di Andrea R. G. Pedrotti
Verona celebra la Giornata Europea della Cultura Ebraica. Un concerto e una conferenza sono i momenti chiave di una riflessione oggi sempre più importante. Di cultura si vive, l'ignoranza uccide.
Da sedici anni si ripete la Giornata Europea della Cultura Ebraica, un evento importante e la cui conoscenza è necessaria di questi tempi più che mai, poiché di cultura si vive, mentre è l'ignoranza a uccidere e questo, purtroppo, gli ebrei di tutto il mondo lo sanno molto bene.
Emblematico anche il tema che è stato scelto per questa giornata: “Ponti & attraversaMenti”.
È un titolo importante, che ci ricorda, da un lato, come le comunità ebraiche siano diffuse in tutto il mondo e in tutto il mondo partecipano alla crescita culturale, facendo della diaspora una forza. Infatti gli ebrei sono fra i pochi popoli - se non l'unico di certo il più emblematico - capaci di rialzarsi dalle sventure e saper dimostrare, con orgoglio, il proprio valore di pensiero e di comunità, come e più di prima.
È stato un viaggio, un percorso partito quest'anno da Firenze, per giungere in tutta Italia. Non dobbiamo dimenticare che il termine “Ebreo” ha la sua traduzione etimologica in “passaggio”, appunto un percorso che parte dalla nozione (la cultura), attraverso il peregrinare, fino a giungere a una sintesi, una soluzione, un nome: “Hashem” in ebraico, che altri non se non il nome del Signore.
Ma questa è stata un giornata di informazione e di conoscenza, più che di dissertazioni teologiche, il cui scopo ci pare ben sintetizzato nelle parole di Renzo Gattegna (Presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane), che ci piace citare testualmente nel definire questo evento fondamentale: “per alimentare gli indispensabili anticorpi contro i germi del razzismo, dell’antisemitismo e del rifiuto per il «diverso» e per lo «straniero»”.
Verona non è stata affatto da meno in questa giornata e la sua comunità, che comprende anche la città di Vicenza, ha risposto con precisa organizzazione alle esigenze del caso, comprese le visite consentite alla Sinagoga, la quale - intendiamoci - non è chiusa all'esterno durante gli altri giorni dell'anno, ma regolata per motivi di sicurezza, che il momento storico, purtroppo non solo quello presente, impone. Ogni cosa, ogni suggerimento è stato offerto a ognuno con sincera generosità, quella generosità e quell'altruismo reali, ma non sbandierati, che hanno saputo, ora come in passato regalare figure di straordinaria umanità, come medici gratuiti per le classi meno abbienti, realmente fedeli a Ippocrate, piuttosto che al personale profitto. Ma delle figure che resero lustro agli ebrei veronesi parleremo in seguito.
La giornata ha avuto inizio il mattino alle 10:00, con la cerimonia di apertura, arricchita da intermezzi musicali e la presentazione dell'opera Vav come Verona, donata dall'artista Gabriele Levy alla comunità scaligera.
Dalle 16:30, per circa un'ora, abbiamo avuto il gran piacere di assistere al bel concerto dell'Enrico Fink quartet Il giro del mondo in un nigun. Un intrattenimento musicale interessante e coinvolgente, non solo per la bellezza dei brani eseguiti, ma anche per i profondi contenuti che essi celano ai più. Come ha ricordato lo stesso Enrico Fink, la musica ebraica parte sempre dal testo, dall'interpretazione di esso e si trasforma in melodia per l'ascoltatore. Non c'è nulla di banale nelle storie raccontate dal folklore di canti sefarditi o ashkenaziti che siano. Tutti rappresentano un ponte fra culture, legato dal filo etereo della musica e del linguaggio. La lingua non è sempre la stessa, non tutti gli ebrei sono Yddish, non tutti gli ebrei hanno lo stesso dialetto, ma giungono alla sintesi delle nozioni, delle parole, del testo, attraverso un percorso di comprensione, come già detto in principio del nostro articolo.
Le musiche che ascoltiamo sono racconti di vita di efficacia rara, codici che giungono a noi e vengono disvelati con semplicità nel nostro cerebro: “la musica quale lingua dell'anima”, diceva Schumann. Un esempio, non sappiamo quanto volontario, magistrale di elaborazione semiotica e di linguistica strutturale, nata senza sforzo, forte della grande apertura ed elasticità mentale, che da sempre caratterizza la cultura ebraica, perennemente tenuta in movimento. Musica che si accompagna alle storie narrate, la quale, come l'ironia di questa cultura, racconta eventi, fa sorridere, senza scadere mai nella volgarità, ma soprattutto vuole essere esplicativa di concetti, autoironica, talvolta cinica, ma sempre utile a comprendere l'animo dell'uomo, con il sorriso sulle labbra, poiché è importante ricordare sempre che con la serietà, la pesantezza e l'autocommiserazione non vi sarà mai futuro. Bisogna aver sempre la forza di guardare avanti e non c'è miglior espediente per guardare avanti che una seria leggerezza.
Entusiasmo al termine del concerto e un breve saluto del presidente della comunità, Bruno Carmi, chiuso con un augurante “Shanà Tovà” (buon anno), visto l'imminente giungere del 5776 dalla creazione.
Ma di giornata di cultura ebraica si parlava e momento molto importante per tutti è stata la conferenza di Roberto Israel, all'interno della sede in via dei Portici, sugli illustri ebrei veronesi, ma suscitando un interesse che va ben oltre il tema trattato.
Il relatore ci ha ricordato come la presenza ebraica a Verona sia partita già dal VI secolo d.C. e sia strettamente legata alle vicissitudini politiche e amministrative della città.
Fra i governi che si sono succeduti, non poteva mancare un riferimento a Cangrande della Scala, il quale offrì ospitalità al poeta romano Immanu’el de’ Rossi, detto Manuello Giudeo, il quale fu celebre per aver scritto il famoso Bisbidis, in onore del signore cittadino e, probabilmente dopo aver conosciuto Dante Alighieri, un L’inferno e il paradiso, in cui il “Ghibellin fuggiasco” diviene Virgilio destinato a un Eden ebraico, aperto ai meritevoli di ogni nazione.
Gran parte del sostentamento cittadino era incentrato dalle pesanti tasse che venivano imposte alla comunità per avere il diritto di restare in città, senza scordare che i tassi di interesse sui prestiti che potevano esser erogati dagli ebrei veronesi erano imposti dalla Serenissima, che poteva, indirettamente, trarre profitto dalla circolazione del denaro.
Anche Venezia stessa, peraltro, ebbe lustro dalla presenza ebraica, che promosse cenacoli e circoli letterari frequentati anche da artisti gentili (non ebrei). Simili realtà si potevano trovare o anche a Verona e a Padova, dove l’Università, unica in Europa, ammetteva studenti di religione ebraica.
Facendo un salto in avanti nel tempo, fra i nomi più illustri, non possiamo scordare i musicisti Giacobbe e Giacomo Bassani Cervetto, che fecero conoscere Oltremanica l'arte del violoncello, mentre, per quanto riguarda le arti visive, Roberto Israel ha citato pittori come Salomone Bassan, con i figli Israel e Marco, o il pittore miniaturista Vita Grego.
Dopo la salita al potere di Napoleone Bonaparte, finì temporaneamente (fino al congresso di Vienna del 1815) l'emarginazione nel ghetto e le famiglie ebraiche poterono concedersi la realizzazione di importanti collezioni d'arte antica e contemporanea.
Il celeberrimo ebreo Achille Forti donò la sua intera collezione alla comunità veronese, assieme al palazzo di famiglia. Questa donazione fu vincolata da precise disposizioni testamentarie, che obbligarono, e obbligano il palazzo comunale, a non cedere a privati la struttura, che deve restare a disposizione della popolazione scaligera.
Sempre seguendo il racconto di Roberto Israel, ricordiamo uno dei più famosi pittori ebrei d’Italia, ossia Gerolamo Navarra nato a Verona nel 1852. Esperto paesaggista, nel 1877 partecipò a un’esposizione nazionale a Napoli, presentando un dipinto dal titolo Sant’Anastasia a Verona. A tutt’oggi risulta sia stato l’unico pittore ebreo italiano dell’800 che trattò apertamente temi strettamente inerenti alla sua cultura; tendenza che emerse nella sua arte a partire dagli anni successivi all'esperienza napoletana.[Gerolamo Navarra: ritratto di Jacob Vita Vivante e Gerolamo Navarra: Gondole sul Canal Grande]
Poche parole, per non dimenticarne alcuna, nei confronti di colui che fu probabilmente il più celebre ebreo veronese: Cesare Lombroso nacque a Verona nel 1835, padre della criminologia , è ritenuto l’autore italiano più diffuso e tradotto al mondo. Egli si laureò all'università di Vienna, dopo gli studi compiuti a Pavia e Padova, si occupò di psichiatria e antropologia, compiendo studi sul cretinismo e la pellagra. Di seguito venne nominato direttore del manicomio di Pesaro, per concludere la sua esperienza di vita e di studi nella città di Torino nel 1909. Le sue lezioni nelle università erano frequentate al punto da non poter contenere gli studenti, rendendolo un autentico punto di riferimento per gli studi scientifici dell'epoca. Molto criticato negli anni successivi per il suo approccio al genetismo (Lombroso sosteneva che il carattere potesse essere ereditario), sta oggi ottenendo una giusta rivalutazione.
Avvicinandoci a noi è bene rammentare Ise Lebrecht, figlia di una ricca famiglia ebraica e la cui madre Eugenia si distinte per l'impegno politico femminista e antifascista. Ise si ispirò alla pittura verista di Angelo Dall’Oca Bianca; i suoi soggetti preferiti sono le vedute di Verona, i paesaggi e, in minor misura, la ritrattistica. Affrescò diversi pareti del palazzo di famiglia. Si trasferì in uno studio in città in stradone San Fermo vivendo isolata e in condizioni disagiate. Morì nel 1945.
Fra le sue opere più apprezzate Roberto Israel ci ricorda il ritratto della poetessa veronese Lina Arianna Jenna, appartenente alla colta e raffinata borghesia ebraica. [Lina Arianna Jenna (1886-1945) ritratta da Ise Lebrecht]
Altri artisti dettero lustro alla Verona degli anni passati, come Lina Arianna Jenna, la quale organizzò nel palazzo di famiglia incontri con artisti di livello internazionale, come Felice Casorati, Lionello Fiumi, Giuseppe Zancolli. La sua attività espositiva fu limitata per vari motivi di carattere sociale, politico e personali. Sostenne con generosità i giovani artisti veronesi e come il già citato Achille Forti donando il suo patrimonio letterario alla biblioteca della società letteraria. Molte sue opere e proprietà artistiche le furono confiscate a seguito delle leggi razziali.
Lina Arianna Jenna nonostante la possibilità di nascondersi per sfuggire alle persecuzioni preferì rimanere al fianco di suo padre gravemente malato per assisterlo, ma fu arrestata e deportata ad Auschwitz dove morì nel giro di un anno.
Qui si è conclusa la breve conferenza di Roberto Israel, aperta da un richiamo all'importanza della cultura, di fronte all'ignoranza e all'immagine stereotipata dell'ebreo faccendiere e strozzino, ancora troppo diffusa al giorno d'oggi.
Vogliamo chiudere con una bellissima metafora che lo stesso relatore ha riferito a una signora fra il pubblico, la quale lodava la forza d'animo dimostrata nei secoli da ognuno di loro e con questa frase speriamo di poter essere presenti a un'altra giornata di cultura simile a questa, affinché l'ignoranza e l'oblio non possano mai vincere: “Signora, se una persona le dicesse mai che lei non è una donna avvenente, non se la prenda: parta, si impegni e torni con il titolo di Miss Italia, perché ne ha tutte le possibilità”.