La prima volta di Hoffmann

 di Gabriele Cesaretti

 

Debutta al teatro Pergolesi di Jesi il capolavoro di Offenbach nella produzione del circuito lombardo con giovani cantanti dell'AsLiCo, qualche nome più esperto, la direzione convincente di Christian Capocaccia e la regia di Frédéric Roels.

La Stagione Lirica del Teatro Pergolesi di Jesi si è chiusa con il franco successo che ha accolto il debutto locale de Les contes d'Hoffmann di Jacques Offenbach, presentata dalla Fondazione Pergolesi Spontini in un allestimento proposto in coproduzione con i Teatri del Circuito Lombardo e con l'Opéra de Rouen Haute-Normandie. Per la sua “prima volta” a Jesi l'opera è stata presentata nella “solita” edizione Choudens, una scelta francamente di retroguardia nel 2014, con l'aggiunta di due brani dall'edizione Oeser: l'aria di Niklausse “Vois sur l'archet frémissant” eseguita, però, non nell'atto di Antonia ma al termine di quest'ultimo, come sorta di aria “da sorbetto” al posto della tradizionale, e apocrifa, ripresa strumentale della Barcarolle e il coro a cappella “Folie” che ha introdotto, invece, l'Epilogo.

Nel complesso buona l'esecuzione musicale, soprattutto tenendo conto delle notevoli difficoltà dell'opera di Offenbach. L'elemento meno convincente della serata è stata la prova piuttosto opaca dell'Orchestra I Pomeriggi Musicali, guidata da Christian Capocaccia: sicuramente la prestazione è stata decisamente migliore rispetto al bruttino Don Giovanni di ottobre (anche questo coprodotto con i teatri del circuito lombardo) e il merito è soprattutto dell'innegabile impegno di Capocaccia nel gestire la situazione, con tempi sempre adeguati e un bel senso narrativo, ma non possono essere taciuti i numerosissimi scollamenti tra palco e buca, particolarmente evidenti nella prima parte della serata. Traendo un bilancio artistico circa l'esperimento di scritturare un'altra orchestra nell'ambito della Stagione Lirica del Pergolesi, evitando di impegnare la Form – Orchestra Filarmonica Marchigiana per le opere coprodotte con il Circuito Lombardo al fine di ottenere del risparmio sui giorni di prova in tempi di pesantissima crisi, bisogna valutare che questa scelta, a ottobre salutata da polemiche anche piuttosto evidenti da parte dei musicisti marchigiani cui la Fondazione Pergolesi Spontini ha risposto [qui il testo ufficiale], se anche ha portato dei risparmi economici, ha pagato però non pochi dividendi nell'ambito della qualità e questo è un aspetto su cui è necessario riflettere, dato che in fin dei conti la partita si gioca sempre sul terreno della qualità, soprattutto in teatri dall'acustica falsamente semplice come è quella del Pergolesi.

Lo spettacolo con regia di Frédéric Roels ha dovuto fare i conti con la scarsità del budget a disposizione, nel complesso facendo di necessità virtù nella gestione della narrazione: poche trovate memorabili ma anche poche cadute di gusto in uno spettacolo sostanzialmente godibile. Nel complesso piuttosto suggestivo l'atto veneziano di Giulietta, con una serie di specchi a richiamare la scena della perdita del riflesso, e sostanzialmente non male l'idea di rappresentare gli invitati di Spalanzani come manichini, dato che così, in fondo, li vede Hoffmann al contrario del “vero” manichino, Olympia, rappresentata come una bambolona birichina e verace.

Il cast vocale, considerate le difficoltà delll maggior parte dei ruoli (tutti piuttosto lunghi e non semplici da gestire), se l'è cavata egregiamente: Michael Spadacini è stato un Hoffmann forte di uno studio serio e meticoloso di una parte decisamente mostruosa; evidente nella performance di Spadacini il modello offerto da Roberto Alagna, che l'artista deve aver studiato molto (soprattutto per quanto riguarda la pronuncia) con esiti, nonostante costumi piuttosto goffi, convincenti, anche se l'interprete appare spesso scolastico e poco personale nel fraseggio. Pazienza, la maturità interpretativa arriverà e per il momento si tratta comunque di una prova onorevole. Più in difficoltà, sia dal punto di vista vocale che interpretativo, Abramo Rosalen nei panni dei quattro ruoli diabolici, dei quali il solo Docteur Miracle è sembrato a fuoco, difettando negli altri l'artista del carisma demoniaco che dovrebbe innervare l'interpretazione di queste quattro incarnazioni del demonio: particolarmente deludente la forzata e poco incisiva incarnazione di Dappertutto. Acerba, ma nel complesso interessante, Alessia Nadin, uno spiritoso Niklausse, mentre le tre donne, tutte e tre giovanissime e tutte e tre vincitrici del 65° Concorso As.Li.Co., si sono segnalate come gli elementi più notevoli della serata: Bianca Tognocchi è stata un'Olympia precisa e pirotecnica quanto basta nelle colorature della sua aria, pur evidenziando alcune evitabili fissità sulle quali l'artista dovrà lavorare; buona emissione, con una notevole sonorità, quella sfoggiata dalla Giulietta di Maria Mudryak, pur nel limitato impegno della sua parte nell'edizione Choudens. Bravissima, infine, Larissa Alice Wissel, un'Antonia intensa e commovente, peraltro in grado (non succede spesso) di uscire a testa alta, con suoni squillanti e precisi, dall'acutissima tessitura del trio con la voce della madre e Miracle; non tutto funziona a dovere nell'organizzazione vocale della Wissel (in alcuni teatri anche interprete di tutti e tre i ruoli), ad esempio l'evidente vibrato stretto fa sospettare che ci siano ancora degli aspetti dell'emissione da mettere a posto, ma si è trattato in ogni caso di una prova assolutamente notevole, tanto più se si tiene conto che viene offerta da un'artista nemmeno trentenne.

Molto simpatico e vocalmente a fuoco Matteo Falcier nei panni dei quattro servi, in grado di strappare al pubblico un applauso convinto ed entusiasta dopo i couplets dell'atto di Antonia. Non esaltanti, nel complesso, i numerosi ruoli minori. Pubblico soddisfatto, nonostante la lunghezza della serata, e prodigo di applausi nei confronti dell'intera compagnia.