di Roberta Pedrotti
Tornano con Alessandro Barbero le Lezioni di storia del Teatro Grande di Brescia: un esempio di come un intellettuale vero possa essere una star e di quanto la qualità e l'intelligenza contino per un pubblico a cui non bastano - per fortuna - le "Netflix della cultura" e affolla la sala per una lezione dal vivo.
BRESCIA, 18 ottobre 2020 - Durante il lockdown l'offerta di contenuti in rete è esplosa: teleconferenze, video, streaming, podcast, dirette. Anche ora che lo spettacolo dal vivo riparte, seppure con la congenita precarietà aggravata dalla spada di Damocle di un tampone positivo fra le quinte, il ministro Franceschini torna comunque ciclicamente a sostenere la sua idea di una sorta di "Netflix della cultura", come se già non esistessero canali e piattaforme e la questione non fosse, semmai, il loro buon uso, l'organizzazione dei contenuti e la loro fruibilità. Per esempio, far funzionare per bene Raiplay, dato che gli archivi Rai sarebbero uno scrigno di tesori ma il sito non è esattamente un modello di chiarezza ed efficienza nelle ricerche.
Attraverso tutti questi canali online è possibile seguire ore e ore di lezioni di Alessandro Barbero comodamente e gratuitamente dal divano di casa. Il professore è spesso presente anche, e non solo, su Rai5 e Rai Storia e con pochi click si possono acquistare e veder recapitati a casa i suoi libri. Che lo storico piemontese sia un vero fenomeno della rete, con centinaia di migliaia di visualizzazioni e miriadi di canali, pagine, gruppi seri e faceti dedicati, non è un mistero. Il punto, però, è che la rete non basta, che pur avendolo a disposizione liberamente senza muoversi dal salotto, per una sua lezione il botteghino del teatro registra il tutto esaurito con una rapidità tale che anche senza limitazioni di capienza è facile immaginare risultati simili. La possibilità di accedere a un archivio tanto vasto di contenuti è inestimabile, ma non riesce a sostituire il contatto diretto, anche senza la prospettiva - per ovvie ragioni di sicurezza - di avvicinarsi personalmente, scambiare due parole, chiedere un autografo e una fotografia.
C'è un bel movimento, ordinato e ragionevole, intorno al teatro Grande per la ripresa delle Lezioni di Storia; la platea è per forza di cose diradata, ma da ogni palco spunta qualche testa, anche gruppettini familiari a restituire un colpo d'occhio di normalità. Barbero attrae nel mondo reale quanto in quello virtuale, a dimostrazione che la sostanza e la qualità alla fine contano più dell'apparenza, che, se fra tante meteore del nulla c'è chi sa usare la popolarità acquisita anche per ottimi scopi (beneficenza, promozione sociale e culturale), c'è chi quella popolarità se l'è guadagnata sul campo con tutti i galloni della ricerca, della competenza, dell'intelligenza, nonché della comunicativa e dello humor. E trecento e più persone di ogni età pagano il biglietto e pendono per un'ora e mezza dalle labbra di un professore - di quelli che a lezione si adorano e all'esame suscitano terrore - perché il professore è bravo, è preparatissimo e la sua oratoria è magistrale. Perché, insomma, c'è la qualità. La qualità dell'eloquenza, dell'aprire e chiudere parentesi, riallacciare i fili del discorso, dosare le pause, le divagazioni, le informazioni cruciali e le considerazioni, la serietà e l'ironia. La qualità del contenuto, di una visione concretissima di Dante che dai primi versi della prima cantica dell'Inferno ripercorre tutta la storia politica della famiglia Alighieri, dati storici e riscritture autobiografiche propagandate a bella posta dal sommo poeta. Così - ed è questo che rende ancor vivo e valido il metodo del materialismo storico - le prese di posizione ideologiche, ma anche le scelte narrative - e le reticenze - di Dante rivelano tutte un preciso riferimento alla realtà e un preciso scopo. Così si ricostruisce nel dettaglio un mondo vivo e reale molto più vicino di quanto non si pensi. Anche la drammatizzazione abbozzata da Barbero, con la sua vivacità svincolata dalle icone consolidate, non solo avvince l'uditorio, ma veicola anche con maggior efficacia il concetto: la scena della reciproca curiosità di Farinata (non l'erma maestosa di Doré, ma lo spirito destato da un accento familiare) e Dante (eccitato dall'incontro con il grande condottiero e formidabile nemico di un passato prossimo) è solo una delle tante perle sparse da Barbero, non decorazione ma sostanza. E che si tratti di materia solida lo ribadisce nella fugace difesa del nozionismo intelligente: "conoscere le date non serve per il gusto di saperle", ma per capire che, se Dante nasce a Firenze nel 1265 e gli esuli guelfi rientrano nel 1266, gli Alighieri non potevano essere fra quegli esuli, anche se lui vuol farlo credere.
Tanto si potrebbe dire del Dante raccontato da Barbero, e tanto ancora non si può contenere in quasi un'ora e mezza di lezione ("il cugino Geri del Bello ha una storia interessante... però oggi non ci interessa", ingolosisce senza uscire dal seminato del tema del giorno), ma è inutile tentare di riassumere tutto quello che l'abile professore veicola in una comunicazione anche non verbale, come nella sua ormai celeberrima gestualità. Il suo Dante, edito da Laterza, è in libreria, il calendario di conferenze pubbliche fitto come quello di una star in tournée, il web pullula di suoi contributi. E conforta pensare proprio a questo: che la qualità, la sostanza, la bravura di uno storico possano sbancare il botteghino, possano diventare un fenomeno mediatico, possano svelare il lato virtuoso del web e rimanere perfettamente reali. D'altra parte, la chiave sta anche nel fatto che alla qualità non si sovrappongono sovrastrutture, non ce n'è bisogno: la cultura è la sostanza dell'eloquenza, del garbo, dell'ironia, e quello stile sorridente ma non proprio edulcorato che amiamo in Barbero è semplicemente il suo modo di essere, l'espressione della sua schietta, e contagiosa, passione per la materia. Il miele poetico con cui Lucrezio diceva di addolcire l'amara medicina della dottrina è servito, ben mescolato e speziato come il miglior vino da simposio.
E, allora, non è di una "Netflix della cultura" che abbiamo bisogno, né di progetti di marketing. Abbiamo bisogno di sostanza e intelligenza: il pubblico risponderà.
foto Favretto