I diamanti russi e l'orafo italiano
di Emanuele Dominioni e Pietro Gandetto
Successo al Teatro alla Scala per l’Orchestra Verdi nel brillante concerto dedicato al repertorio russo, con l’esecuzione dell’ouverture di Una sposa per lo Zar e della Shéhérazade op. 35 di Nikolaj Rimskij-Korsakov e la trascrizione sinfonica di Ravel dei Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij. Decisa la bacchetta di Jader Bignamini.
MILANO 13 settembre 2015 - Nel clima di aspra polemica generata dall’assegnazione dei fondi Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) che ha fortemente penalizzato l'orchestra di largo Mahler, la reazione più eloquente della Verdi è arrivata ieri sera con un brillante concerto sinfonico. Eh sì, perché, al di là delle invettive giornalistiche e delle iniziative giudiziarie (già annunciato il ricorso al TAR dell’istituzione milanese), con questa performance la Verdi ha fatto dimenticare per un attimo tutte le polemiche, nella complessiva soddisfazione del pubblico. Ha così assunto un valore aggiunto il concerto di apertura della stagione sinfonica della Verdi celebrato, com’è ormai da tradizione, nell’“esterna” settembrina alla Scala.
Il programma ha previsto un tris d’assi del repertorio russo: come entrée, l’ouverture della Sposa per lo zar, composta nel 1898 da Nikolaj Rimskij-Korsakov. A seguire i quindici brani dei Quadri da un'esposizione di Modest Musorgskij (1874), nella nota orchestrazione di Maurice Ravel, e l’evocativa Shéhérazade (1888) sempre di Rimskij-Korsakov, suite sinfonica ispirata alla principessa delle Mille e una notte.
Di classe la direzione di Jader Bignamini. Attraverso la sobria e apollinea compostezza del gesto, riesce a fare quadrato attorno ad un'Orchestra Verdi che risponde a fasi alterne alle intenzioni del direttore milanese.
Il tentativo di coniugare il suono e il fraseggio tipico di una compagine italiana e il repertorio russo di fine Ottocento riesce soprattutto in pagine come la smagliante Ouverture di Una sposa per lo zar e, a sprazzi, nei Quadri da un'esposizione, nonostante una certa debolezza degli archi nel modellare una sonorità unica e incisiva. La tavolozza cromatica e ritmica che Ravel esige in questa trascrizione, viene riproposta in questa sede con pronta decisione da Bignamini, con esiti mirabili per ciò che concerne eleganza e varietà timbrica, soprattutto della sezione fiati. Ciò che manca qui, come soprattutto in Shéhérazade, è l'impasto sonoro e l'epico incedere melodico proprio della scuola russa, sacrificato sull'altare di una più generica precisione dinamica e un'innegabile ricerca nel fraseggio.
Nella seconda parte del concerto, con l'esecuzione di Shéhérazade, assistiamo ad alcune prove solistiche di pregio da parte dei componenti dell'Orchestra Verdi. Su tutti, il primo violino di Luca Santaniello, si pone in assoluta sintonia nel complesso dialogo orchestrale, disegnando coi suoi interventi, momenti di grande pathos. Sebbene molto sacrificato nel volume, dalla discutibile scelta di rimanere seduto accanto alla sua sezione, riesce ad emergere soprattutto per quanto riguarda i piani dinamici.
Da lodare, non stentiamo a dirlo, è la ricerca sonora della sezione archi che, soprattutto nella terza parte del brano, ha saputo modellare la propria linea musicale con un legato di grande pregio. Il dualismo fra un'orchestrazione sgargiante e variegata e gli originali elementi esotici, reso da Korsakov qui con magistrale equilibrio, viene genericamente assecondato nella lettura di Bignamini, che tiene le fila di un'Orchestra Verdi, forse poco avvezza a questo repertorio, uscendone comunque vincitore e in ultima analisi, corretto esecutore.
Il giudizio del pubblico inizialmente composto negli applausi, cresce con l'esecuzione dei due popolari bis: la danza delle spade di Chačaturjan e la danza russa dallo Schiaccianoci di Čajkovskij.