robert Schumann, effettivamente scomparso prima del debutto della partitura.
Michele Mariotti sul podio e Roberto Cominati alla tastiera ne fanno una riflessione quasi cameristica, certo atipica nel panorama del grande concerto pianistico, là dove il solista offre sonorità raccolte, asciutte, un'essenzialità elegante di tocco che sembra quasi astratta, una sorta di fantasma di Schumann, ma anche di punto di riferimento, di àncora rassicurante per il compositore poco più che ventenne che, dai primi lavori pianistici, per la prima volta si avventura nella scrittura per orchestra. Lo strumento solista è lì, suona discreto, ma non dimesso, bensì prezioso elemento di una sorta di ensemble allargato nel numero ma non nello spirito. Non sembra intenzionato a combattere, a far la voce grossa e resta così il centro ideale di un lavoro non privo di tratti impetuosi o dolorosi, ma che nel perlage raffinato di Cominati sembra sempre ritrovare l'origine e l'equilibrio, talora in modo sorprendente, spiazzante, ma sempre intelligente e intrigante; la chiave di lettura chiara, salda e non banale, il tema svolto con maestria.
Il bis, sofisticato e coerente con la personalità del solista, è il Kupelwieser Waltz di Schubert trascritto da Richard Strauss, piccolo gioiello dal fascino ambiguo reso con gioco di colori ben calibrato.
Nella seconda parte appare il punto di riferimento principale, e il principale oggetto di reverenziali timori, di Brahms, Beethoven, con la Sesta Sinfonia. Partitura ideale per la sensibilità di Michele Mariotti, che subito introduce il discorso in medias res, come se il tema del primo movimento stesse già scorrendo liberamente e noi, visitatori, lo incrociassimo nel suo fluire. Un fluire asciutto e quasi cameristico, ancora una volta, contestualizza alla perfezione la Pastorale nella percezione protoromantica della Natura, nel linguaggio e nell'estetica del primo Ottocento. Colpisce, in questo senso, come nel Terzo movimento le danze villerecce non s'impongano con quel suono grassoccio altrove riconosciuto, ma alleggeriscano i gravi e colgano nel fraseggio e nelle arcate un altro, non meno efficace, tono popolare e festoso. L'organico non è smagrito, e lo stile, la levità si trovano nell'accento, talora secco, nervoso, talaltra morbidamente plasmato fra crescendo e diminuendo; la semplicità apparente è frutto di una studiata coscienza stilistica.
L'orchestra del Comunale si dimostra sempre concentrata, efficace soprattutto in Beethoven ma ben inserita anche nella lettura brahmsiana di Mariotti e Cominati, salutati da un pubblico più numeroso del consueto con vivissimi applausi, che prendono i contorni dell'acclamazione per il solista dopo la prima parte.