di Alberto Ponti
Vilde Frang e Juraj Valčuha interpretano all’Auditorium Toscanini il concerto per violino del compositore inglese
TORINO, 27 novembre 2015 - Per buona parte dell’Ottocento mancò alla Gran Bretagna un grande compositore che ponesse la musica inglese a un livello se non pari quantomeno vicino a quello di altre nazioni europee come Austria, Francia, Germania, Italia, Russia. I più nazionalisti fra i sudditi britannici credettero infine di avere trovato questa figura in Sir Edward Elgar (1857-1934), eclettico e talentuoso autodidatta, autore di musica eminentemente strumentale, che si cimentò con la grande forma sinfonica passata la quarantina, come a raggiungere un meritato traguardo nel cursus honorum di un compositore di rispetto. Il colossale e assai meditato Concerto per violino (1909-1910) si colloca all’apice della sua carriera compositiva e godette di un grande e immediato successo.
L’irrompere sulla scena del genio di Benjamin Britten (1913-1976), massimo musicista inglese dai tempi di Henry Purcell, atteso per due secoli, fu una sorta di rivoluzione copernicana. Il ventiseienne Britten, dopo alcune precoci composizioni orchestrali, scrive il suo concerto per violino in re minore nel 1939. Fin dall’idea ritmica iniziale dell’opera, esposta dai timpani e ripresa come per gemmazione da altri strumenti, su cui il solista innesta un canto di struggente dolcezza, si è di fronte a una capacità inventiva e una sicurezza nel condurre l’ispirazione che ricercheresti invano lungo tutti i 50 minuti dell’analogo lavoro della maturità elgariana. La lettura che ne dà la giovane (1986) violinista norvegese Vilde Frang, con Juraj Valčuha sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, pone in luce il carattere serio ma non drammatico di un pezzo, scritto in uno dei momenti più bui della storia europea, che concede abbastanza poco al virtuosismo. Anche nel secondo movimento, un ‘Vivace’ di sapiente leggerezza che sembra fatto apposta per la sonorità ‘nordica’ della Frang, prevale il dialogo fra il violino e le sezioni dell’orchestra, con alcune raffinatezze timbriche che valgono da sole l’ascolto come il dialogo fra due ottavini e il bassotuba (forse reminiscenza dei Pianeti di Holst), assecondate con proprietà dalla conduzione di Valčuha.
Conclude l’opera una grandiosa passacaglia in cui la brava musicista si districa con maestria riuscendo con un suono di compatta luminosità a dare un senso unitario, senza però mai cadere nell’uniforme, a un movimento che attraversa stati espressivi anche assai differenti fra loro.
Applausi convinti del pubblico, anche dopo la trascrizione per violino solo di un pezzo pianistico di Grieg, offerto dalla Frang fuori programma come omaggio alla propria terra.
Nella seconda parte del concerto era in programma la sinfonia Scozzese in la minore di Mendelssohn (1809-1847), caposaldo del repertorio romantico. L’interpretazione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale guidata dal maestro slovacco, anch’essa a lungo applaudita, ne mette pienamente in luce l’aspetto paesaggistico e naturalista che convive con un senso perfetto della forma sinfonica, malgrado alcune sbavature nelle parti, a volte impervie, dei legni e degli ottoni.