di Roberta Pedrotti
Bel concerto, per Musica Insieme, della violinista tedesca Arabella Steinbacher con gli archi del Festival di Lucerna.
BOLOGNA 30 novembre 2015 - Il nome del Festival di Lucerna è di per sé una garanzia, e non solo per quel che ha significato la manifestazione elvetica negli ultimi anni di Claudio Abbado. Lo è per il valore simbolico fondamentale fin dalle origini di un festival di incontri e di pace dove grandi musicisti trovarono spazio neutrale mentre il Reich stendeva i suoi tentacoli sulle scene austrotedesche e sugli alleati. Sarà forse per questa vocazione genetica che, anche senza direttore, l'armonia della sua orchestra d'archi da camera risulta così tersa e naturale, così esatta e affabile. Perfino un brano di assoluta maniera come la Holberg Suite di Grieg trova, nella cifra elegante e cordiale di questo ensemble perfettamente affinato, una sua più decisa ragion d'essere, soppesando bene i sapori dal falso antico di questo hors d'oeuvre al vero Settecento delle tre portate principali mozartiane.
Cuore del programma sono i due concerti per violino n. 4 KV in re maggiore 218 e n. 5 in la maggiore KV 219, affidati all'archetto solista di Arabella Steinbacher, radiosa in un bell'abito di seta viola dal corpetto ricamato che avrebbe fatto la felicità del Pierluigi Pizzi dei tempi d'oro. Più della cornice, è il contenuto, però, a fare la nostra felicità, quando dal suo Stradivari cava un suono di miele, con un legato morbidissimo dai piani carezzevoli, sempre ben sostenuti. Fraseggia fra le dinamiche con un'eleganza invero seducente, una fluidità di articolazione sempre ben definita nei contorni, controllata con un sorriso. Le cadenze sono tutte di gran gusto, soprattutto quelle dei movimenti lenti centrali, e sanno ripiegarsi come in un inchino anche in chiuse composte, in piano e senza fronzoli.
Nel bis, Les furies di Ysaye, ha poi agio di mostrare – fuori dagli affetti rousseauiani di questo Mozart che non potremmo certo dire, semplicemente, galante – una perfetta versatilità che nulla cede in eleganza, ma ben si presta al virtuosismo dinoccolato del belga.
Gli archi (cui si uniscono corni e oboi di non inferiore qualità) di Lucerna le fanno da perfetta corona, in impeccabile affiatamento e unità d'intenti, giocando anche con gusto nei momenti più estrosi, come il travolgente rondò turchesco del concerto n.5.
E dopo il commiato della solista, viene quello del collettivo e del suo primo violino Daniel Dodds con la Sinfonia n. 29 in la maggiore KV 201: un piccolo gioiello di equilibrio fra misura cameristica, levigatezza canoviana e sfumatura à la Fragonard, e un fremito più inquieto, una propulsione già matura verso un pensero musicale sempre più ampio e ombreggiato. L'ultimo movimento è anche il bis che il concerto si chiude fra gli applausi in platea e gli abbracci sul palco, non prima di aver delibato una seconda volta l'impasto esattissimo e levigato di archi e corni impeccabili.