di Giuseppe Guggino
La mobilitazione sindacale del comparto Fondazioni lirico-sinfoniche in occasione dell’inaugurazione di stagione del Teatro La Fenice [leggi il comunicato con il volantino distribuito] offre l’occasione di compiere qualche ragionamento sull’ormai famoso art. 24 della L. n.160/2016. Come sempre accade su questo tipo di problematiche, alla fama non si accompagna la conoscenza esatta di quanto contenuto nell’articolo, pertanto non apparirà scontato se prima di sposare ogni congettura preferiamo proporre una lettura della fonte principale, depurata da rimandi e tecnicismi; e sarà una lettura non esente da sorprese.
La ripresa dopo la pausa estiva delle stagioni nei teatri d’opera e nelle sale da concerto è stata contrassegnata pessoché ovunque dalla lettura di un “comunicato” prima dell’inizio di ogni spettacolo volto ad informare (almeno secondo le intenzioni delle organizzazioni sindacali) il gentile pubblico di quanto introdotto in piena estate dal Governo con una sorta di oscura mossa sabotativa – secondo l’aneddotica romanzesca tipica in questo tipo di interventi – a danno presunto delle Fondazioni lirico-sinfoniche. Riportiamo il comunicato stampa in questione nella sua interezza:
La musica lirica e sinfonica espressa in questo teatro rappresenta, grazie alle alte professionalità, un’eccellenza italiana, che all’estero è ampiamente riconosciuta.
Oggi siete qui per vedere uno spettacolo che ha comportato lavoro e preparazione.
Gli artisti che si esibiranno hanno alle spalle una lunga carriera, che inizia spesso da ragazzini e continua, con un continuo percorso di formazione e aggiornamento.
Le scenografie che vedrete sono il prodotto finale di un mestiere artistico e artigianale che viene svolto con capacità e professionalità che all’estero ci invidiano.
L’art. 9 della Costituzione afferma che l’Italia incoraggia lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio artistico.
Nonostante questo da troppi anni assistiamo ad un attacco nei confronti dei lavoratori della lirica, fin anche a mettere in dubbio la nostra professionalità e competenza che viene riconosciuta come un’eccellenza all’estero, e dei nostri teatri, che vengono descritti come carrozzoni.
A questo si accompagna un ripetersi di norme legislative che non affrontano i veri problemi delle Fondazioni lirico-sinfoniche. Recentemente hanno inserito nella Legge per gli enti locali una norma che ci riguarda che rischia di tradursi nella tragica fine di questo comparto.
Si prevede il declassamento dei teatri che non riescono a stare in equilibrio di bilancio in non meglio precisati “teatri lirici”, con il disimpegno dello Stato per quanto riguarda la vigilanza e la partecipazione. Questo si tradurrebbe nell’impossibilità per questo teatro di produrre questo spettacolo e questo renderò più difficile la presenza di grandi artisti e grandi direttori d’orchestra.
Tutto il nostro impegno per garantirvi spettacoli di qualità rischia di essere reso inutile da questa norma.
In occasione della recente inaugurazione di stagione d’opera del Teatro La Fenice di Venezia si è svolta una mobilitazione di tutti i lavoratori del comparto contro questa misteriosa norma e anche la stampa nazionale più blasonata negli ultimi due mesi ha dato ampia risonanza a quello che viene presentato come un cavillo inserito quasi di soppiatto in una Legge su tutt’altro tema [ cf. Il Fatto Quotidiano: Spunta la norma ammazza comparto, 31 luglio 2016]
Giusto per tornare dalle presunzioni ai fatti, ricostruiamo la nascita di questa Legge e il suo contenuto relativamente alla parte incriminata. Dovendoci districare tra rimandi ad altre leggi, al fine di non appesantire la lettura con tecnicismi, effettuiamo una “traduzione” dal burocratese dei singoli commi, introducendo come link gli estratti rigorosamente desunti dalla Gazzetta Ufficiale, per chi volesse approfondire punto per punto (e per gli increduli: probabilmente ce ne saranno tanti anche fra i lavoratori delle Fondazioni).
Il 24 giugno 2016 il Governo vara il Decreto-legge n.113 “Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio” in 25 articoli, il cui art.24 reca il titolo “Misure urgenti per il patrimonio e le attività culturali” che, senza trucco e senza inganno, riportiamo integralmente, come pubblicato nella GU Serie Generale n.146.
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Il comma 1 e 2 dell’art.24 altro non fanno che introdurre sempre la medesima modifica puntuale in tutti i passi della cosiddetta Legge Bray del 2013 (Decreto-legge 8 agosto 2013 n. 91 convertito dalla Legge 7 ottobre 2013 n. 112). E allora ricordiamo cosa prevedeva quella Legge che, con il lungo art.11, si occupava proprio di Fondazioni lirico-sinfoniche istituendo un fondo di rotazione di 75 mln€ per quelle interessate da gravi problemi di liquidità, purché si vincolassero a varare e seguire un piano triennale di risanamento per rientrare nei binari della normalità; come condizione deterrente al rispetto del piano la legge Bray all’art.11 comma 14 impone il raggiungimento del pareggio di bilancio, sia per quanto riguarda il conto economico sia per la situazione partrimoniale, entro la fine del 2016 a pena liquidazione coatta (segue stralcio dalla GU Serie Generale n.186 del 2013).
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Il pareggio di bilancio è obbiettivo relativamente “umano” da raggiungere, basta sapere prevedere le spese a inizio anno in funzione della programmazione varata, stimare verosimilmente le entrate (incassi futuri al botteghino e contributi pubblici e privati che si prevede vengano assegnati) e fare in modo che le prime non superino le seconde; in altre parole è sufficiente dotarsi di un Sovrintendente con un minimo di buon senso e mediamente capace. L’equilibrio patrimoniale è cosa molto diversa, che ha a che fare con il livello di indebitamento pregresso della Fondazione, che non può (o non dovrebbe potere) superare il patrimonio disponibile (ossia vendibile a compensazione dei debiti) dell’istituzione stessa.
Tanto per fare un esempio la Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino a fine 2015 ha un patrimonio netto addirittura negativo di -7 mln€, mentre il valore del suo patrimonio netto non potrebbe scendere al di sotto di 40 mln€, per cui a fine 2015 versa in uno stato di gap patrimoniale da colmare di 47 mln€; tradotto sarebbe che, ammettendo il riuscire a chiudere ogni conto esercizio con 1 mln € di attivo reale (risultato d’esercizio non di poco conto, di per sé), impiegherebbe 47 anni a risanare il proprio stato patrimoniale.
Si comprende bene come il termine del 2016 della Legge Bray, conseguibile per il pareggio di conto dell’esercizio ma certamente fuori portata per l’equilibrio patrimoniale, sarebbe stato inevitabilmente votato all’italica pratica della procrastinazione all’infinito, di anno in anno. E in effetti così è stato. Intanto è intervenuta un’altra legge ad incrementare il fondo di rotazione di altri 50 mln€ nel 2014 (v. l’art.5 c.6 della cosiddetta legge “artbonus” in GU Serie Generale n.175 del 30-7-2014). Poi è intervenuta la Legge di stabilità del 2016 che, oltre all’aumento del fondo di altri 10 mln€, in vista del fatto che l’equilibrio patrimoniale entro il 2016 era poco più di una pia illusione, con il suo art.1 comma 355, procrastina il termine “capestro” dalla fine del 2016 alla fine 2018, purché si rediga un piano di risanamento integrativo, insomma purché si sommassero carte a quelle già prodotte.
Il punto è sempre quello che il pareggio di conto economico è un obbiettivo possibile, mentre l’equilibrio patrimoniale, almeno per quattro o cinque fondazioni lirico-sinfoniche in Italia, è impossibile da centrare sia nel 2016, ai nel 2018 e forse anche nel 2050. Ecco che su questo punto interviene il tanto discusso decreto-legge “balneare” del Governo, che sostituisce tutti i punti in cui la Legge Bray chiede il pareggio di conto economico e patrimoniale entro il 2016 con “il pareggio economico” (senza data, ossia entrate e uscite di ogni esercizio) accompagnato a un non meglio precisato “tendenziale equilibrio patrimoniale”… In altre parole l’aggiunta dell’aggettivo “tendenziale” ha reso vago, ha sostanzialmente annacquato la minaccia della liquidazione coatta contenuta nella versione originaria della Legge Bray.
Tutto qui l’oscuro colpo di mano del Governo che ha messo a rischio, ha minato, ha attentato, ha sabotato le Fondazioni? Verrebbe da dire più o meno sì: in sostanza aver affievolito una misura di controllo già prevista in passato, mentre contestualmente si erogavano 75+50+10mln€ extraFUS sotto forma di fondo di rotazione. In realtà le cose non si fermano al Decreto-legge n.113, poiché il testo è passato in Commissione alla Camera a partire dal 30 giugno, il 19 luglio ha iniziato il suo iter in Assemblea, il 31 luglio è approdato al Senato fino all’approvazione definitiva il 2 agosto della Legge di conversione, ossia la Legge n.160 citata nei comunicati.
pagina 1: A proposito della Legge 160
pagina 3: "Modelli organizzativi, gestionali"
In questo passaggio alla legge di conversione, l’art. 24 si è arricchito di qualche altro comma. Permanendo ancora l’anno 2016 nel testo del Decreto, nonostante la Legge di stabilità varata a dicembre dell’anno scorso avesse già introdotto l’idea della proroga, è stato rettificato il termine temporale procrastinativo al 2018. Permane sempre la lezione deterministica per il pareggio del conto esercizio, così come l’equilibrio patrimoniale da conseguire permane come fumosamente “tendenziale”: cioè una locuzione che non significa nulla. In più sono aggiunti dei commi 3-bis fino a 3-sexties (si tralasciano il 3-septies et opities che riguardano attività turistiche e fluviali). Segue il testo coordinato dell’art. 24 nella versione modificata definitivamente con la Legge n160/2016 di conversione (pubblicato in GU Serie Generale n.194 del 20-8-2016).
Il comma 3-bis, uno di quelli aggiunti in sede di conversione, al fine di favorire il raggiungimento degli equilibri (sia quelli veri, che quelli “tendenziali”), manifesta l’intenzione – ma solo quella – di redigere entro giugno 2017 un “regolamento” contenente “modelli organizzativi, gestionali” idonei a garantire l’equilibrio, insomma una specie di “ricettario del bravo Sovrintendente”, come se bastasse seguire delle regolette per gestire bene una cosa tanto complicata, peraltro esulando totalmente dalle competenze e capacità delle persone scelte ai vertici: sarebbe enormemente più efficace tenere alla larga dai teatri chi in questi anni è stato capace di condurli a patrimonio netto con importi negativi! Ma tant’è. Altro compito di questo futuro regolamento sarà rendere meno fumoso il senso dell’aggettivo “tendenziale” per capire cosa sarà necessario per rimanere nello status “Fondazione lirico-sinfonica” (ergo spartirsi circa il 44% del FUS ogni anno), pena la classificazione come “teatro lirico” (con attingimento a una quota di FUS più piccola): tutta qui il paventato “declassamento”, “disimpegno dello Stato”. Insomma, ancora una volta buoni propositi di governare un settore con perdite croniche (sempre focalizzate però negli stessi teatri, attorno alle stesse persone, guarda caso) con la minaccia di fissare in futuro qualche altro parametro, già sul nascere destinato ad essere ritoccato e/o procrastinato al primo sforamento da parte dei soliti noti. In altre parole molto rumore, per nulla.
Il comma 3-quater è l’unico contenente qualcosa di concreto. Nelle more del raggiungimento dei pareggi di conto economico a fine 2018, alle Fondazioni che chiudono l’esercizio con saldo negativo si applica il taglio dell’integrativo dei dipendenti (taglio peraltro già previsto dalla Legge Bray all’art.11 c.1 come condizione per l’accesso al fondo di rotazione e poi rimosso con il Decreto-legge c.d. Artbonus), una minaccia quantitativamente indefinita nel riconvertire i rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (che, non fissando in quale rapporto dovrebbe stare la presunta riduzione dell’attività in funzione dello sforamento d’esercizio, significa ancora una volta aver usato inchiostro a vanvera e procurato inutili pubbliche sollevazioni) e la riduzione al 50% del tetto massimo per il trattamento economico per le missioni all’estero.
Dal comma 3-quinquies si torna alle disposizioni inutili, quali la possibilità di avere consigli di indirizzo con più di 5 membri, purché a titolo gratuito, mentre il comma 3-sexies ribadisce sostanzialmente che il MiBACT ha facoltà di comparare e ripartire il FUS come gli pare: qualora, guardando gli ultimi tre riparti [leggi l'analisi del comparto FUS 2016], non ce ne fossimo già resi conto.
Tirando le somme di questa lettura “facilitata” dell’art.24 della Legge n.160/2016 ci pare non ingeneroso definire il dispositivo legislativo oscillante tra il tradizionalmente dilatorio e il vacuo allarmismo sul nulla: una Legge in perfetto stile “italiano”, perfettamente inefficace sulle Fondazioni, che perde ancora una volta l’occasione di fissare regole concrete volte a tenere fuori dai vertici persone di conclamata incapacità, responsabili in passato di risultati economici catastrofici. L’unica misura su cui si può concordare con le organizzazioni sindacali che si scarichi direttamente sui lavoratori è quella aggiunta con il comma 3-quater, ma occorre osservare come storicamente si è troppo spesso registrato nelle Fondazioni un certo collateralismo tra gli amministratori a cui si alludeva sopra e gruppi facinorosi radicalisti fra i lavoratori (non, naturalmente, tutti i gruppi sindacali): cercare di spezzare questo insano spalleggiamento vicendevole rendendo in qualche modo confliggenti i rispettivi interessi individuali è forse l’unico timido tentativo anticiclico nella norma che potrebbe funzionare nel lungo termine. Per il resto, l’appuntamento è al 31 dicembre 2018, quando – ne siamo certi – giungerà la successiva proroga al 2020.
pagina 1: A proposito della Legge 160
pagina 2: La nascita della legge 160
NOTA di REDAZIONE
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