di Federica Fanizza
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Eccovi la nuova Cavatina. Lascio in vostra facoltà il tenervi o lasciarmene la proprietà. Nel secondo caso troverete ragionevole eh' io vi preghi a garantirmi che non saranno lesi i miei diritti, e che quindi non ne sarà da nissuno estratta copia di sorta. Potrete servirvene nella presente stagione nelle sole sere in cui si farà la Giovanna. Rispondetemi una linea per mia norma: scusatemi se non posso venire personalmente e credetemi Vos. Aff. [G. Verdi] Venezia, 19 Dicembre 1845.
Potrei lasciare il margine
Del mio ruscel diletto,
L'ovile, il prato, il tetto
Cari a' miei prischi dì.
Quando il pensier vergine,
Sull'ali del desire
Segnava un'avvenire,
Che mai non comparì.
Ma tutta di quest'anima
La speme non morì.
Oh se un giorno avessi il dono
D'una spada, d'un cimiero,
Per la patria, per il trono
Donna ancor, saprei pugnar!
Vinto forse l'anglo altero
Tornerebbe al natio lido
Francia intera avrebbe un grido
La vittoria a celebrar.
Dopo il debutto alla Scala del febbraio 1845, il soprano Sophia Loewe nella ripresa della Giovanna d'Arco alla Fenice, avvenuta il 24 dicembre 1845 si rivolse al Maestro, che si trovava in Venezia per finirvi l'Attila e prepararne l'andata in scena, per ottenere questa Cavatina scritta da Verdi espressamente per lei. A tale riguardo, Verdi scriveva il 22 dicembre a Giuseppina Appiani: “Ho dovuto anche fare una Cavatina per la Loewe che tiene di sua proprietà e che porrà per sortita nella Giovanna.” (Autogr. nel Museo del Risorgimento di Milano).
Se si mettono a confronto i versi con una delle traduzioni del dramma di Schiller La Vergine di Orleans nella traduzione di Andrea Maffei data alle stampe nel 1830 emerge, sia pur nella compattezza dell'assieme, un modello di riferimento.
Fig. 1, 2, 3 Friedrich Schiller, La Vergine d'Orleans: tragedia romantica di F. Schiller. Traduzione del cav. A. Maffei. Milano per gli Studi degli annali Universali, 1830
L'ha scritta Verdi stesso o ha chiesto aiuto a chi era in grado di verseggiare per la musica? Non lo sappiamo in quanto c'è scarsa documentazione sulla genesi di quest'opera e dobbiamo andare per fonti indirette o ricostruendo l'ambiente culturale in cui la Giovanna d'Arco è stata concepita.
Noi gli dobbiamo grazie. In ogni modo, per la fatica durata nelle sue versioni, che divenute classiche, ci hanno reso famigliari i grandi poeti settentrionali, i quali o non tradotti o tradotti senza splendore di forma avremmo forse ignorati; ed io più di ogni altro, che riscontrando giovinetto, la Giovanna d'Arco di Schiller, tradotta dal Maffei, con testo originale ho incominciato ad imparare quel po' di tedesco di cui ora mi valgo, avrei mala grazia di lagnarmi che il Maffei abbia tradotto in quella forma che a lui è di gloria ed a me ventaggio.... (Angelo De Gubernatis, Ricordi biografici, Firenze Le Monnier, 1872)
C'è da chiedersi come mai il musicista abbia deciso nel novembre del 1844, di ritorno da Roma dopo la rappresentazione dei Due Foscari, di utilizzare il soggetto schilleriano della Giovanna d'Arco; forse lo chiese allo stesso Maffei, con il quale esisteva un profondo legame di amicizia e di frequentazione...
Esiste infatti una lacuna nella documentazione verdiana: i Copialettere testimoniano un vuoto che si prolunga per ben nove mesi dal luglio del 1844 al febbraio del 1845. Durante questo tempo, Verdi ha composto la Giovanna d'Arco. L'incarico di scrivere una nuova opera per la Scala, risale al dicembre dell'anno prima, e lo stesso Maestro ne aveva partecipato la notizia il 2 dello stesso mese al Regli, estensore del Pirata, da Verona, mentre viaggiava verso Venezia per Ernani: “Se credi [...] annuncia che io scriverò l'opera alla Scala nel carnevale venturo per la Frezzolini e Rizzi”. Ma soltanto sui primi di settembre del 1844 si seppe pubblicamente su quale soggetto Verdi avesse posto la mano. La Gazzetta Musicale ne dava l'annuncio, riconfermato il 17 novembre e la Giovanna d'Arco veniva rappresentata tre mesi dopo, il 15 febbraio 1845, con la Frezzolini, Poggi, suo marito, e il Colini. Informazioni scarse, ma se si prende come punto di riferimento il rapporto di amicizia tra Verdi e Andrea Maffei che in quegli anni aveva in corso la traduzione del teatro di Schiller, la scelta è del tutto comprensibile. E del resto la scelta schilleriana è compatibile con tutte la documentazione che ci viene presentata per quegli anni di lavoro verdiano fatto sulle trame di Byron, Schiller, Shakespeare: autori che venivano proposti a Verdi in traduzione italiana come soggetti per i probabili libretti, protagonisti letterari di una stagione della cultura italiana, gli anni '30-'40 dell'Ottocento lombardo.
Andrea Maffei, figlio di Filippo Neri Maffei, cavaliere del Sacro Romano impero, nacque nel 1798 a Molina di Ledro, in Trentino allora appendice meridione della Contea del Tirolo, parte integrante dei domini degli Asburgo. A Milano Maffei era arrivato molto giovane, a meno di vent'anni, laureato in legge e funzionario consigliere del I.R. Tribunale d'Appello, perfettamente addentro nella lingua e cultura tedesca avendo studiato a Monaco di Baviera con suo zio Giuseppe Maffei, docente di Letteratura Italiana in quella Università e consigliere del re di Baviera.
Erano gli anni in cui si dibatteva negli ambiti culturali italiani della necessità delle traduzioni e di aprirsi al confronto con le letterature europee sollecitati dal saggio di M.me de Staël Sull'utilità delle traduzioni apparso proprio nel primo numero della Biblioteca Italiana nel gennaio del 1816. La scrittrice, rilevando il ristagno culturale della letteratura italiana, esortava gli intellettuali a tradurre le grandi opere letterarie d'oltralpe. “Trasportare da una favella ad un altra favella le opere eccellenti dell'umano ingegno è il maggior benefizio che si posa fare alle lettere”, affermava la De Staël e la polemica da letteraria si trasformò in diatriba politica e civile.
In questo clima di scambio culturale, Maffei si era subito imposto nell'ambiente letterario esordendo con una traduzione degli Idilli di Salomon Gessner (Milano, Pirola, 1818) che fu accolta nel 1818 all'interno della Biblioteca Italiana periodico sostenuto dal Governo che annoverava tra i suoi collaboratori Vincenzo Monti e Pietro Giordano e contava sull'appoggio di Paride Zajotti, letterato, ma anche funzionario governativo, conterraneo e collega del Maffei stesso.
Nel 1832 sposa Clara Carrara Spinelli dei conti di Clusone e la loro casa a Milano diventerà il punto di riferimento della vita intellettuale e culturale milanese di quegli anni in cui la città era la capitale del Regno Lombardo-Veneto. Dal 1834 al 1846 fu Andrea Maffei a raccogliere in casa propria e a presentare alla moglie Clara i nomi più in vista della vita culturale e mondana italiana e straniera, nel periodo più splendido del salotto, fino alla separazione tra i due coniugi.
Verdi entrò subito in rapporto con Maffei e con la sua cerchia di ospiti che poteva annoverare, tra l'altro, letterati come Giulio Carcano e Tommaso Grossi e il pittore Francesco Hayez; per il salotto transitarono Balzac e Liszt nei loro viaggi in Italia; altri letterati tenevano con Maffei una fitta corrispondenza: i fiorentini Niccolini e Le Monnier, gli scultori Giovanni Duprè e Vincenzo Vela. Quando, nel 1846, Andrea e Clara si lasciarono, testimoni all'atto della separazione dal notaio Tommaso Grossi furono Giulio Carcano e Giuseppe Verdi.
Gli autori del primo romanticismo tedesco era già in parte noti in Italia ma attraverso versioni francesi e molto forte era il fascino esercitato da Friedrich Schiller, proprio dalle giovani generazioni. Egli appariva il poeta della libertà individuale nazionale e dell'autodeterminazione dei popoli. Traduzioni ne circolavano, ma non ancora il teatro completo e fu proprio per colmare questa lacuna che Maffei s'assunse l'impegno di dare alle stampe il teatro completo si Schiller. Il primo tassello fu il dramma Die Braut von Messina (Milano, Fontana, 1827), preceduta da una prefazione di Francesco Ambrosoli docente di Letteratura all'università di Pavia, dedicata al teatro tragico tedesco e in particolare a quello schilleriano.
Generale fu l'apprezzamento per la versione, un successo che incoraggò Maffei a procedere nell'impresa tanto da essere riconosciuto “principe de' nostri poeti traduttori”.
Emanuele Muzio scrisse al Barezzi nel 1846 una lettera in cui cita afferma che “Maffei è il primo verseggiatore italiano e colle sue opere si è guadagnato la croce di cavaliere e quello che conta di più dei gran denari”.
Il teatro di Schiller costituiva già fonte di ispirazione per il teatro d'opera . Il poeta Jacopo Cabianca ne trasse, attraverso la versione di Antonio Caimi del 1828, il libretto per La Sposa di Messina, messo in musica da Vaccaj nel 1834. L'opera cadde alla sua prima rappresentazione a Venezia nel 1834, tanto che lo stesso Maffei scrisse a Cabianca. “Non posso negarti che il mal esito del tuo dramma mi ha ferito nel cuore... lascia per carità quel ladro mestiere agli affamati schinca penne di teatro e persuaditi che l'esigenza dei maestri e dei cantanti è la morte di un ragionevole melodramma, e dacchè fu sbandito il recitativo, che n'era il verbo, neanche il Metastasio potrebbe strappare un ragno dal muro. Tu chiedi il mio perdono ed io te lo concedo con la plenaria indulgenza ma sotto la inviolabile condizione di non ricadere mai più in quel brutto peccato. Amen”.S'intende che il Cabianca abbia usato anche come fonte la traduzione del Maffei, ma anche quanto come poco stimasse Maffei il lavoro dei librettisti, salvo poi firmare per Verdi il testo dei Masnadieri (1847) e rielaborare quello del Piave del Macbeth (1846-1847).
Nel 1830 uscì la traduzione del Maffei della Vergine di Orleans di Schiller: la traduzione è dedicata a Giulio Carcano in omaggio al traduttore di Shakespeare.
Fig. 4 Dedica di Andrea Maffei a Giulio Carcano Friedrich Schiller, La Vergine d'Orleans. tragedia romantica di Federico Schiller traduzione di Federico Schiller del cavaliere Andrea Maffei. Milano, Pirola, 1847
Viene recensita dalla rivista Biblioteca Italiana nel novembre del 1829: “perchè Schiller che raccolse con gran diligenza tutto quanto sappiamo intorno a Giovanna d'Arco, se ne allontana?”: si rimprovera all'autore la distanza da una verità storica che avrebbe prodotto “migliore effetto” rispetto al trattamento fantasiosocoerente con la definizione di “tragedia romantica” che Schiller appose al suo dramma.
Fig. 5 Friedrich Schiller, La Vergine d'Orléans: tragedia romantica di F. Schiller. Traduzione del cav. A. Maffei. Milano per gli Studi degli annali Universali, 1830
La Jungfrau von Orleans schilleriana interessò diversi musicisti: venne messa in musica nel 1828 da Vaccaj su libretto di Gaetano Rossi ispirato alla versione poetica di Pompeo Ferrario (uscita nel 1819) e nel 1830 da Pacini su libretto di Barbieri (tra l'altro è la versione più affine all'originale schilleriano ma che tiene di vista anche il poema dissacratorio di Voltaire).
Fig. 6 Nicola Vaccai, Scena e duetto Sorte avversa nell'opera Giovanna d'Arco del sig.r m.° Vaccaj. Milano : Giovanni Ricordi, [1827?]
Fig. 7 Francesco Barbieri, Giovanna d'Arco. Musica di Giovanni Pacini. Milano, Fontana, 1830
La figura dell'eroina francese nell'interpretazione fantastica di Schiller e nell'idealizzazione della missione di salvatrice della patria in quegli anni sta diventando un mito e simbolo del Romanticismo. Maffei è legato, fra l'altro, a doppio filo con il personaggio della leggendaria fanciulla: se traducendo Schiller in italiano ha contribuito a diffondere nella società ottocentesca l'entusiasmo per il personaggio storico francese, ha, infatti, anche un merito di far conoscere parallelamente la versione che Vincenzo Monti (1754 – 1828) aveva fatto della Pucelle d'Orléans di Voltaire, poema dissacratorio del mito eroico di Giovanna. Il testo di Monti circolava in modo clandestino, in quanto tutte le opere di Voltaire erano state messe al bando; nel 1823 era stata riferita all'“Alta Polizia di Vienna che il Monti traduceva la Pucelle d'Orléans. Interrogato il governatore di Milano rispondeva aver questi fatto un tale lavoro mentre stava profugo in Francia, ma essere falso che ora se ne occupasse, né intendesse pubblicarlo” (cit. Cesare Cantù, Monti e l'età che fu sua, 1879). Monti stesso affidò, prima di morire, alcuni manoscritti inediti tra cui il testo di Voltaire al Maffei,a Paride Zajotti, collaboratore della Biblioteca Italiana, e a Francesco Ambrosoli, professore dell'Università di Pavia. Per scrupolo questi ultimi bruciarono le copie del testo francese, Maffei invece “... v'aggiunse il resto e di propria fattura gli argomenti dei canti che ne mancavano. Questi ne pubblicò alcuni brani nell'edizione del Le Monnier e l'intero lavoro vendette al conte Attilio Carrara di Bergamo; il quale lo depositò nella biblioteca civica della sua città, con patto espresso che mai non venisse pubblicato né tutto né in parte, ne si potesse trarre copia..”.
La Giovanna d'Arco letteraria che circola quindi negli ambiti culturali è un personaggio quindi di fantasia e la Storia fa solo da sfondo alle vicende dell'eroina che, chiamata da Dio alla salvezza della patria, combatte fino alla vittoria morendo, in questo caso, nella battaglia finale risolutiva per l'affermazione del nuovo re di Francia.
Proprio nel 1830 compare in Germania a opera dello storico di matrice cattolica Guido Goerres(1805 - 1852) – impegnato all'Università di Monaco di Baviera, in contatto diretto con la cultura milanese della Biblioteca Italiana – la prima biografia storica di Giovanna, che anticipa lo studio scientifico delle vicende dell'eroina lorenese, ossia i lavori di Jules Michelet (1842) e la pubblicazione integrale dei processi radatti da Jules Quicerat (1841-1849). La versione in italiano comparve a Milano nel 1838: La Pulzella d'Orleans: opera tratta dagli atti del processo e dalle cronache contemporanee di Guido Goerres. Prima traduzione dal tedesco. Milano, Sambrunico - Vismara, 1838.
Verdi affida il libretto dell'opera a Temistocle Solera che reclama autonomia dal modello schilleriano come afferma in una lettera a Giovanni Ricordi nel settembre del 1844 “ Non conosco il dramma francese di cui mi parli. Ti affermo dunque rigorosamente che la mia Giovanna d'Arco è dramma affatto originale italiano; solamente ho voluto come Schiller introdurre il padre di Giovanna come accusatore; in tutto il resto non ho voluto lascarmi imporre dall'autorità di Schiller...”
Fig. 8 Guido Görres, La pulzella d'Orleans: opera tratta dagli atti del processo e dalle cronache contemporanee; con prefazione di G. Goerres ; prima traduzione dal tedesco. Milano : Sambrunico-Vismara (tip.), 1838
Fig. 9 Alexandre Soumet, Jeanne d'Arc. Tragédie en cinq actes et en vers. J.N. Barba, Paris, 1825
Il dramma di cui accenna Ricordi è forse il dramma Jeanne d'Arc (1825) di di Alexandre Soumet, autore, nel 1831, del dramma Norma, fonte dell'opera omonima di Bellini. Di fronte alla mancanza di testimonianze bisogna supporre che Verdi abbia accettato il libretto qual era anche per la fretta di portare a termine l'opera commissionata.
A metà del novembre del 1844 Verdi fece ritorno a Milano dopo l'esecuzione dei Due Foscari a Roma: Muzio così scrive a Barezzi... “il signor Maestro sta bene, eranvi i sui amici ad aspettarlo all'ufficio delle diligenze: questi erano Maffei, Toccagni, Pasetti, Ricordi, Pedroni...” e prosegue “nel difficile e periglioso passaggio dell'alpestre gola del Furlo nella notte altissima, fra la piova e la procella, una frana d'improvviso rovinò sulla strada poco prima che vi giungesse la diligenza. Fu allora mestiere soffermarsi perché intercluso il sentiero. Frattanto Verdi posseduto mai sempre la mente dalla sua Giovanna, indomito ai terrori ed agli strepiti della bufera, abbandonandosi ai voli dell'immaginazione, e trova fra il disordine della natura in tempesta... il concetto musicale da vestire l'introduzione del suo nuovo lavoro.” Apparso sul giornale La Fama del 18 novembre del 1844 questo racconto sembra costruito ad hoc per entrare nell'anedottica verdiana, ma costituisce uno dei pochi elementi relativi alla genesi della nuova opera per il Teatro alla Scala. Qualche informazione in più la ricaviamo da un articolo che venne pubblicato sempre sulla rivista La Fama di Pietro Cominazzi: “Tutto è pura invenzione... non più presso una imitazione di quella parte del famoso poema drammatico di Schiller in cui questi, anzi che incarnare la commovente peripezia dell'eroina francese, dannata a Roano per iniqua sentenza di suoi nemici, ordì non so quale leggenda e dispose arbitrariamente de' fatti consacrati dalla tradizione”.
Il dramma di Solera non ha propositi di rigore storico: ridotto ai minimi termini lo svolgimento della trama e numero di personaggi, l'opera così confezionata debutta alla Scala il 15 febbraio del 1845 con “esito felice”, come lo stesso Verdi scrisse a Piave, e avrà una larga diffusione a livello popolare.
Fig. 10 Giuseppe Verdi, Giovanna d'Arco: dramma lirico di Temistocle Solera. Milano: Tito di Gio. Ricordi, [1852] (front ill.)
Muzio scriverà a Barezzi l'anno seguente “... è sortito un organo ambulante di gran dimensione, il più grande che si sia fatto qui a Milano, ove c'è quasi per intero la Giovanna d'Arco... La polizia non permette che lo facciamo girare la sera, perchè fa unire troppa gente e le carrozze non possono andare, ma solamente di giorno; ma è già lo stesso; quello che succede di sera succede anche di giorno, tutti vi corrono ed ingombrano le strade ove si trova l'organo”.
Per Verdi sarà l'ultimo impegno con la Scala, decidendo di non mettervi più piede fintanto che ne fosse impresario il Merelli, lamentandosi della frettolosità e della scarsa attenzione nella messinscena, ma forse anche da contratti capestro che l'impresario aveva stretto con Ricordi stesso circa i diritti esclusivi di proprietà delle opere del maestro bussetano. Verdi vi ritornerà solo nel 1869 per la ripresa italiana della Forza del destino.