di Stefano Ceccarelli
L’ultimo concerto del 2015 all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è La creazione (Die Schöpfung) Oratorio in tre parti, per tre voci soliste, coro e orchestra Hob. XXI: 2 di Franz Joseph Haydn, il più celebre oratorio dell’austriaco, vero capolavoro sacro del classicismo fin de siècle. Sul podio Andrés Orozco-Estrada; solisti Christiane Karg (Gabriele/Eva), Benjamin Bruns (Uriele) e Günther Groissböck (Raffaele/Adamo). Il concerto è inserito all’interno degli eventi di musica sacra connessi ai festeggiamenti giubilari.
ROMA, 22 dicembre 2015 – Raramente si ha il piacere di sfogliare avidamente un programma di sala come quando si legge che l’autore della nota è Bruno Cagli, fonte inesauribile di notizie e di pertinenti quanto profondi giudizi. Proprio Cagli riporta la felice definizione che di Haydn diede un giornale inglese: lo «Shakespeare della musica […] vanto della nostra era». Ascoltare le bellezze musicali de La creazione mentre si sorseggiano le parole di Cagli è esperienza inebriante. Ma veniamo all’esecuzione. Il colombiano Andrés Orozco-Estrada, già da tempo ospite fisso all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, torna quest’anno, dopo il mozartiano Requiem , con un’altra grande opera sacra, un oratorio che è più un melodramma italiano che un poderoso, michelangiolesco, affresco sacro. Seppur abbia diretto indubbiamente bene, e con trasporto, la sua esecuzione è più estetica che intima, realmente comprensiva: assapora i frutti che coglie, ma non s'interroga molto sulla loro natura; intarsia timbri, cavalca ritmi, ma non sempre comprende fino in fondo ciò che sta dirigendo. Il che è un vero peccato: ha sotto la sua bacchetta una delle migliori orchestre al mondo, per suono, compattezza e cultura. Lo si vede lampantemente ne La rappresentazione del caos (n. 1): tutto il gioco coloristico che Cagli coglie nelle parole «illuministicamente il caos sembra inteso come mancanza di luce più che di forma», Orozco-Estrada non l’afferra intimamente, lasciando anzi troppo spazio a talune dissonanze e di fatto svolgendo il magma orchestrale con poco carattere. La prova del nove è, infatti, la sua perfetta riuscita, invece, nell’aurora che apre la parte III: un placidissimo preludio estatico, di straordinaria bellezza, che va colto proprio nel suo fluire puramente estetico, più che contenutistico. È con l’entrata del coro, con un filato che parte sottovoce e rimane sul p, fino a giungere al celebre verso «“Es werde Licht!” und es ward Licht», dove su «Licht» («dixitque Deus fiat lux et facta est lux») esplode l’accordo di do maggiore: potentissimo, regale, magnifico.
Il coro è straordinario: ogni complimento è pleonastico al sentimento di godimento sonoro, puro, effusivo, poetico, che le loro voci assieme regalano. Un vero peccato che, di questi tempi, il coro canti sempre troppo poco: il mio augurio è che possa donarci sé stesso, sempre più e in sempre più numerose occasioni. La stessa luce il coro profonde nel giubilo del finale I, come pure nella potenza commovente del finale II e nella fuga del III. Come dimenticare, poi, momenti straordinari al pari della progressione sfumata che riescono a eseguire sui versi inframmezzati al Duett mit Chor (n. 28) quando adorano la terra? Insomma, una performance praticamente perfetta. Anzi, a ben vedere, è il coro il vero protagonista della serata.
Buoni, dal par loro, i solisti. Christiane Karg ha una voce vibratissima, chiara, dal timbro gradevole: peccato sia un tantino metallica quando sale agli acuti o cambia registro. Le due arie di Gabriele sono un portento di tecnica, colore, soffusa delicatezza, nella loro contemplazione delle gioie naturali del creato. Nell’enorme duetto finale, nei panni di Eva, la Karg deliba dolcezze celestiali, e la sua voce si sposa perfettamente con quella di Groissböck (Adamo): si veda il Duett (n. 30) dove al culmine dell’emozione la cantante infiora il canto facendo eco alle parole di Adamo, dando poi via a quella sorta di cabaletta che è «Mit dir erhöht sich jede Freude».
Benjamin Bruns, dalla voce chiara e squillante, staglia un buon Uriele. Attento soprattutto ai colori e alla pasta del recitativo, si fa apprezzare fin dalla prima aria (n. 3) dove ben evoca la caduta degli spiriti infernali facendosi trasportare dalla musica. Nel recitativo della nascita degli astri (n. 12) sa ancora dar mostra di abilità volumetriche e coloristiche (nell’opposta evocazione musicale della nascita del sole e della luna); ma palesa anche slanci epici nell’aria in cui descrive la creazione dell’uomo, «König der Natur». Peraltro, in questo affresco di rigoglio edenico, Uriele è l’unico che fa intravedere la caduta, la hybris del frutto proibito, proprio nel suo ultimo recitativo (n. 31).
Il basso Günther Groissböck è certamente il miglior interprete in sala, per vocalità e gusto: una voce piena, profonda, a tratti tenebrosa (ma dal nòcciolo chiaro), molto esplosiva – passi pure che tende a abbassare troppo l’emissione, a tratti ingolando lievemente. I recitativi sono nobili e scolpiti, le arie hanno molto carattere (si sentano gli accenni bucolici del finale della n. 7 e la contemplazione campestre del recitativo n. 21; l’epicità, con effetti grotteschi degli ottoni, della n. 22; la creazione degli essere acquatici e celesti, n. 16, che termina nella nota bassissima su «in eurem Gott»); il duetto finale come Adamo è ottimamente cantato – splendida la messa di voce su «Holde» che apre il Duett n. 30: l’ordito del canto delle due voci, di Adamo e Eva, si sposa perfettamente con i dolcissimi effetti orchestrali. In generale tutti i momenti d’assieme (i vari duetti e terzetti, eventualmente col coro) sono cantati splendidamente.
Nel fluire della musica si avvertono patenti eco mozartiane: Idomeneo, Clemenza di Tito e Zauberflöte emergono più o meno consciamente nella musica di Haydn. Mozart era morto nel 1791; La creazione muoveva i suoi primi passi nel 1796 e, benché testo sacro, «dietro, sopra, dentro la musica, il messaggio di umana fratellanza lanciato dalla Massoneria» (P. Mioli) si fa ben sentire. Si pensi solo a quanto la descrizione del caos deve a sonorità, accordi, echi “massonici” così penetranti nella Zauberflöte mozartiana. Gli applausi sono calorosi, benché il pubblico in sala non sia numerosissimo: chiunque voglia godere di questa esecuzione de La creazione può comodamente farlo su RaiRadio3 o Rai5 (la ripresa del 21 dicembre).