di Andrea R. G. Pedrotti
Analisi a confronto di due DVD di Die Fledermaus registrati a distanza di quasi quarant'anni, nel 1966 in italiano per la Rai e nel 2003 in originale a Glyndebourne
Bella Gerant alii, tu felix Austria nube. Nam quae Mars aliis, dat diva tibi Venere
Correva l'anno 1873, era il 9 maggio, il venerdì nero del crollo della borsa di Vienna, vero principio della prima grande depressione, che avrebbe avuto suo epilogo soltanto nel 1895. Nella capitale dell'impero austro-ungarico fu il panico; pur restando una grande potenza economica, grazie a una circolazione monetaria ancora importante, l'avanzata della classe borghese su quella aristocratica e lo sviluppo tecnologico mutarono notevolmente gli equilibri, favorendo il capitalismo e il colonialismo, fuori dai confini del vecchio continente, in una panoramica geograficamente avversa a Francesco Giuseppe. L'Austria si trovò, inoltre, in una condizione politicamente e strategicamente svantaggiata, rispetto ad altre Nazioni emergenti, favorite da un'economia più rurale, perciò meno soggetta ai capricci delle borse. In questo clima il cinque aprile 1874 si rappresentò al glorioso Theater an der Wien, la prima esecuzione mondiale del capolavoro senza tempo, ma pienamente inquadrato nel proprio, di Johann Strauss II: Die Fledermaus, una composizione in grado di ricomporre lo spirito tormentato dalle asprezze della vita, almeno per le tre ore trascorse in sala. Tratto dal Vaudeville La Reveillon di Henri Mehilac e Ludovic Halévy, fa ancora bella mostra di sé, senza alcuna ombra di polvere, nei treatri di oggi: questo non solo grazie alle meravigliose e coinvolgenti musiche di Strauss, ma anche all'efficace, colto e spiritoso libretto di Carl Haffner e Richard Genée.
Il primo dei due lavori in DVD che andiamo ad analizzare fu messo in scena a Trieste nel 1966, per poi essere trasmesso dalla Rai, in un'epoca in cui spettacoli del genere, che ancora sarebbero notevolmente apprezzati, avevano una diffusione mediatica maggiormente conforme alla loro meritata fama. Purtroppo l'edizione triestina soffre tutti i vizi del periodo degli anni sessanta: il libretto viene più volte edulcorato da allusioni troppo apertamente trasgressive, il principe russo Orlowsky (sic) acquista decisa virilità, essendo interpretato da un basso, anziché dal consono mezzosoprano en travesti, ma, soprattutto, viene inopinatamente tagliata la celeberrima Tritsch-Tratsch-Polka, del grande finale del secondo atto, per essere sostituita dall'esecuzione di An der schönen blauen Donau e altri balli d'alta società, che, certo, rendono alla perfezione l'atmosfera di un salotto viennese della seconda metà dell'ottocento, ma indeboliscono la vicenda, mossa dalle trame del Doctor Falke, nei suoi propositi di vendetta nei confronti di Gabriel von Eisenstein. Il grande baccanale, ambientato nella dimora, del ricco aristocratico russo perde di mordente e quelle del possidente viennese appaiono più innocenti scappatelle, che non vere e proprie fughe perversamente erotiche. L'ambientazione registica è d'epoca e casa Eisenstein è il tipico appartamento d'un ricco borghese austriaco: sfarzoso e ben arredato. I dettami del libretto sono rispettati minuziosamente, nel solco di una tradizione semplice e niente affatto manierata. Punto debole della regia, ma - lo ribadiamo - dovuto alle convenzioni degli anni sessanta del XX secolo, è il secondo atto: le danze sono certamente ben eseguite, tuttavia viene resa solo l'immagine oleografica e iconografica dell'Austria felix, con una concezione piuttosto stereotipata e macchiettistica dell'ambiente. Il terzo atto riporta lo spettacolo su un buon livello visivo, grazie anche all'ottima prova drgli interpreti. Astro della compagnia di canto fin dal principio è Alvinio Misciano, cantante raffinato e moderno, nel miglior senso del termine. Il suo Gabriele di Eisenstein è ammiccante e malizioso nella giusta misura; la recitazione è di altissimo livello, la presenza scenica nobile e consona al personaggio. Nel corso di tutta la rappresentazione compensa ampiamente le pecche delle convenzioni censorie che si dicevano ed entra perfettamente nel personaggio straussiano, cogliendo appieno lo spirito dell'operetta. Va reso un plauso a un interprete di tal livello, il quale avrebbe certamente meritato maggiori riconoscimenti per la sua arte. Ottima anche l'Adele di Edith Martelli, abilissima nel trasferire l'impostazione dal registro parlato al cantato, è attrice spigliata dalla notevole tecnica canora e un bel timbro scuro, sicura nell'offrire una prova ampiamente apprezzabile. Sullo stesso livello la prima ballerina Ombretta de Carlo, bella e brava Ida, cui viene omessa l'intera parte cantata, ma le viene data opportunita di mettere in mostra tutte le sue grazie e abilità nel corso di ogni danza nel palazzo di Orlofsky. Enrico Dezan era un Ranocchio apprezzabile, con una punta interpretativa nel monologo del terzo atto, che gli da modo di offrire una rimachevole prova da consumato caratterista. Un gradino al di sotto degli altri protagonisti la Rosalinda di Edda Vincenzi, corretta tecnicamente, ma dall'interpretazione piuttosto insipida, considerando che in un'operetta si richiederebbe un brio maggiore in accenti e atteggiamenti. Come si diceva, il principe Orlofsky (Claudio Giombi) viene qui intepretato da una voce maschile, scelta non razionalmente condivisibile nell'economia della composizione, benché la prova resa siapiacevole e di buon livello. Carlo Franzini è un Alfredo divertente e divertito, capace di prodursi in una gran varietà di accenni al repertorio lirico italiano. Il dottor Falke (vero motore dell'intera vicenda) è un efficace Guido Mazzini; degno di nota anche il Frank, direttore delle carceri, di Renato Cesari. Completa il cast Walter Artioli nel ruolo dell'azzeccagarbugli Blind. La regia di Vito Molinari risulta, benché edulcorata, sufficientemente accattivante e coinvolgente. Qualità di scene e costumi, a cura di Giorgio Veccia, sono eccellenti. Belle e ben eseguite le coreografie di Gira Geert. Forse per motivi legati alla registrazione d'epoca non appare eccelso il suono dell'orchestra diretta da Hans Walter Kaempfel. Il maestro del coro è Giorgio Kirschner, i complessi quelli del teatro Verdi di trieste, la versione ritmica italiana di G.Trampus. Peccato per la qualità della veste grafica del DVD, priva di qualunque informazione, se non assolutamente generica, relativa allo spettacolo. Resta, ad ogni modo, un documento importante da conservare gelosamente nella propria videoteca. Si consiglia anche l'attenta visione dei contenuti extra, specialmente il dietro le quinte dell'edizione 2005 e quello relativo al museo dell'operetta “Carlo Schmidl” di Trieste.
Se, invece, si vuole passare da un documento all'eccellenza e apprezzare una registazione che sappia eternare nel migliore dei modi Die Fledermaus, non ci si può sottrarre dalla visione del DVD, edito dalla Opus Arte, della rappresentazione di Glyndebourne del 27 luglio 2003. La vicenda viene trasposta una ventina d'anni oltre il 1874, quindi quando la grande depressione volgeva al termine. La regia di Stephen Lawless, assistito da Titus Hollweg, è bellissima e priva di punti deboli, così come la musica Johann Strauss. La casa di Gabriel von Eisestein è più semplice, ma adeguata e tutto il primo atto è una serie senza fine di trovate divertenti e spensierate, ma mai eccessive e sempre intelligenti. Alfred e l'influenza erotica del suo canto su Rosalinde, vengono caratterizzati con simpatia mai volgare; il terzetto fra Eisestein, la moglie di quest'ultimo e la cameriera Adele è musicalmente strepitoso e l'abilità, nonché la disinvoltura degli interpreti aiuta il pubblico a essere partecipe di una infinita serie di gag irresistibili. Il vero capolavoro registico, però, è il secondo atto. Nel corso della festa nel palazzo del principe Orlofsky, il libretto è seguito alla prefezione in un crescendo emotivo di rara efficacia, partendo dall'incontro fra il ricco russo e il Doctor Falke, sino a giungere a un effluvio di equivoci, eros e alcool, sempre gioiosi e perversamente spensierati. L'esplosione del grande baccanale orgiastico, che fa da chiusa all'atto centrale, con un apice di lieta trasgressione di ben sette ore, come viene sottolineato dall'ingresso di orologi sulla scena, a ricordare che il trascorrere cronologico, nella gioia del vizio, pare volare via. Il terzo e ultimo atto, abientato nelle prigioni viennesi, altro non è che la risoluzione dell'intreccio: tutto viene disvelato e la vendetta di Falke, per l'umiliante scherzo subito ha suo compimento. Accanto a uno spettacolo sì perfetto, non poteva porsi altro che una compagnia vocale di egual qualità. Pär Lindskog è un Alfred ammiccante e disinvolto. Lyubov Petrova è perfetta nel ruolo di Adele, precisa nelle agilità, svettante nei sovracuti: abilissimia attrice, dà una caratura differente dal consueto all'aria del secondo atto "Mein herr Marquis”, donando un tono di preoccupazione più marcato, nel timore di essere scoperta nel suo travestimento, che, anche cromaticamente (bianco su nero), potrebbe rammentare la divisa di una cameriera. Pamela Armstrong è una Rosalinde spiritosa e smaliziata, completamente avvinta nei suoi freni inibitori dal canto di Alfred, gelosa e impertinente con il marito. Prevedibile la prova di Thomas Allen, che non tradisce le più rosee attese; il suo Gabriel von Eisestein è irresistibile, ingannatore, ma sciocco - senza essere stupido - nel cadere nella trama di inganni subiti, vittima delle dobelezze scatenate dal richiamo dell'ebrezza. Allo stesso modo il principe Orlofsky di Malena Ernman è quanto di meglio si possa desiderare in questo ruolo: impressionanti le variazioni di timbro e di espressione nella recitazione, ottima la resa vocale in tutte le sue parti. Vermente un'interprete irrinunciabile per qualità e capacità. Håkan Hagegå (Doctor Falke) è autentico deus ex machina dell'intero intreccio; tutte le frenetiche vicende di questa folle serata portano la sua firma, unico personaggio posato e riflessivo, spesso controlla dall'alto che i suoi propositi di vendetta dalla burla subita abbiano totale compimento. Il cast è completato da Artur Korn, eccellente Frank e da un'altrettanto eccellente Renée Schüttengruber, ottima cantante, attrice e ballerina. Il doctor Blind è Ragnar Ulfung, le belle scene girevoli sono di Benoit Dugardyn, i costumi di Ingeborg Bernerth e le luci di Paul Pyant. Nota di merito alla coreografia di Nicola Bowie, splendida nelle rappresentazioni di musiche tipiche del cosmopolitismo dell'austro-ungheria e magistralmente celate dall'impiano scenico, quasi a intuirne l'evoluzione all'interno del salotto. Unica danza apertamente visibile al pubblico è una straordinaria Tritsch-Tratsch-Polka, eseguita all'unisono da quattro avvenenti ballerine, Ida, Eisestein e Frank. Sapiente quanto lo fu l'Austria felix, la direzione di Vladimir Jurowski, che giunge all'ideale platonico dell'interpretazione musicale straussiana. Il direttore russo coglie appieno lo spirito dell'operetta viennese, con dinamiche perfette e splendido equilibrio fra le sezioni d'una sempre impeccabile London Philarmonic Orchestra, condotta, nel finale da Udo Samel (che interpretava anche il ruolo del carceriere Frosch), accompagnando gli scroscianti e meritati applausi al suono di una coinvolgente Radetzky-Marsch. Il Glyndebourne Chorus è diretto da Bernard McDonald e preparato da Martin Fitzpatrick. Di ottima fattura la veste grafica del DVD, il saggio di Tom Sutcliffe e le note di regia di Stephen Lawless. Unica pecca l'assenza di sottotitoli in lingua originale. Quando un'operetta viene eseguita con perizia e pertinenza, con la collaborazione di registi abili, efficaci coreografie e cantanti-attori capaci di cimentarsi con difficoltà tali da superare ampiamente quello del teatro lirico di tradizione, ebbene, si giunge allo scopo che i padri di questo genere vollero trasmettere. Nei momenti di crisi l'operetta ebbe la sua esplosione, come rappresentazione non di grandi vicende storiche, ma delle intime passioni umane, con i loro pregi e difetti, ponendo lo spettatore davanti al suo intimo, consentendo di sfogare passivamente le sue tensioni e liberando la mente dalle proprie scorie: essa funge da autentica medicina dell'anima. Un farmaco che la Vienna felix seppe produrre nella sua forma più alta, grazie alla sua straordinaria e ineguagliata levatura intellettuale e culturale, fatta dall'eterogeneo incontro di popoli e culture, tipiche dell'impero che, nella diversità seppero arricchirsi e ancora seguitano ad arricchire tutti noi, senza avvertire i segni del tempo. Questo perché quale mirabile fanciulla, la Vienna che fu, faceva mostra di sé, colta, raffinata e smaliziata; tuttavia fu, purtroppo, stroncata nel fiore degli anni dall'immutabile trascorrere del tempo e dalla parte peggiore dell'uomo, ma grazie all'eterno splendore delle musiche di Johann Strauss o di Franz Lehár, riappare a noi, più magnifica e lucente che mai.