di Stefano Ceccarelli
Dedicato alla memoria di Adriana Panni, prestigiosa organizzatrice musicale delle stagioni dell’Accademia Filarmonica Romana, da poco defunta, il concerto inaugurale della Filarmonica vede sul palco il celebre violinista Uto Ughi, accompagnato al piano da Marco Grisanti, con un programma affatto variegato, spaziante da Bach a Ravel.
ROMA 23-10-2014 – Nella cornice del Teatro Olimpico, si svolge l’apertura della corrente stagione musicale dell’Accademia Filarmonica Romana; e si apre con il ricordo di una sua scomparsa organizzatrice musicale, Adriana Panni, amica stimata di musicisti come Stravinskij e Boulez. La prima parte del concerto − in una cornice di gala − è interamente dedicata a Bach: Partita n. 2 in re minore per violino solo BWV 1004. Ughi, dall’eleganza impeccabile, si presenta solo sul palco e attacca l’Allemande. Come afferma nell’intervista fra le note di sala, intende affrontare Bach nella maniera meno espressiva possibile, epurandolo da sovrastrutture di gusto, quindi volendone leggere l’architettura formale, il puro pensiero della successione delle note. L’operazione gli riesce in parte: la lettura scientifica si percepisce distintamente, adamantina, algida, ma nelle prime due sezioni (Allemande e Courante) l’esecuzione è astenica, un po’ soporifera, non esente da qualche lieve problema d’intonazione, qua e là. Ma già dalla Sarabande l’agogica cambia: emerge il suo istrionico virtuosismo (Gigue), il suo fraseggio più limpido, soprattutto nei passaggi più veloci e ardui − tutti sull’arco, compatti. La performance della Chaconne è su questa linea.
Il secondo tempo prevede un programma più singolare: tre brani di Henryk Wieniawski, uno di Camille Saint-Saëns e infine uno di Maurice Ravel. Lo accompagna al pianoforte il bravo e attento Marco Grisanti. Al microfono, con una certa verve comunicativa, Ughi spiega chi fu Wieniawski e lo definisce come il Paganini polacco, oppure il Čajkovskij del violino: quella sua inconfondibile melense cantabilità slava lo lega allo zal chopiniano. Ughi incomincia con Legénde op. 17, incarnando bene l’espressività slava e presentando un’intensità agli antipodi della sua esecuzione bachiana, dimostrando un’assoluta versatilità; alla fine di una sezione più coreutica, allegra, esegue un portamento mozzafiato, con ottimo controllo della tecnica. Prosegue nell’elegantemente mondana Polonaise de concert n. 1 in re minore op. 4, dal gusto totalmente chopiniano, dove mescola una brillantezza di fraseggio a una certa nonchalance nell’esecuzione disinvolta delle difficoltà. Termina il ciclo Wieniawski con un delizioso Scherzo tarantelle op. 16, cui il ritmo saltellante, vagamente ‘tarantellato’, mette in evidenza le sue buone doti. Di gusto impressionistico, l’incipit della Introduction et Rondo capriccioso op. 28 − nella trascrizione per pianoforte e violino − di Saint-Saëns, cui segue lo spagnoleggiante rondò, dove Ughi staglia un eccellente acuto dal vago sapore ludico. Termina il concerto con la Tzigane «rapsodie de concert» di Ravel, dove esegue intensamente l’ampia introduzione per violino solo, al quale si aggiunge, con delicati arpeggi, il pianoforte; indi, tutt’e rotolano assieme in un ritmo frenetico, tutto in contrattempo, dando risalto alla patina popolare e orientaleggiante della ritmata danse.
Come primo bis programmato, eseguono il secondo dei tre ballabili della Danza degli spiriti beati da Orfeo ed Euridice di Gluck − in versione per pianoforte e orchestra, chiaramente −, ad memoriam della Panni; dopo un lungo applauso, regalano anche un riadattamento della prima danza orchestrale da La vida breve di Manuel De Falla. Il successo è sancito da una calorosa ovazione.
foto Chiara Vittorini