di Roberta Pedrotti
B. Britten
The rape of Lucretia
Ainsley, Boylan, Maltman, Connolly
direttore Paul Daniel
regia David McVicar
Aldeburgh Festival, giugno 2001
DVD Opus Arte OA 1123 D, 2013
Fra i compositori nati nel XX secolo, nessuno può avvicinarsi alla statura di operista di Benjamin Britten, che si colloca indubbiamente nell'olimpo ristretto dei più grandi autori di teatro in musica di ogni tempo.
Sembra impossibile citare un titolo del suo catalogo senza affiancargli l'epiteto di capolavoro, e tale è certamente The rape of Lucretia, felicemente proposta in DVD, in occasione del recente centenario britteniano, nella magnifica edizione registrata dalla BBC al festival di Aldeburgh nel 2001. La messa in scena è firmata da David McVicar, allora trentacinquenne emergente, oggi uno dei registi più richiesti e ammirati del panorama internazionale, ed è semplicemente mozzafiato. Colpisce già in McVicar la capacità di lavorare con i cantanti costruendo il personaggio con una recitazione di altissimo livello: non c'è un dettaglio, un'alzata di sopracciglio, un tremito di un labbro o un minimo gesto della mano che non sia insieme perfettamente studiato e naturalissimo, che non restituisca una tensione palpabile anche di fronte all'occhio cinematografico della telecamera e non possieda, parimenti, una vivida dimensione teatrale. Questa cura è però soprattutto intimamente legato a una lucida analisi della struttura della partitura e dei suoi due piani narrativi, quello dell'azione vera e propria, con lo stupro di Lucrezia da parte del principe Tarquinio come atto finale della monarchia (e della dominazione etrusca) a Roma, e quello dei cori, il cui ruolo classico di commento, narrazione, interazione è incarnato da due soli interpreti, un tenore e un soprano.
McVicar sviluppa il loro ruolo sfruttandone la complessità e l'ambiguità, ma soprattutto le differenze, dando forma e drammaturgia anche al rapporto fra le voci astratte e universali dell'uomo e della donna. Così il ruolo più narrativo, storico e razionale del tenore si ammanta di nuova profondità quando partecipa alle riflessioni di Junius e Tarquinius fin quasi a farsi suggeritore dei loro piani perversi, quando si confronta anche nelle sue meditazioni teologiche (il particolare il parallelo fra il sacrificio dell'innocente Lucretia e quello di Cristo) con la prospettiva in apparenza più lirica e delicata del soprano, in realtà critica e innervata da una profonda forza morale. L'intreccio progressivo della voce e della riflessione contemporanea con il mito che pian piano prende vita, è reso alla perfezione anche dalla concertazione di Paul Daniel, duttilissima nel delibare il preziosissimo intreccio strumentale volto a dare concretezza formale alla struttura drammaturgica, a rinnovare i principi antichi di recitativi, ariosi, arie e concertati in un progetto affatto moderno: classico ed eterno. Il finale del primo atto, il concertato del commiato notturno, è un vero prodigio di sospensione presaga.
Nella bella ripresa video curata da Sue Judd ci resta il solo rimpianto dell'effetto teatrale delle luci sulla conclusione del drammatico duetto dello stupro, cantato e recitato in maniera superba, tanto che l'avvertimento per le “scenes of sexual nature and brief nudity” pare un'inutil precauzione, sia per il soggetto che renderebbe sorprendente il contrario, sia per l'assoluta, tragica inevitabilità di quel seno nudo, per nulla morboso, in una scena resa con tale sconcertante bravura. Christopher Maltman, d'altra parte, è un Tarquinius che non si potrebbe immaginare migliore: trentunenne gagliardo, prestante, occhi azzurrissimi con un quid d'infantile e di perverso, d'ambizioso e di ferino, d'istintivo e di fragile nello sguardo, vocalità virile e tornita, musicalità sopraffina. Basti ascoltarlo filare la messa di voce su “Good night, Lucretia” e trapassare dalla galanteria alla minaccia, dall'insinuazione alla seduzione con una tale sottile naturalezza per farne un interprete straordinario, sconvolgente. Sarah Connolly, Lucretia, ha il portamento rigoroso della casta matrona affascinante proprio per il suo riserbo, e canta con un senso dell'articolazione della parola, della nobiltà dell'intonazione, della dignità e del pudore che seducono perché corrispondono a un'anima elevata ma non aliena da passioni e desideri, anche ardenti e, forse, inconfessabili. Il terzetto femminile, che pare comporre un quadro ideale delle tre età della donna, è completato assai bene dalla materna Bianca di Catherine Wyn-Rogers e dalla fresca Mary Nelson, il cui retrogusto timbrico acerbo ben s'attaglia all'adolescente Lucy e alla sua lieve innocenza. Per contro i tre uomini rappresentano la virtù del Pater Familias, Collatinus, l'invidia e l'ambizione politica, Junius, l'istinto, la passione e la sensualità senza freni, Tarquinius, ed è completato dalla sensibilità magnanima (in senso etimologico) del basso Clive Bayley e dal fraseggio tagliente e magnetico del baritono Leigh Melrose, tutti bravissimi, ben differenziati nel colore vocale e capaci di dar vita a un assieme di vaga suggestione timbrica. Detto che John Mark Ainsley non è men che superbo come Coro maschile, insinuante, razionale, pietoso e autoritario in perfetto accordo con le indicazioni di McVicar, e lodata la ferma dolcezza del Coro femminile di Orla Boylan, non resta che rammaricarci dell'assenza di sottotitoli in italiano (e di qualsivoglia traduzione per l'intervento di McVicar nel bonus) e consigliare comunque caldamente questo DVD a tutti coloro che già conoscono e amano questo gioiello del teatro musicale come a coloro che non abbiano ancora avuto occasione di apprezzarlo.