Del comparare, del dividere

 di Giuseppe Guggino

In un epoca di risorse non più illimitate e incontrollate, cercare di comparare per ripartire premiando i “virtuosi” diventa quasi un imperativo. Vi proponiamo un viaggio nei criteri (vecchi e nuovi) di ripartizione del contributo statale tra le fondazioni lirico-sinfoniche; un viaggio che mostra come, fino ad oggi, la “qualità” non è sostanzialmente mai stata considerata nelle ripartizioni ed anche la “quantità” ha avuto un peso non maggioritario. Chiuderemo il viaggio con una simulazione di ripartizione secondo i nuovi criteri, includenti anche una comparazione del livello qualitativo (da noi operata con una certa autonomia rispetto a come procederà la Commissione ministeriale preposta), il cui esito riserverà qualche sorpresa e spiegherà certe tendenze a riconoscere “status speciali”… perché comparare, talvolta, può non convenire.

Leggi la prima puntata Fondazioni liriche: diamo i numeri

Nell’etimologia della parola “criterio” è inscindibile il concetto di “giudizio”, sicché per semantica - ancor prima che per filosofia - qualsivoglia criterio di ripartizione avulso dalla preliminare fase di comparazione dei risultati dovrebbe essere ritenuto una contraddizione in termini. E invece la prima contraddizione in termini nel sistema italiano di ripartizione dei contributi, risiede già nella circoscrizione di comparabilità tra “i maggiori” e “i minori”. è di questi giorni la conferenza stampa de LaVerdi, con puntuale divulgazione di tutte le cifre (che pubblicizziamo ben volentieri http://www.cidim.it/cidim/files/documenti_interni/DOC%20conf%20stampa.pdf) volta a dimostrare quanto la meritoria Orchestra milanese, seppur produttiva e con garanzie di qualità, riceva dallo Stato molto meno rispetto ad una fondazione lirico-sinfonica, soltanto perché è un’istituzione musicale appartenente alle cosiddette “minori”; e in effetti, dal bilancio de LaVerdi (un po’ ruspante nella forma, come si conviene alle cose casarecce “di sostanza”), peraltro scaricabile dal sito istituzionale (contrariamente a quanto avviene con tante fondazioni lirico-sinfoniche) si apprende che dal FUS arrivano appena 200 mila €, somma mortificante, se comparata con i circa 7 Mln € annui alla più piccola delle fondazioni lirico-sinfoniche. Per la cronaca il contributo FUS a LaVerdi è inferiore alle “quote sociali” versate per 334,7 mila € annui (si tratta di un interessante sistema di crowdfunding totalmente ignoto alle fondazioni “maggiori”, nel quale anche gli orchestrali, oltre ad essere semplici dipendenti, diventano in qualche modo una sorta di “azionisti” dell’istituzione) e l’Orchestra riceve dallo Stato un sostegno extraFUS di 3 Mln annui (Legge n. 31 del 2008, prorogata dalla Legge di stabilità del 2013 fino a tutto il 2015). Numeri alla mano, non possiamo che sposare la loro causa a favore di una comparabilità più generale di risultati artistici e gestionali, perché destinare per Decreto ministeriale il 47% del FUS alle “maggiori” quando tante “minori” fanno di più e anche meglio, è cosa contro ogni logica meritocratica. Segue figura della sparizione della torta FUS relativa al 2012.

01 FUS2012


 

Ci rendiamo anche conto di quanto la battaglia de LaVerdi abbia speranze di successo praticamente nulle, giacché la tendenza legislativa a distinguere le istituzioni in due è ormai cronicizzata nella legislazione, anzi anche all’interno delle “magnifiche 14” si tenta ormai da più anni di riconoscere “status” di eccellenza (con interventi di censura da parte dal Consiglio di Stato) ad alcune piuttosto che ad altre, con continuo e costante detrimento della mutua raffrontabilità; anche la comparazione tra le “magnifiche 14”, però presenta la negazione del concetto di “criterio” nell’effettuazione della ripartizione del contributo, almeno per come si è operato fino ai nuovi criteri varati nel 2014.

È francamente incredibile ma, fino al DM 3 febbraio 2014 (uno degli ultimi decreti del ministro Bray), l’elemento qualità era sostanzialmente assente dai criteri (se non a parole), ed anche l’elemento quantità pesava appena per un 25 %. L’elemento qualità era assente anche solamente “a parole” fino al DM 29 ottobre 2007, quando vigeva ancora la ripartizione in funzione del costo storico, che in un’ipotetica festa per bambini sarebbe come riservare le fette di torta più consistenti agli obesi o – peggio – ai diabetici. La totale assenza di un meccanismo di premialità verso le gestioni economicamente e quanti-qualitativamente più avvedute ha comprensibilmente avallato i risultati poco virtuosi che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

La prima correzione di rotta arriva con il citato DM 29 ottobre 2007, con il quale si continua a ripartire il 65% del contributo in funzione delle piante organiche approvate (storicamente molto sovradimensionate e di dubbia applicabilità giuridica dopo la nominale revisione in chiave privatistica del sistema degli enti lirici) quindi ancora in funzione sostanzialmente del costo storico, ma si introduce un 25% legato alla quantità prodotta e un 10% legato (in verità molto labilmente) alla qualità; si tratta del criterio in vigore fino all’ultima ripartizione, soppiantato dalle nuove linee di indirizzo del comma 20 e 20bis dell’art.11 del Decreto Legge 8 Agosto 2013 (cosiddetto Valore Cultura) e della loro esplicitazione nel DM 3 febbraio 2014. La ripartizione del 25% sulla base della quantità era effettuata attribuendo ad ogni borderò SIAE (ogni alzata di spettacolo in casa propria) un punteggio in relazione alla tipologia di genere proposto, secondo la seguente tabella.

02 Punteggi quantit

Il 10% relativo alla qualità era attribuito discrezionalmente (e con metodi non scientifizzati) dalla Commissione consultiva per la musica istituita al MiBACT, secondo la capacità di seguire le seguenti linee (tutte molto poco comparabili) che con la qualità vera e propria non hanno molto a che vedere giacché mettere in cartellone opere di compositori nazionali o coordinare l’attività di un’istituzione con quella di altre difficilmente possono rilevare ai fini della qualità artistica di quanto proposto. Per i curiosi, il link rinvia al comma 5 del DM 29 ottobre 2007.


 

La virata nei criteri, seppur piuttosto timida e con molti elementi di criticità, arriva con le linee guida del Decreto Legge “Valore Cultura” di Bray, ministro che ha saputo coniugare modi di fare apparentemente ecumenici con qualche idea di radicale discontinuità rispetto all’imperare burocratico di certi ambienti ministeriali, e difatti è stato prontamente defenestrato alla prima occasione utile. Il cambiamento più radicale è l’eliminazione dai criteri di ogni riferimento al costo storico, anche nella sua riformulazione basata sulle piante organiche; il passaggio da questa eliminazione di un elemento di valutazione scriteriato alla valorizzazione di aspetti quanti-qualitativi è più complesso e spinoso.

Secondo i nuovi criteri, a parte un transitorio di tre anni nei quali si ripartirà preliminarmente il 5% (del 47% dell’intero FUS) in parti uguali fra i teatri con gli ultimi tre conti esercizio in attivo (il pervicace impegno nell’ottenere forzatamente un commissariamento per la Fondazione Teatro Massimo comporterà alla stessa sul versante 5% minori introiti compresi tra i 2 e 3 Mln di euro all’anno!), la ripartizione avverrà per il 50% (art. 2 lett. a) su base quantitativa (il criterio dei borderò per tipologia che nel criterio precedente vigente pesava per il 25%), per il 25% (art.2 lett. b) sulla base della capacità di aumentare il valore della produzione a prescindere dal contributo statale ottenuto e per il complementare 25% (art. 2 lett. c) sulla base della qualità.

E allora abbiamo fatto una simulazione di ripartizione virtuale sui dati del 2012 con i nuovi criteri, per vedere cosa rischia di accadere nell’immediato futuro, confrontando la distribuzione realmente effettuata con quella virtuale; prima di proporla, però, occorre qualche commento sui tre sottocriteri.

Nel sotto-criterio “quantitativo” (che peserà per un bel 50%), occorre osservare come l’attribuzione dei punti in relazione al genere di spettacolo è operata dalla singola fondazione che, comprensibilmente, tende ad essere generosa con sé stessa; ebbene, non è previsto alcun controllo dal Ministero sicché se qualcuno programmasse una trentina di esecuzioni di un madrigale di Monteverdi dichiarando più di 45 elementi (cosa evidentemente ridicola) potrebbe anche auto-attribuirsi 6,5 punti a recita anziché 2; più o meno tutte le fondazioni, da quando esiste questo criterio “quantitativo”, hanno manifestato una tendenza al “puntinismo” nella loro programmazione, che certamente pone innumerevoli ambiguità al momento di operare la classificazione del genere per l’auto-attribuzione del punteggio. Ovviamente il problema sarebbe risolto se, cartellone alla mano, la classificazione fosse operata da una stessa Commissione per tutti (nella speranza che i membri sappiano la differenza tra l’organico per un madrigale monteverdiano e quello per Götterdämmerung).

Il sotto-criterio “gestionale” è volto a premiare chi sa essere produttivo con l’incasso al botteghino e è particolarmente efficiente nel reperimento di soldi da privati (non a parole e conferenze stampa, qua si ricorre ad un rapporto matematico dove la capacità oratoria è ininfluente!) ossia nel fundraising e nel crowdfunding, per dirla con parole alla moda. Di grande accortezza e certamente da lodare è l’esclusione nel computo degli “incrementi di immobilizzazioni” che sono un trucchetto di bilancio (perfettamente legale, ma non prudenziale) per conseguire risultati economici positivi, a prezzo di una diminuzione di liquidità e aumento di indebitamento (la tecnica contabile, piuttosto geniale, sarà illustrata con esempi pratici nella prossima puntata, giacché la realtà supera ogni immaginazione), tuttavia non si può non segnalare uno squilibrio nell’avvantaggiamento economico all’Arena di Verona che, in assenza di una misura correttiva, valorizza in maniera abnorme i suoi incassi al botteghino molto superiori agli altri teatri per specificità del suo spazio monumentale all’aperto.

Il sotto-criterio “qualitativo” è un terreno ancora più spinoso per tante ragioni; intanto perché non sono stabiliti i metodi che la Commissione ministeriale dovrà seguire per procedere con valutazioni ovviamente discrezionali, e poi anche la scelta degli elementi sui quali si articola la “qualità” (e dei rispettivi sub-pesi, elencati nella seguente tabella) appare non molto in sintonia con il vero concetto di qualità (si registra una sorta di copia e incolla con gli elementi di qualità del DM 2007, con qualche modifica – non certo migliorativa – di cui diremo in seguito).

04 DM 2014 Tabellino


 

Inoltre occorre osservare come non sia affatto garanzia di qualità il programmare “in un arco circoscritto di tempo spettacoli lirici […] coniugati da un tema comune”, che paradossalmente potrebbe spingere a valutare positivamente delle porcate inguardabili e inascoltabili, purché organizzate in una sorta di “festival” all’interno della stagione; nelle linee guida del Valore Cultura di Bray questo elemento non era presente, ma viene aggiunto come emendamento in sede di conversione in Legge, sicché l’aggiunta fa balenare il sorriso malizioso di chi pensa male (ché potrebbe trattarsi di una benevolenza al Maggio Musicale) che ci spinge a caccia dell’estensore dell’emendamento.

05 Emendamento marcucci

E scopriamo che il senatore Marcucci (che - per pura coincidenza - è toscano, oltre che renziano di ferro) è persona che in passato ha avuto molto a cuore le sorti del Maggio.

06 Marcucci suMMF

Il sorriso malevolo è destinato a trascolorare in disincantata rassegnazione, ma non desistiamo e procediamo a compiere una nostra simulazione di valutazione della “qualità”.


 

Per semplicità abbiamo individuato nella nostra rivista tre commissari che, sulla base della loro conoscenza dei complessi delle fondazioni lirico-sinfoniche e con i 14 cartelloni completi alla mano (dell’anno 2012), hanno adottato un solo elemento di comparazione della qualità, volto a includere la varietà dell’offerta, la qualità dei cast impiegati e la qualità dei complessi (espungendo i retaggi fascisti presenti negli elementi del DM ministeriale, quali i compositori “nazionali” e cose simili). Il problema dell’approccio metodologico (non contemplato assolutamente dalla legislazione) è stato risolto impiegando un criterio del confronto a due a due secondo il metodo aggregativo compensatore (di cui all’allegato g del Regolamento del Codice dei Contratti Pubblici, per la valutazione di elementi discrezionali in offerte tecniche); il metodo consiste nell’operare le possibili combinazioni di coppie di teatri in una matrice triangolare costruita da ciascun commissario, esprimendo chi prevale tra i due nell’intersezione riga-colonna (indicato tra parentesi tonda) e il grado di prevalenza crescente con un voto da 1 a 6 (il trattino esprime la parità).

Di seguito riportiamo le tre matrici di valutazione, ognuna delle quali è relativa al giudizio di ogni commissario.

08 Guggino

09 Pedrotti

10 Lora

La somma dei punteggi aggregati di prevalenza totalizzati da ogni istituzione nella scheda di ogni commissario è mediata fra i tre per pervenire ad una classifica “qualità” (che riporteremo a seguire, assieme alla classifica “gestione” e “quantità”).


 

La tabella seguente mostra il computo del 25% legato al miglioramento di “gestione”, calcolato analiticamente sulla base dei bilanci 2012 (dove non si può non rilevare l’inclusione nel computo dei contributi in conto capitale, cosa che avvantaggia solamente la Scala, unica a prenderli a mo’ di ripiano dei disavanzi in conto esercizio).

11 gestione

Computando anche gli aspetti quantitativi (valutati sul 2010, l’anno più recente di cui si ha un computo complessivo dei punteggi da borderò, giacché per l’anno 2012 il computo non è stato dichiarato esplicitamente) si ottengono le seguenti tre classifiche di teatri, una per ogni elemento di attribuzione.

12 classifiche

Il fanalino di coda nella quantità per l’Arena di Verona è determinato dal fatto che l’art. 2 comma 2 del DM 3 febbraio 2014 prevede (in perfetta continuità con il DM 2007) una riduzione di punteggio del 40%, mentre il suo secondo posto nella classifica di gestione è determinato dall’assenza di correttivi per la specificità del numero di spettatori all’aperto, ma sono aspetti di dettaglio che in sostanza si bilanciano.

La ripartizione del 5% alle fondazioni con gli ultimi tre esercizi in attivo si traduce in un premio a Roma, Napoli e Verona, sol perché abbiamo osservato il triennio 2010-2012, ma certamente Roma è andata molto in perdita nel 2013 (e in ogni caso la legge è poco accorta nel non escludere chi consegue pareggi di bilancio con proventi e oneri straordinari, giacché sarebbe stato più opportuno legare il 5% al margine operativo lordo), per cui la nostra simulazione virtuale fatta sul 2012 avrà certamente delle differenze con la prima ripartizione effettuata secondo i nuovi criteri. La tabella seguente mostra il confronto (con le differenze) tra vecchia e nuova ripartizione.

13 Ripartizione virtuale


 

Certamente per i nuovi criteri dovrà preoccuparsi la Scala che, non potendo contare più sulla grossa fetta determinata dalla sua pianta organica, sebbene in testa tutte e tre le nuove classifiche e con i soliti 2 Mln di proventi annuali extraFus, dovrebbe ricevere circa 3,8 Mln in meno, secondo la nostra stima. Ma le cose vanno male anche per il Maggio (a meno che “l’arco circoscritto di tempo per il turismo culturale” non faccia impazzire i voti dei veri commissari ministeriali), per Palermo, Genova (nonostante il contributo aggiuntivo extra-Fus della Legge Finanziaria 2004 che noi abbiamo messo in conto, ma che pare destinato a scomparire, lasciando presagire un risultato ancora più catastrofico), Trieste, Bologna e Bari. La nuova ripartizione sembrerebbe premiare moltissimo Santa Cecilia (con 6 Mln in più) e, in misura molto più piccola, il Regio di Torino, ma anche Venezia, Cagliari e Napoli.

A guardare meglio le classifiche percentuali si nota inoltre, ad esempio, come Cagliari (che va abbastanza male per qualità e quantità) finisce col guadagnarci coi nuovi criteri, grazie all’aliquota gestionale, tra le migliori solamente in virtù di una consistente percentuale di contributo in arrivo dagli enti locali, viceversa in maniera esattamente speculare, un teatro come il Massimo di Palermo che per quantità e qualità è fra i prime cinque e che nell’ultimo decennio ha affrontato una stabilizzazione gestionale piuttosto seria, risulta pesantemente penalizzato dal fatto di non avere sostanzialmente privati e registrare incassi al botteghino percentualmente troppo bassi. Tuttavia va detto che, a parte qualche stortura correggibile dopo un rodaggio del criterio (a patto che i Commissari veri siano avveduti e sappiano operare un confronto metodico, come abbiamo cercato di fare noi nella nostra simulazione), il passo in avanti rispetto al passato è indubbiamente considerevole.

Qualche simulazione deve averla fatta prima di noi qualcun altro, gicché, prima ancora dell’entrata in funzione operativa dei “nuovi criteri” di comparazione e ripartizione, è partito il primo decreti per addrizzare il tiro sui risultati “scomodi” ossia quelli relativi non a caso allo scarto più alto e quello più basso, per i quali è meglio stabilire la somma per decreto e senza calcoli comparativi. «Le fondazioni dotate di forme organizzative speciali […] percepiscono a decorrere dal 2015 un contributo dello Stato a valere sul Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, determinato in una percentuale con valenza triennale [...]. Tali fondazioni sono individuate con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottarsi entro il 31 ottobre 2014». Si tratta di un comma aggiuntivo (21bis) che il Decreto-Legge 31 maggio 2014, n. 83 di Franceschini (convertito con legge 106/2014) inserisce nell’art. 11 del Decreto Valore Cultura; si accettano scommesse su quali saranno le fondazioni con “forme organizzative speciali” che, in virtù della loro specialità, per accedere al FUS non dovranno confrontarsi con le altre. Facciamo sommessamente notare che la strada non è inedita, era già stata battuta con il DPR 117/2011 e poi abbandonata, dopo l’intervento di un Tar e del Consiglio di Stato.

Da “Del comparare, del dividere” quindi, a “Del dividere, senza comparare”. Prossima puntata sulle voci del Conto Esercizio con esempi pratici tratti da casi reali.

 

NOTA di REDAZIONE

Tutti i dati presentati sono ricavati da documenti ufficiali. La redazione è naturalmente disponibile a ospitare un contraddittorio.