L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’altro Stabat

Dopo il monumentale Stabat Mater di Dvořák, il testo di Jacopone da Todi torna nella cattedrale di Pisa nel celeberrimo adattamento di Giovan Battista Pergolesi, con la direzione di Antonio Greco.

PISA, 18 settembre 2024 – Come già riportato nella recensione del concerto d’apertura, per il direttore artistico Trevor Pinnock lo Stabat Mater è il tema conduttore della XXIII edizione di Anima Mundi, un’anima «che grida il dolore di madri che piangono i loro figli, uccisi dalla guerra, uccisi da una violenza che quotidianamente la cronaca ci racconta», come riporta l’intervista di Avvenire. Così, dopo il monumentale Stabat Mater di Dvořák, il testo di Jacopone da Todi torna nella cattedrale di Pisa nel celeberrimo adattamento di Giovan Battista Pergolesi, cosa che comporta un notevole cambio di paesaggio: dai monumentali pezzi sacri da concerto dell’Ottocento a quell’essenzialità liturgica tutta barocca c’è un differenziale importante, anche andando oltre alle questioni di stile e linguaggio. Esiste però un fondamentale punto di contatto fra le due partiture: entrambi gli Stabat sono costruiti con elementi ricorrenti in grado di conferire organicità alla struttura a numeri chiusi, una strategia che consente ai due autori di liberarsi da temi o melodie ricorrenti in favore di un’elaborazione più agile del materiale impiegato.

Antonio Greco – già presente lo scorso anno nel cartellone della rassegna con le Sette parole di Haydn – propone una direzione consapevole di gesti e materiali ricorrenti, marcando ora la caratteristica linea del basso che riaffiora periodicamente in molti numeri o la cellula croma-semiminima che caratterizza ben quattro numeri (un terzo del totale), per non fare che due esempi. Sotto il suo gesto il meraviglioso complesso dell’Orchestra Cremona Antiqua si rende protagonista di un’esecuzione assai raffinata, con una lettura chiara e asciutta in cui non si lesina sui tratti spigolosi, come Pergolesi comanda: si sottolineano le dissonanze (emblematici gli urti di seconda del primo numero raggiunti di salto), i suoni secchi e gli accenti marcati.

Ci sono alcuni passi che potevano conoscere una resa migliore, ad esempio l’Allegro su «Pro peccatis suae gentis» che risulta un poco sottotempo, poco nervoso con quegli archi che abbondano di legato e soprattutto troppo poco sanguigno; simile problematica anche la prima fuga (“Fac, ut adreat cor meum”), troppo quieta nell’intenzione. Il “Quando corpus morietur” è così lento da mettere in difficoltà entrambe le voci: d’accordo sull’indicazione Largo assai e si capisce la necessità di una dilatazione dell’agogica, però in questo caso era necessario aggiungere almeno una o due tacche di metronomo.

Al netto di questo, si ribadisce il notevole esito dell’esecuzione e con alcune vette rilevanti come nel sentito “Sancta mater, istud agas” in cui le due parti di violino si producono in una spiccata cantabilità, o le tre terribili battute introduttive del “Fac, ut portem Christi mortem” con quelle appoggiature così dolorose da portare quasi al terrore, o ancora gli accenti a tratti ossessivi delle piccole spirali imitative di “Eia, mater, fons amoris”. Tutto è bilanciato con ottimo gusto, riuscendo a rendere e con efficacia la continua alternanza degli affetti e dei crudeli contrasti impiegati da Pergolesi in senso espressivo. La chiusura con la fuga sull’Amen è a dir poco esplosiva benché calibratissima e senza alcunché fuori posto, esattamente il tipo di temperamento che questo Stabat Mater richiede in ogni sua parte.

Molto bene il soprano Hilary Aeschliman, dotata di una morbida vocalità e di una bella proiezione. Se si vuole davvero cercare il proverbiale pelo nell’uovo si può osservare che nella dizione qualche consonante risulta poco chiara, ma a fronte di una interpretazione tanto riuscita si può ben parlare di piccolezze. Aeschliman risulta convincente tanto nei passi più spigliati quanto in quelli caratterizzati da maggior intimità (e qui è difficile non pensare al “Vidit suum dulcem natum”, così ben cesellato), avvalendosi anche di un fraseggio piuttosto scrupoloso.

Sveva Pia Laterza possiede un bellissimo timbro, l’intonazione è pulita, ha una grande precisione nella linea vocale e nella realizzazione degli abbellimenti, ma in questo concerto il suo strumento aveva molte difficoltà ad imporsi all’orecchio. Si tratterà senz’altro di una “serata no”, ma constatando quali (e quante) frecce abbia al proprio arco è un peccato non avere avuto l’opportunità di ascoltarla al meglio delle sue possibilità.

Nel corso del concerto è stato anche eseguito il brano vincitore del “XVI concorso di composizione sacra Anima Mundi”, Crux fidelis di Raffaele De Giacometti. Ascoltando il pezzo – che ha il medesimo organico dello Stabat pergolesiano – non è difficile comprendere le motivazioni della scelta della giuria: il lavoro ha una splendida espressività, così come una concezione del melos che si sposa bene con l’esigenza di un impiego anche liturgico, inoltre possiede una scrittura chiara e di buon effetto tanto negli archi quanto nelle voci e, parlando proprio del trattamento delle voci femminili, propone sempre linee che non affaticano il canto ed è sempre presente un riferimento (non per forza un raddoppio) nella parte strumentale così da poter fornire un sostegno in più alla voce.


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