di Roberta Pedrotti
Noi veggiam, come quel c'ha mala luce,
le cose", disse, "che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce.
Quando s'apprestano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano.
Così, nel X canto dell'Inferno (vv. 100-105), Farinata degli Uberti spiega la condizione delle anime nell'aldilà, che, come i presbiti, riescono a vedere ciò che è lontano e e non ciò che è vicino, avendo così contezza di eventi remoti nel tempo passato o futuro ma non di quelli prossimi. Difetti di vista simili e opposti caratterizzano anche la nostra percezione della storia, della società, delle arti. Da un lato discernimento e giudizio sono indubbiamente favoriti nei confronti di ciò che la distanza ci permette di abbracciare completamente con lo sguardo, oltre a porci in una utile posizione di maggior distacco. Dall'altro, però, di quel che è lontano possiamo cogliere solo dei contorni essenziali, i dettagli vanno perduti e così si rischia di idealizzare e immaginare quasi come alieno, nel bene e nel male, ciò che invece è più che vicino, affine e consanguineo alla nostra contemporaneità, è semplicemente umano. Homo sum, humani nihil a me alienum puto: il motto terenziano decontestualizzato e divenuto proverbiale può sintetizzare, allora, una saggia combinazione dell'analisi attraverso una lente telescopica e microscopica, la prospettiva distaccata a lungo raggio che contempli cause, effetti, macrostrutture, e il dettaglio minuto e ravvicinato. Gli antichi ci somigliano e noi somigliamo loro, ma non bisogna commettre l'errore di non misurare le distanze, di perdere lo sguardo d'insieme. Divertirsi a vestire, alla maniera di Machiavelli, panni "reali e curiali", è rischioso come il fare della Storia una collezione di santini e aneddoti esemplari.
La capacità analitica e narrativa quasi cinematografica di Luciano Canfora di tessere un'infinita rete di riferimenti, parallelismi, consequenzialità, di focalizzare il dettaglio e allargare l'inquadratura in campi lunghissimi senza essere dispersivo ma sostenendo con una dottrina profondissima le sue considerazioni lo rende esemplare. Anche al di là delle conclusioni e delle tesi sostenute, il metodo è un modello di quel che dovrebbe essere un approccio alla storia in senso lato, non solo agli eventi politici della Roma e della Grecia antica, ma anche alle arti e alla loro interpretazione, per esempio; grande approfondimento senza una specializzazione monotematica micragnosa e ostinatamente esclusiva. "At fortasse mirum videbitur inperitis, hominis posse naturam tantum numerum doctrinarum perdiscere et memoria continere. Cum autem animadverterint omnes disciplinas inter se coniunctionem rerum et communicationem habere, fieri posse faciliter credent" (Potrebbe forse sembrare incredibile agli inesperti che la natura umana possa apprendere e memorizzare una tale quantità di dottrine. Quando, però, si rendano conto che tutte le varie discipline hanno tra loro connessione e comunicazione, facilmente lo riterranno possibile.) afferma Vitruvio nel De architectura e si potrebbe aggiungere che proprio la connessione interdisciplinare favorisce lo studio e la comprensione, che la tensione verso una prospettiva storica che corregga tutti i difetti di vista delle anime dantesche e di noi vivi è parte integrante di un simile ideale formativo e intellettuale.
La presentazione, a Bologna, delll'ultimo lavoro dello storico barese, Augusto, figlio di Dio, ne fornisce un esempio lampante.