di Gianfranco Mariotti
In memoria di Claudio Abbado L'ape musicale è lieta di ospitare le voci di chi lo ha conosciuto da vicino. Ringraziamo il sovrintendente del Rossini Opera Festival Gianfranco Mariotti di aver voluto condividere questo toccante ricordo personale di un capitolo fondamentale nella storia della Belcanto Renaissance.
E’ difficile dire, a proposito di Abbado, qualcosa che in questi giorni non sia stato già detto. Eppure credo che ciascuno di noi abbia di lui un ricordo diverso. Claudio è stato – come tutti sanno – una presenza decisiva della rinascita rossiniana, sia nella preistoria, quando portò coraggiosamente per primo alla Scala lo sconosciuto Rossini in edizione critica, imponendo al pubblico più tradizionale la inaspettata trasparenza “mozartiana” di un Barbiere di Siviglia mai sentito prima; sia nel big bang pesarese degli anni ’80, quando firmò, con la leggendaria prima mondiale moderna del Viaggio a Reims, uno degli spettacoli più importanti del secolo, che segnò l’ingresso del Rof nella grande ribalta internazionale. Sul piano personale ho di lui il ricordo di un amico senza ombre, dal carattere schivo e poco espansivo, sotto il quale però covava l’anima giovane di un ragazzo. Ho giocato diverse volte a tennis con lui, e devo dire che era molto più bravo sul podio, tant’è vero che quando mi invitò in Sardegna per la festa dei suoi 60 anni gli portai in regalo una racchetta che (diceva la dedica) “giocava da sola”. Ma la sua disponibilità allo scherzo veniva fuori talvolta anche durante il lavoro, malgrado il suo aplomb rigorosissimo. Nessuno sa, ad esempio, quante decine di gag e scenette, non solo visive ma anche musicali, furono introdotte durante le prove del Viaggio e cambiate poi ad ogni recita – pur senza ledere la partitura – soprattutto ad opera di Enzo Dara e dello stesso Claudio. Una sola di queste non fu mai scoperta e rimase stabilmente al suo posto: quella della tromba che accenna le prime note della Marsigliese nel momento in cui Trombonok invita Folleville e Belfiore a intonare la loro “canzonetta francese”. Nessuno fra i paludati critici e musicologi presenti sospettò che la cosa non fosse farina del sacco di Rossini (figuriamoci: un giacobino fuori tempo annidato nell’orchestra come un giapponese nella foresta!) ma un innocente scherzo di Abbado. E c’è qualcuno che lo crede tuttora… Insomma l’immagine di Claudio che mi è rimasta, anche dopo l’ultima volta che l’ho incontrato (a Bologna, in un concerto con la Mozart) è quella di un uomo stabilmente giovane, curioso e sereno.