di Carla Monni
Accanto ai concerti delle icone del jazz moderno, incontri, masterclass e soprattutto il grande successo della Big Band del Conservatorio di Musica G. B. Martini, all’interno del Bologna Jazz Festival 2014
BOLOGNA, 28 ottobre-22 novembre – Si è conclusa il 22 novembre la IX edizione del Bologna Jazz Festival, l’evento jazz autunnale che per un intero mese con oltre venti concerti ha riempito i locali e i teatri principali bolognesi – Teatro Manzoni, Arena del Sole, Teatro Duse, il new entry Unipol Auditorium, Cantina Bentivoglio e Bravo Caffè – e ferraresi – Teatro Comunale Claudio Abbado e Torrione Jazz Club. Dalla frenetica pianista giapponese Hiromi Uehera che ha aperto le danze, ai ritmi africani e il soul della Dee Dee Bridgewater Band, dalla musica “vintage” di Bill Frisell all’accattivante groove del quartetto Medeski-Scofield-Martin & Wood, questi sono solo alcuni spunti di quello che si è potuto ascoltare in questa annata 2014. Ad arricchire il festival sono stati inoltre una serie di eventi collaterali tra cui la rassegna Jazz Insights, ovvero quattro lezioni-concerto tenute dal pianista bolognese Emiliano Pintori al Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, e dedicate a quattro protagonisti della musica americana e afroamericana di estrazione musicale differente. Il musicista con il suo strumento ha raccontato lo swing di Cab Calloway, le eleganti song americane di Cole Porter, le molteplici sonorità della musica nera di Ray Charles, l’album capolavoro A Love Supreme di John Coltrane, il tutto incrementato da aneddoti, curiosità e aspetti tecnici della loro musica. Non sono mancate poi le proiezioni cinematografiche al Cinema Lumière; due sono stati i cortometraggi trasmessi e diretti dal poliedrico regista, nonché appassionato di musica jazz, Gianni Amico: Noi insistiamo. Suite per la libertà subito (Italia/1964), film ispirato all’album del 1960 del batterista Max Roach e del paroliere Oscar Brown Jr., We Insist! Freedom Now Suite, manifesto del free jazz che ripercorre la lotta per l’emancipazione degli afroamericani; e Appunti per un film sul jazz (Italia/1965), un documentario girato durante il Festival Internazionale del Jazz di Bologna del 1965, al quale parteciparono musicisti del calibro di Gato Barbieri, Don Cherry, Cecil Taylor e Mal Waldron. Accanto alle due proiezioni è stato inoltre trasmesso il documentario L'uomo Amico di Germano Maccioni, dedicato interamente alla figura poliedrica del regista e nato da un'idea del figlio Olmo Amico, con interviste inedite al regista Bernardo Bertolucci, al critico giornalista Tatti Sanguineti e al musicologo Stefano Zenni. Sempre al Lumiére è stato proiettato il lungometraggio Charles Lloyd: Arrows Into Infinity (USA/2012) di Jeffery Morse e Dorothy Darr – tra l’altro moglie e manager del musicista protagonista – documentario dedicato alla vita, alla carriera e alla musicadel leggendario sassofonista Charles Lloyd, a metà tra tradizione e sperimentazione jazzistica, che la sera seguente ha sfoggiato la sua raffinata musica post-bop con il suo quartetto. [segue]
Ma uno degli appuntamenti cruciali del Festival è stato il Progetto Didattico Massimo Mutti. Consolidato ormai nell’anno 2013, e arrivato dunque alla sua II edizione, il Bologna Jazz Festival lo ha riproposto anche quest’anno grazie alla collaborazione con la Fondazione del Monte e il Conservatorio Giovan Battista Martini. Il progetto è dedicato al ricordo di colui che ha fatto rinascere il Festival, e che dall’anno 2006 ne era diventato il direttore artistico, Massimo Mutti. L’iniziativa è nata con l’obiettivo di promuovere conferenze e lezioni-concerto, concentrate in una settimana, inerenti alla conoscenza storica, stilistica ed estetica dei musicisti che di anno in anno vengono eletti e – più in generale – del vasto repertorio jazz, affiancando alla teoria la pratica dello strumento e della musica d’insieme. Inoltre, durante la serata concertistica conclusiva del progetto, ogni anno viene assegnato il Premio Massimo Mutti, che consente a due dei migliori allievi del Dipartimento Jazz del Conservatorio, di partecipare ai seminari estivi dei Corsi Internazionali di Perfezionamento, realizzati dalla Fondazione Siena Jazz – Accademia Nazionale del Jazz. Quest’anno la settimana di studio è stata dedicata all’analisi e alla prassi esecutiva della musica di uno compositori jazz contemporanei più apprezzati della scena europea, dagli anni ‘70 ad oggi, il trombettista e flicornista canadese Kenny Wheeler, scomparso lo scorso settembre a Londra all’età di ottantaquattro anni. Ormai da decenni figura di riferimento dei palcoscenici londinesi (si era trasferito a Londra nel 1952), Wheeler è stato un punto cardine anche per la scena musicale italiana. Non è un caso che abbia scelto per uno dei suoi album più riusciti, The Long Waiting, edito dall’etichetta CAM Jazz, l’eclettica cantante Diana Torto, una musicista di cui il trombettista, dal fraseggio funambolico e brillante, almeno fino a quando è stato possibile, non si sarebbe privato più. E così anche l’album Nineteen Plus One,pubblicato dalla Astarte Records, determina un’altra collaborazione strettamente italiana del compositore: l’approccio armonico denso di modernismo, racchiuso in sette arrangiamenti di brani standard, sono stati incisi dalla Colours Jazz Orchestra, fondata e diretta dal trombettista Massimo Morganti.
A coordinare l’intera masterclass, indirizzata agli allievi del Dipartimento Jazz del Conservatorio, ma difatti aperta a tutti – agli studiosi o ai semplici curiosi che avrebbero voluto apprendere la musica del trombettista – sono gli stessi docenti Diana Torto e Massimo Morganti, e i suoi colleghi storici, il pianista John Taylor e il sassofonista Julian Siegel. Durante il seminario i quattro musicisti si sono dedicati alle diverse sezioni d’orchestra: Morganti alla cura degli ottoni, Siegel a quella dei sassofoni, Taylor alla ritmica e la Torto alle voci. Tutti i docenti coinvolti, che hanno avuto la fortuna di lavorare con il compositore anglo-canadese, hanno raccontato e messo in luce la musica di Wheeler, prendendo spunto da alcune delle sue composizioni più significative, melodie caratterizzate da una scrittura moderna, che alle orecchie dell’ascoltatore possono sembrare semplici, ma nelle quali, se analizzate, si trova una complessità compositiva, dettata soprattutto da un peculiare linguaggio armonico, che solo un grande artefice della musica, con l’audace capacità di sperimentare, riesce a costruire.
Si pensi infatti ai brani eseguiti dalla Big Band e dal Combo del Conservatorio di Bologna, diretti da Massimo Morganti, durante il concerto “Plays the Music of Kenny Wheeler & John Taylor” – il 9 novembre all’Oratorio San Filippo Neri – a conclusione dell’esperienza intrapresa con i quattro docenti. The Jigsaw, Mark Time e Canter #1 sono tutte composizioni costruite sommariamente su una linea melodica terzinata, orecchiabile per il fatto che la stessa cellula o motivo ritmico si spostano per gradi ascendenti o discendenti, con brevi salti intervallari, ma senza mai alcun ritorno. La cellula/motivo è ossessivamente presente e mai in espansione, e in questo modo la melodia si rivela sempre sospesa. Al contrario, per quanto l’armonia sottostante sia scarna – nel caso di Mark Time è presente un solo accordo ogni quattro battute – le musiche di Wheleer non offrono alcuna progressione armonica e spesso sono di difficile ascolto anche per gli strumentisti che poi devono improvvisarci sopra. Qui si è distinta la maestria nelle improvvisazioni del trombettista Massimo Greco – protagonista e accompagnatore della band – della cantante Elisa Mini, del sassofonista Giovanni Benvenuti e dei due vincitori del Premio Mutti, il chitarrista Davide Angelica e il bassista Giambattista Giorgi. Tra le ballad sono state invece eseguite l’elegante Salute The Night e la nostalgica Old Ballad, interpretate rispettivamente dalle voci calde di Rossella Cappadone e Sara Battaglini. Nella quiete iniziale di W. W. si dispiega di seguito un passaggio, quasi inaspettato, di improvvisazioni agitate, cariche di forza emotiva e tipicamente free, in cui prevale lo scat ritmico di Giovanni Piscopo e le note convulse di Benvenuti. In B My Dear, interpretata ancora da Piscopo e dalla voce armoniosa di Virginia Mancaniello e in Sea Lady eseguita invece da tutta la Big Band, voci e strumenti si amalgamano egregiamente in modo da costituire un singolo suono orchestrale.
Ad aprire la serata il John Taylor - Diana Torto - Julian Siegel Trio, che ha proposto alcuni brani tratti dall’album Triangoli, undici melodie dalle mille sfaccettature, firmate dalla penna di Taylor, della Torto e del contrabbassista svedese Anders Jormin. Il tema di Between Moons è contemplativo e lirico, grazie in primis all’eterea voce della cantante, anticipata piuttosto da un intro in cui il pianista e il sassofonista giocano su un motivo ostinato che si muove per moto contrario. Ballada è uno straordinario pezzo che tende invece all’impressionismo più puro, ricco di timbri e note sfumate che dirigono verso atmosfere immaginarie e sensazioni sfuggenti, complice anche la poesia di cui è impregnato il testo, scritto dalla cantante abruzzese nel suo dialetto. Ma tra i brani scelti, non poteva mancare l’omaggio a Kenny Wheeler. Everybody’s song but not my own è un brano sognante e tinto di malinconia, un giusto abbinamento ai brani pindarici che il Trio ha prediletto per la serata.
È stato un enorme successo per la Big Band del Conservatorio G. B. Martini, che si è trovata ad affrontare uno dei compositori moderni più suggestivi, ma anche più ardui della storia del jazz contemporaneo. Speriamo dunque che gli “esperimenti” non finiscano qui, anche perché, per citare le parole di Massimo Mutti, «la non novità è quella della qualità che paga sempre, perché anche nel jazz c’è un solo modo di fare le cose per bene».