di Michele Olivieri
L’emergenza sanitaria ci ha imposto un nuovo comportamento. Il teatro vive ancora di restrizioni, ma questo non significa sospendere ogni attività e non coltivare più gli interessi, necessita solo alternare le abitudini e fruirne in maniera differente. Grazie al web importanti proposte arrivano direttamente a casa dando così una solida mano alla cultura, e un senso di aiuto per ciascuno di noi. Sul canale YouTube di Media Factory dallo Shelburne Farms Breeding Barn è visibile la creazione coreografica Dear Pina a cura di Hannah Dennison, con il supporto di New England Foundation for the Arts – Meet the Composer, The Vermont Community Foundation, The James e Robison Foundation,The Flynn Center for the Performing Arts.
SHELBURNE – Il Vermont, a nord-est degli Stati Uniti, è meglio conosciuto per il suo paesaggio naturale ricoperto di boschi, per gli oltre cento ponti coperti costruiti in legno e risalenti al XIX secolo e per migliaia di acri di territorio montuoso. Tutto ciò ricorda con sfumature differenti le suggestioni tanto care a Pina Baush e ne rimanda all’eredità artistica e alla memoria. La natura era ciò che più avvicinava la grande coreografa tedesca al proprio essere, alla sua essenzialità, attraverso l’uso dello spazio, le corse, le pause, le sospensioni, il respiro, l’estetica nell’impegno fisico degli esecutori, la capacità di abitare i corpi, eseguendo passi nel riecheggiare un moto sensoriale in riferimento ai quattro elementi. Certamente la sua danza era supportata da un assoluto potere emotivo. Per avvicinarsi a lei è necessaria profonda esperienza e sensibilità all’arte tutta. Come una merlettaia, eseguiva lavori millimetrici, meticolosi, precisi, senza mai perdere la bussola, scovando i buchi neri dell’interiorità, trasformando l’incongruenza in consapevolezza. La sensazione nel vedere Dear Pina è quella principalmente di un sentito omaggio, di un non voler copiare quello stile non emulabile. Pina Bausch aveva a cuore l’esistenza umana, il suo fine era tendere all’estremo le azioni umane, oltrepassando l’intelligenza e le sole forze umane. Possedeva un dono esclusivo nell’entrare empaticamente in sintonia con i propri artisti.
Come palcoscenico, Dear Pina ha goduto di un evocativo e storico fabbricato rurale, un tempo destinato alla conservazione dei foraggi e a ricovero per i contadini durante il periodo della fienagione. Il colpo d’occhio è splendido, il soffitto ha la volta a crociera nelle navate e lascia intravedere idealmente il cielo, come del resto la danza della Baush, con il suo colmare di carezze il silenzio dell’animo... La Dennison dal canto suo riesce a riportare nel tributo la certezza del non imitare, accompagnando il ballo nella muta esistenza del corpo, nel dare un personale accordo all’abbandono, alle richieste, ai desideri, alle passioni, lasciando allo spettatore libera interpretazione, allontanandolo dal punto focale per dissolvere le forme in primo piano. I danzatori (Autumn Barnett, John Bennett, Paul Besaw, Hannah Dennison, Erin Duffee, Emer Pond Feeney, Candace Fugazy, Jill George, Sharyl Green, Amy LePage Hansen, Paul Hilliard, Erica Hunter, Trena Isley, Heather Bryce Labor, Peter Lackowski, Zoe Marr, Tracy Martin, Fabio Nascimento, Kaitlyn O'Donnell, Abby Pepin, Hanna Satterlee, Joe Schine, Marly Spieser Schnieder, Daniel Senning, Annette Urbschat, Avi Waring, Kayla West, Lida Winfield, Willow Wonder) restituiscono l’esecuzione senza scimmiottare, senza rimpianti e senza nostalgie, senza mai tradire l’intenzione della Bausch. Lo fanno con una ricerca di morbidezza, dando una impressione di casualità e semplicità, là dove, all’opposto esiste uno studio e un impegno costruito con accortezza. Dear Pina è un lavoro d’amore, quasi un voler tornare indietro per ritrovare di nuovo quell’ispirazione e devozione verso Pina, confessandole ancora una volta quanto è stata importante per lei (e per tutti noi). Lo spettacolo si è tenuto per sei serate consecutive nel giugno del 2012 (oltre a questo, tra i lavori più importanti della Dennison, si ricorda una performance di cinquantaquattro ore che mise in scena nel 1995 in un lanificio ristrutturato). Il lavoro combina la coreografia tradizionale insieme con apparizioni che esplorano nel singolo i temi connessi alle relazioni. L’esibizione è supportata dalla musica composta da David Severance, piacevole anche se moderatamente lenta, senza mai alternare con un tempo veloce che avrebbe giovato all’atmosfera bauschiana. Perché la danza esiste per essere guardata ed ascoltata, per esprimere l’inesprimibile, e come la vita necessita di cambiamenti di tempo.
La coreografa Hannah Dennison, da circa quarant’anni, ha creato e prodotto numerosi lavori per palcoscenici e luoghi originali nel Vermont, oltre a essere la fondatrice di un’organizzazione artistica ed educativa senza scopo di lucro, “Cradle to Grave Arts”, per stabilire una connessione tra le persone che altrimenti non avrebbero accesso alle arti. Dopo aver pianto la morte della Bausch, Dennison ha sentito la necessità di celebrare lo spirito creativo dell’ideatrice del Tanztheater Wuppertal collaborando con altre due coreografe, Amy LePage e Hanna Satterlee e riservando a sé anche la regia dello spettacolo, oltre ad un ritorno in scena come danzatrice. Durante l’allestimento, la performance si è trasformata in un filmato di circa sessanta minuti registrato durante quattro delle sei serate allo Shelburne Farms Breeding Barn. Le accorte riprese sono di Lukas Huffman, valido mediante l’inquadratura nel rendere onore alla coreutica (direttore della fotografia Daniel Cojanu, con Seth Neary). Colpiscono le luci di Stefan Jacobs, che parafrasando Gibran sembrano concepite da una mano di luce, su una pagina di luce. I riferimenti creativi, all’occhio più attento, sono riservati oltre alla Bausch anche in minor misura al lavoro di Trisha Brown (fondatrice della danza postmoderna e creatrice della cosiddetta danza verticale), altra fonte di ispirazione per la Dennison. Mentre i ballerini si muovono all’unisono sul pavimento imbrattato di terra e graticcio (scenografia Dennison/Severance), i piedi emettono suoni gracchianti, scalciando e volteggiando con le braccia tese, nei costumi di Leslie Anderson. Cercando di ricostruire quel concetto intimo di danza potente, continua, dura, sorprendentemente teatrale, ed affascinante, tanto cara a Pina.