di Roberta Pedrotti
Mentre all'indomani della prima il successo è ombreggiato dall'eco del diverbio fra direttore e registi, non deve essere trascurata la cura prestata dalla Rai alla diretta televisiva, con un taglio che segna il tramonto del regno del gossip e dei fossili della Milano da bere, in favore di una maggiore e autentica attenzione ai contenuti.
Piaccia o meno, gli artisti sono esseri umani, nel bene e nel male, ma, soprattutto quando la loro opera è sotto i riflettori, le loro cadute fanno molto più rumore dei loro successi. Così, le polemiche per le male parole volate fra le quinte e raccolte incidentalmente dai microfoni della diretta, giungono quasi a contrappesare gli applausi unanimi che hanno risuonato per lunghi minuti nella sala del Piermarini, ad appagare l'assenza di clamori mediatici per una prima che ha fatto parlare di sé e discutere – al di là delle questioni di sicurezza che però oggi riguardano ogni evento pubblico di un certo peso – solo ed esclusivamente per valutazioni artistiche. Il piccolo dazio alla fame di scandalo non deve però gettare ombre su quello che è stato lo spettacolo in sé e sull'ottimo servizio svolto dalla Rai, emblema, invece, di una svolta significativa nell'approccio all'evento lirico per eccellenza.
Oggi, 10 dicembre, hanno inizio le recite ordinarie, la stagione scaligera torna nei binari di un normale – per quanto celeberrimo – teatro d'opera, si esce dall'annuale, scintillante tripudio mediatico scatenato dall'inaugurazione di Sant'Ambrogio. L'occasione in cui, improvvisamente, tutti vengono a sapere che esistono direttori d'orchestra, registi, cantanti lirici, in cui tutti i non melomani sentono quotidianamente parlare di Verdi e dintorni, in un certo senso si sentono coinvolti e coinvolgono l'amico melomane, cui rivolgersi come a un oracolo perché lui “sa”, lui – incredibile! – se ne occupa tutto l'anno, di quell'oggetto misterioso che, per una settimana circa all'inizio di dicembre, balza improvvisamente alle cronache.
Le luci del palcoscenico si mescolano alle prime luminarie natalizie e ai gioielli che risplendono nel foyer: l'opera, intorno al 7 dicembre, si mostra a tutti, ma il rischio tangibile è che appaia come la tradizione la dipingerebbe, mondana ed elitaria, affollata di privilegiati che fanno del teatro una vetrina presenzialista, non un luogo di cultura e passione. Così, talora, traspare dai media, in bilico fra sofisticatissimo intrattenimento culturale e fossili della Milano da bere. Non sempre però, e per fortuna: quest'anno qualcosa è cambiato. Sarà il clima internazionale teso, che ha imposto controlli di sicurezza rigidissimi, saranno i colpi di coda della crisi che fanno riscoprire il valore dei contenuti e un'eleganza più austera, sarà che c'è bisogno, più che di festeggiare, di fermarsi e meditare: questa non è stata una prima mediaticamente chiassosa come un tempo.
Lo conferma il paradossale contrasto fra la diretta Rai e il tradizionale speciale trasmesso da Telelombardia il 7 dicembre, su cui mi sintonizzo per qualche minuto: i soliti volti locali (sempre simili anche negli avvicendamenti che hanno visto sopraggiungere prestigiosi curricula a base di Grande Fratello e dintorni) ripetono gli stessi discorsi da vent'anni almeno, inseguono maldestramente il vip di turno per strappare una parolina scontata, in un eterno ritorno di paillettes e scollature. È una sopravvivenza del passato che spicca ancor più nei tempi cambiati, come alcuni bizzarri bagliori verde bottiglia messi alla berlina in maniera virale sui social network. Eclatanti nel cattivo gusto come nell'anacronismo.
Cosa fa, invece, la Rai? Fa, è il caso di dirlo, la cosa giusta: ignora i soliti noti e tutto il fumo luccicante. Sono le giornate in cui l'opera è protagonista? È l'evento musicale dell'anno? Tutti conoscono la Prima della Scala e il Capodanno di Vienna, i simboli del melodramma e del concerto strumentale? E allora si badi al succo, al contenuto.
La diretta di Rai 5 ha evitato perdite di tempo, momenti morti, il pollaio dei vip televisivi; si sono intervistati un medievista esperto e capace di bucare lo schermo come Alessandro Barbero per introdurre l'interesse verso Giovanna d'Arco, si sono coinvolti storici francesi, una compositrice italiana (Silvia Colasanti), un giornalista specializzato in teatro musicale (Alberto Mattioli), si è data voce a Chailly, alla Netrebko, a Meli, a Leiser e Caurier. Gli ospiti in sala cui riservare spazio sono i rappresentati delle grandi realtà musicali internazionali: il Festival di Lucerna, il Barbican di Londra, la Philharmonie di Parigi, il Musikverein di Vienna. Potremo condividere o meno le parole di ciascuno (per esempio, i distinguo su pretese opere minime e minori di Verdi, rilanciato da Mattioli), tuttavia sono tutte parole che vengono, nel bene e nel male, dal mondo musicale vero. Sono volti che ci dicono che siamo ancora all'interno di un circuito musicale, teatrale, culturale ai massimi livelli mondiali, che a Milano convergono per quest'occasione non le meteore del “mi si nota di più se vado o se non vado”, ma gente che di arte ne fa e ne capisce sul serio. Insomma, stiamo lanciando il messaggio giusto: che la Prima della Scala non è un circo, ma una cosa seria, piacevolmente seria, senza dubbio con il suo lato mondano, che tuttavia, cum grano salis, fa parte del gioco e non disturba. C'è, semmai, un tocco di fiaba, più che di chiassosa cialtroneria, che quando appare fa il suo dovere comico per un istante.
I conduttori televisivi sono discreti, pacati, volti nuovi che potranno affinarsi con l'esperienza, ma non strafanno, si son preparati, permettono alla serata di fluire in modo che protagonista sia solo l'opera, in tutto il suo splendore. E si lanciano anche i debiti ponti con il mondo dei social network (twitter in particolare), inevitabili al giorno d'oggi, ma son giusto due parole perché il pubblico si senta coinvolto senza che la lettura ossessiva di commenti e tweet d'ogni sorta divenga l'alibi per riempire minuti e minuti di mancanza di idee. Per fortuna le idee e le persone cui dare tempo e spazio.
Si sa, poi, che a casa propria – e con un computer a portata di mano – i melomani sono molto più agguerriti dei tifosi di calcio e che dunque non solo uno spettacolo si può giudicare in toto dalla ripresa radio o tv, ma che una sola fotografia possa essere rivelatrice delle peggiori nefandezze come delle più eccelse perfezioni registiche. Si sa che di fronte alla tastiera pullulano musicologi, direttori artistici, sovrintendenti, maestri di canto, registi teatrali e televisivi pronti a decretare l'incompetenza degli artefici dello spettacolo, gli errori nella gestione dell'indisposizione di Carlos Alvarez (cui vanno mille auguri di pronta guarigione) o in qualunque altro dettaglio. E sia detto con affettuosa ironia, ché le gradazioni che portano la passione a esprimersi dal più garbato scambio d'impressioni alla più saccente aggressività sono innumerevoli, senza contare che il successo c'è stato, in sala, caldo e unanime, solo insaporito fuori dal teatro, fra tanti apprezzamenti, dalle chiacchiere di contorno, dal dibattito sul valore intrinseco dell'opera, sulle scelte registiche, musicali, sulle voci, sulla figura di Giovanna, tirata per la corazza a far da paladina a qualsiasi parte politica, a nazionalisti xenofobi, cattolici integralisti, femministe, destre, sinistre, come se non le bastasse, poveretta, esser già di per sé in bilico fra santità e follia, disegno politico militare e delirio visionario. Ma tutto fa parte del gioco e conferma l'importanza della Prima della Scala, gli ardori che accende fra chi di opera s'interessa ogni giorno e chi ne scopre l'esistenza solo alla vigilia dell'Immacolata.
Un'opera, ne sono fermamente convinta, si giudica in teatro, a meno che non si tratti di valutare, ma con parametri diversi come prodotto artistico a sé, un CD o un DVD. Tuttavia, potrò almeno ammettere che la mia personale passioncella per un'opera (a mio parere, ingiustamente) negletta ha trovato pieno appagamento seguendo avidamente la diretta della prima. Potrò almeno dire che che mi porterò nel cuore almeno la dolcezza della scena della battaglia, raccontata come una fiaba, con infinito affetto, da Giacomo alla figlia, di cui ha finalmente compreso la vera natura, abbandonando l'ossessione religiosa del peccato e, infine, assecondandola per donarle un po' di serenità. Potrò ben dire che due spettatori d'eccezione come i miei nonni di novantatré e ottantaquattro anni, non melomani assidui ma amanti della buona musica e di Verdi, non avevano mai ascoltato prima una nota di Giovanna d'Arco, non erano stati istruiti sulle differenze fra la trama e la vicenda storica a loro nota, né sulla visione registica, eppure hanno seguito l'opera con il fiato sospeso, l'hanno definita meravigliosa sotto ogni punto di vista, lodando con entusiasmo Netrebko e Meli (e Cecconi: "anche quello che sostituiva è stato bravo"), apprezzando la messa in scena che a loro è parsa subito chiarissima e logica. Si poteva desiderare un risultato migliore per la diretta televisiva di un'opera che qualcuno definisce brutta? Non ci confermano, forse, due ultraottantenni che possiamo guardare al futuro con fiducia e curiosità, ché l'opera non è morta, sta agonizzando il kitsch delle inaugurazioni chiassose e delle platee ingioiellate e ignoranti da mostrare al mondo, facendo magari credere che quello sia il vero pubblico dell'opera. L'opera è ben altro, è e deve essere, stimolo, curiosità, passione, stupore, riflessione, entusiasmo, ricerca, rigore, arte. E questo si è cercato di mostrare in questo 7 dicembre.
Poi, noi incontentabili melomani esperti troveremo sempre la frase banalotta o la svista nel lancio al tg o su una testata generalista, ma, appunto, siamo solo noi ad accorgerci, e sono granelli di sabbia in un contesto che, invece, sta facendo immensi passi avanti.
Pazienza, dunque, se un colpo di coda velenoso sicuramente darà di che pascersi agli amanti delle polemiche: gli artisti, come tutti gli uomini, hanno sempre litigato, spartendosi torti ragioni e insulti, ma personalmente lascio volentieri gli umani dissapori dietro le quinte di una serata di cui essere orgogliosi, per l'esito artistico e per come è stata trattata dalla Tv di Stato, veramente servizio pubblico.