La presentazione del volume fotografico dedicato a Raina Kabaivanska all'Opera di Roma è l'occasione per una serata di musica, immagini e parole in onore della diva.
È difficile dominare l’emozione nel ricordare questa serata del 28 novembre al Teatro Costanzi di Roma. È stato presentato il sontuoso volume fotografico e storico Raina Diva – Storia di un’anima dell’editore bolognese Scripta Maneant. Difficile in primo luogo perché un tam tam europeo ha radunato nel teatro della capitale, in cui la Kabaivanska ha trionfato dal ’79 al ‘06, gli ammiratori di una vita, gli appassionati delle prime stagioni, giunti da Trieste, da Palermo, da Madrid e via dicendo per festeggiare l’arte e la personalità di Raina Kabaivanska, nel ricordo ancora vivissimo del suo Gluck, del suo Verdi, del suo Britten; un fenomeno da segnalare. Altro fenomeno è la casa editrice di Bologna, che tiene molto alla A di quel congiuntivo “maneant”. Che gli scritti restino, dunque, e i suoi dirigenti hanno il coraggio di proporre una collana artistica che illustri il mondo dell’opera; è già uscito un primo studio sull’Opera di Roma, e dopo l’artista bulgaro-modenese sono annunciati Fracci, Zeffirelli e Callas. Volumi preziosi, per di più con l’intelligente scelta di presentarli in versione bilingue italiana e inglese. Come ha voluto Raina, un involucro rosso si apre come un sipario, rivelando il titolo, e poi la cantante e interprete che si ammira nel ricchissimo apparato iconografico. Il prodotto di lusso, di questi tempi, è un gesto di audacia.
Il libro sulla Kabaivanska è stato raccolto e organizzato da Fabio Ceppelli, suo collaboratore e segretario da molti anni, che ha potuto contare su collezioni fotografiche di vasta portata. In sala c’erano lo stilista Roberto Capucci, Anna Coliva della Galleria Borghese, Luigi Ficacci critico d’arte, Marco Guardo dell’Accademia dei Lincei, il pianista Marco Scolastra; sul palcoscenico, oltre a Ceppelli, Dino Villatico, Adua Veroni e Carlo Fontana hanno sciorinato ricordi e apprezzamenti, mentre alle loro spalle scorreva una sontuosa serie di fotografie. Cinquantacinque anni di carriera di un’artista appassionata e passionale, ma prima ancora intelligente e musicista, oltre che attrice affascinante, lasciano il segno. Non a caso i “testimoni” hanno voluto parlare di Armide di Gluck, di Capriccio di Strauss, di Affare Makropoulos di Janáček, disegnando un itinerario musicale lungo e variegato o, se si preferisce, rammentando le molte abime di questa interprete. Se poi teniamo presente che da trent’anni la Kabaivanska si dedica anche all’insegnamento in Italia e nel suo paese natale, è logico che a festeggiarla e a cantare per lei e per noi ci fossero tre dei suoi allievi più attivi e apprezzati. La coreana Vittoria Yeo e la nostra Veronica Simeoni sono apparse molto emozionate e non hanno esitato a dichiarare che Raina è stata la loro “mamma”. Entrambe sfoggiavano, come la loro maestra, e quasi con un glamour pari al suo, modelli di Capucci. Il tenore Andrea Carè, nei verdiani Macbeth e Otello, ha dimostrato di essere vocalmente saldo e squillante. Ricordi, commozione, elogi, si è detto, e anche la consapevolezza di avere avuto tra noi, per molte stagioni, l’anima di una grande musicista e interprete. L’omaggio alla Kabaivanska si è chiuso sul filmato romano della “Vilja” della Vedova allegra; in esso per un attimo si vede Elio Pandolfi nei panni di Njegus con lo sguardo incantato sulla primadonna; un coprotagonista di tante entusiasmanti serate léhariane.
Operazione divistica? Ma certo, lo dice subito il titolo. Di divismo autentico, di dominio assoluto delle partiture e dei palcoscenici abbiamo tutti un enorme bisogno.