di Emanuele Dominioni
Preceduta da un gustoso inedito donizettiano, Betly, atto unico con testo e musica del Bergamasco, torna in scena nell'originale versione napoletana con dialoghi parlati. Un piccolo gioiello, ben interpretato da un cast di giovani cantanti.
BERGAMO, 8 novembre 2014 - Betly va in scena in un Teatro Sociale di Bergamo fresco di restauro: uno scrigno prezioso che offre una cornice suggestiva e invero assai accogliente, all’ignota opera comica di Donizetti.
Si tratta della ripresa in tempi recenti del titolo in cui viene ripristinata la versione originale con recitativi parlati eseguiti alla prima napoletana del 1836. Donizetti sulla scia del Campanello si ripropone in veste di librettista e compositore, nonostante egli stesso ammettesse di essere davvero poco avvezzo all’arte poetica e sovente si schermisse per questo motivo con colleghi ed amici.
Betly riscosse un crescente successo supportato dalla freschezza del soggetto e dalla vivacità musicale dei numeri.
Molte sono le reminiscenze musicali e le analogie drammaturgiche con le altre opere del bergamasco che ritroviamo in questa breve composizione scenica. Non si posso non notare le somiglianze fra Max e Belcore e Sulpice, fra Adina e Betly, e lo stesso Daniele si pone sulla scia dell’archetipo del tenore grazia innamorato: da Lindoro, al Conte d’Almaviva, fino a Nemorino e più tardi, Ernesto. La vicenda stessa ci rimanda inevitabilmente col pensiero alla Sonnambula e La fille du régiment sia per ambientazione, sia per similitudini narrative. Il carattere farsesco dell’intrigo e il limitato canovaccio della trama, non hanno però inficiato il valore musicale dell'opera; siamo qui di fronte a un Donizetti maturo ed elegante. I tredici numeri che compongono l’opera ci svelano una qualità musicale che dischiude le porte ai capolavori futuri e disegnano i personaggi in modo incredibilmente compiuto, lungi dal farne semplici maschere buffe stereotipate.
La ripresa di Betly all’interno del Festival Donizetti 2014 si avvale della regia di Luigi Barilone con scene di Luca Dalbosco e costumi di Alfredo Corno. Intrigante e funzionale l’idea di posporre la vicenda agli inizi del ‘900 presso un’elegante hotel di lusso in cui coro e comparse erano impegnate nel vestire i panni del personale dell’albergo e ovviamente, del reggimento del sergente Max. Interessanti e caratteristiche anche le proiezioni di alcune cartoline con paesaggi svizzeri e messaggi pubblicitari per i turisti come sfondo all’azione, nonostante a lungo andare risultassero lievemente ridondanti e in ultima analisi potessero essere benissimo sostituite da un arredo scenico più realista e meno didascalico. Dispiace però che le attenzioni registiche non siano state indirizzate a una migliore qualità della recitazione (e dizione) dei protagonisti. Il carattere già di per sé formalmente discontinuo dell’opera, creato dagli stacchi fra recitativi parlati e musica, finiva inevitabilmente per essere rimarcato dall’inadeguatezza attoriale dei cantanti, e imprimeva alla vicenda un carattere macchinoso e drammaturgicamente incostante.
Il secondo cast vedeva in Elisa Maffi protagonista fresca e vivace, dalla vocalità assai accattivante e mobile, a suo agio nei passi virtuosistici come in quelli più lirici. Solo qualche problema in zona acuta, in cui la fissità di alcuni suoni ne metteva talvolta a rischio l’intonazione. Buona la prova di Enrico Iviglia come Daniele, dotato di voce morbida e ben scandita nel fraseggio. La vocalità è quella del tenore di grazia con acuti che sfiorano il falsetto e che ben si integrano stilisticamente al contesto musicale. Anche il Max di Paolo Ingrasciotta è ben caratterizzato scenicamente, e ci offre una linea di canto nitida e ben supportata tecnicamente.
Non lo stesso si può dire della lenta e spesso imprecisa direzione di Giovanni Battista Rigon, che ci presenta un accompagnamento al canto sovente privo di brio e accuratezza ritmica che una simile partitura esigerebbe. La concertazione è parsa in ultima analisi alquanto trascurata nella relazione col palcoscenico. Positiva musicalmente e brillante scenicamente la performance del coro del Festival Donizetti diretto dal maestro Fabio Tartari.
Piccola postilla: è stata eseguita prima dell’inizio dell’opera l’aria “Donne voi che siete si care e si preziose” il cui autografo donizettiano è stato recentemente rinvenuto e oggetto di studi a Bergamo. Brano di indubbia impronta rossiniana, è stato ben interpretato dal basso Gabriele Sagona.