L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Comporre "smart working"

di Roberta Pedrotti

Il Teatro Coccia di Novara risponde al blocco dell'attività imposto dall'emergenza sanitaria con un'opera nata appositamente per le piattaforme online. Abbiamo chiesto agli interpreti e agli artefici di raccontarcela. Ecco allora, dopo il "capofila" Marco Taralli, le parole dei compositori invitati a lavorare ad Alienati: Federico Biscione, Alberto Cara, Cristian Carrara, Federico Gon.

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Cosa ha pensato quando è arrivato l'invito a partecipare a questo progetto?

Federico Biscione Ho pensato che fosse una follia. Quindi ho immediatamente accettato.

Alberto Cara L’ho accolto subito con entusiasmo! Mi è piaciuta l’idea di mantenere vivo il teatro attraverso una nuova produzione e di lavorare con dei colleghi che conosco e apprezzo dal punto di vista professionale e umano. E mi è anche piaciuta la volontà di innovare le forme del racconto dell’opera attraverso l’uso di nuovi mezzi espressivi, cosa che coincide perfettamente con le mie ricerche degli ultimi cinque anni.

Cristian Carrara Ho preso con questa proposta con grande slancio. Mi è parsa subito un’idea originale ed intelligente. Un’idea che poteva dire qualcosa di nuovo, senza voler per forza dar vita a qualcosa di alternativo al “teatro dal vivo”. 

Federico Gon Ho pensato “Non so come si possa fare una cosa del genere, però trattasi di opera, opera buffa, e di farla in un periodo buio per tutti noi: ci sto!”. Solo in un secondo momento ho riflettuto sul fatto che ci stavamo imbarcando in un’operazione mai tentata prima (e lo dico senza boria, ma solo con cognizione di causa) nell’intera storia della musica. Le opere a più mani sono sempre esistite, ma non erano fatte al computer!

Come vi coordinate fra compositori e con gli altri artisti (libretto, regia, drammaturgia, cantanti...)?

FB Tramite videoconferenze sul web, ed è talmente difficile comprendersi che ognuno di noi si sforza spasmodicamente di capire tutti gli altri: ne risulta un bagno di buona volontà che fa solo bene , al netto dei fraintendimenti che ogni tanto generano qualche esilarante malinteso…

AC Nell’unico modo possibile: attraverso Skype, o altre piattaforme da Alienati.

CC Ci sentiamo spesso, ci confrontiamo. La cosa originale è che ognuno scrive prendendo spunto dalle idee musicali degli altri. E’ interessante questo modo di lavorare. Sviluppare le idee di un altro compositore, comporta esercizio di umiltà e di grande attenzione a rispettarne le intenzioni. 

FG Il team del Coccia è assai bravo in questo: coordina date, incontri, scalette etc… Noi compositori abbiamo un gruppo WhatsApp per ogni problematica da risolvere al volo, poi ci sono i videoincontri, etc…Tutto molto lineare e ben organizzato.

Cercherete una sorta di omogeneità stilistica o, viceversa, lascerete libero sfogo a linguaggi diversi?

FB Siamo compositori diversi, ma le nostre estetiche presentano dei punti di contatto, mi pare. Cercare oltre questo un’omogeneità stilistica non so quanto possa essere produttivo, io ho preferito l’autenticità, e penso che abbiano fatto così anche gli altri.

AC Assolutamente no! Libero, liberissimo sfogo.

CC Nonostante ognuno lavori su temi di altri colleghi, ogni compositore ci mette del suo e non rinnega il proprio linguaggio. L’unità e la particolarità di questo lavoro sta proprio nella sua varietà. Ogni brano scritto da un compositore trova rimandi in quelli scritti dagli altri ma, ognuno, mantiene il proprio linguaggio. 

FG Non credo. Siamo cinque compositori diversi ma tutti, diciamo, attenti alla comunicazione. Ergo, non credo ci saranno grosse differenze da quel punto di vista. Però si, ognuno ha la sua anima, e ha scritto musica secondo i propri principi. L’unico punto in cui ci siamo realmente confrontati per un’omogeneità è l’Overture: abbiamo deciso di scrivere 30 secondi ognuno, quindi per forza abbiamo dovuto pensare a cosa faceva l’altro.

Che sfide pone per il compositore questa drammaturgia aperta, per blocchi mobili e riassemblabili in storie diverse? E la prospettiva di passare dalla forma “smart working” all'esecuzione teatrale?

FB Io penso che se ci fosse stato un unico autore costui sarebbe diventato matto: meglio lasciare cose diverse ad autori diversi, a beneficio della varietà in un’operazione “Frankenstein” che peraltro nella storia non è per niente nuova. L’esecuzione dal vivo in forma scenica non so come sarà: mi lascerò sorprendere dalle soluzioni registiche che verranno finalmente adottate, e non credo che ciò comporterà modifiche sostanziali alla musica.

AC Nessuna sfida. La sfida è più che altro per gli autori del testo. Quello che invece mi incuriosisce di più è vedere come un altro compositore ha fatto agire musicalmente uno dei miei personaggi.

Riguardo all’esecuzione teatrale, il compito più difficile sarà affidato alla regia.

CC Rende questo lavoro molto duttile e fruibile in molti modi. Il fatto stesso che la versione “smart working” poi possa essere eseguita su un palco vero, dimostra come si possano produrre opere adatte a varie occasioni e modulabili. Insomma, nulla di diverso da ciò che la storia della musica ci insegna.

FG Beh, un compositore lavora sempre in modalità “smart working”, seduto sul pianoforte o sulla scrivania di casa sua. La drammaturgia aperta è nuova, si, ma paragonabile a un videogame o a un librogame, cose che oggi, nel 2020 hanno 40 anni, quindi appartenenti all’universo di molti spettatori. Abbiamo fatto un crossover (parola orrenda).

Nella conferenza stampa si è parlato anche di un artigianato compositivo antico. Viene in mente il vero significato dell'abusata citazione di Verdi “torniamo all'antico e sarà un progresso”: la storia, la memoria, le competenze del passato servono per costruire il futuro. E' anche questa la filosofia del vostro lavoro?

FB Beh naturalmente: questa complessa operazione riporta in vita una specie di bottega in cui tutti lavorano allo stesso progetto in relazione alle proprie competenze, in modo molto diverso dalla pratica tardo ottocentesca del compositore che sceglie il soggetto, compone l’opera, la dà a un editore che si preoccupi delle rappresentazioni… Non so se stiamo tornando all’antico, né se sarà un progresso: da una parte penso che un certo modo di lavorare non sia né antico né moderno, ma sia stato sempre attuale, dall’altra il tangibile entusiasmo con cui drammaturgo, librettista, compositore, cantante, regista, costumista, pianista, tecnico del suono e personale del Teatro stanno collaborando è testimonianza soprattutto di una voglia di fare qualcosa assieme che la pandemia pare abbia reso particolarmente acuta: ex malo bono, ogni tanto.

AC Si è lavorato all’antica solo nel rapporto ravvicinato (ma a distanza) coi cantanti: non capita quasi mai di poter lavorare su un cast già definito (e che cast!) e quindi di avere la possibilità di creare tenendo presenti le peculiarità vocali e attoriali dei cantanti. Più che “tornate all’antico e sarà un progresso”, mi piacerebbe una frase come “guardatevi intorno e sarà un progresso”: spesso chi crede di anticipare tempi nuovi è intento a fissare il proprio ombelico, e mentre lo fissa non si accorge che, intorno a lui, i tempi nuovi sono già cominciati.

CC Il compositore è innanzitutto un artigiano, e per questo è un artista. Il concetto di artigianato fa apparire il compositore per quello che è: una persona che ordina dei suoni in maniera da renderli “speriamo” piacevoli. Ispirazione e tecnica. E tanto lavoro. Nessuna idea musicale nasce perfetta, ha bisogno di essere rifinita continuamente. 

FG Del mio lo è sempre. Da storico della musica non riesco a scindere l’eredità del passato con la necessità di comunicazione del presente. E in questo, la componente artigiana, ossia di relazione con l’ascoltatore, è essenziale. Dico sempre una frase che Thomas Mann diceva di sé: io costruisco mobili, e i mobili, prima che “belli”, devono essere “solidi”.

Nessun direttore, se ho ben capito: il compositore lavora direttamente sulle basi e con i cantanti. Anche questo sembra un retaggio antico del compositore al cembalo alla prima! Come realizzate la parte strumentale e come lavorate con la voce?

FB Questa è una tematica interessante, perché lavorare a distanza pone dei problemi tecnici per nulla irrilevanti. No, nessun direttore, funziona più o meno così, ed è piuttosto complesso: i cantanti ricevono un pdf con la musica e dei file audio con suoni elettronici, cioè simulazioni di supporto per imparare la parte, visto che non possono provare col pianista come usualmente; i cantanti sono tutti muniti di software per registrazioni multitraccia, e registrano la propria parte sopra questa “base” elettronica, in varie versioni, scambiando opinioni con compositore e regista. Si arriva quindi a un risultato ottimale per quanto riguarda la voce, e a questo punto entra in gioco la preparazione di una “base” definitiva da sostituire a quella elettronica, con tutti i problemi di sincrono che avremo da superare. Il processo è assai laborioso e lungo, ma gli effetti si stanno vedendo. Realizzato l’audio si passa alle registrazioni video, e si apre tutto un altro capitolone…

AC No, nessun direttore, per ora. A cosa servirebbe?

Mandiamo ai cantanti un rendering audio del nostro cantopiano, ottenuto da un software per l’editing musicale. Loro incidono la parte vocale. Poi mandiamo la registrazione al nostro fonico perché ne verifichi la qualità. Non c’è nulla di morto, robotico: ogni parte viene eseguita da bravissimi musicisti e poi missata da un tecnico audio.

CC Ogni partitura dovrebbe, in effetti, avere la fortuna di essere provata e migliorata grazie al lavoro con i musicisti e con i cantanti. In questo caso è stato così, almeno per i cantanti. Abbiamo potuto scrivere di concerto con i cantanti, migliorando ciò che non andava bene o che non si adattava a quello specifico colore vocale. 

FG Qui ho avuto i problemi più evidenti, essendo io e la tecnologia due rette parallele che non si incontrano neanche all’infinito. Però problemi dal punti di vista tecnico, di uso dei software, perché come dici bene, la modalità è la stessa delle prove al cembalo, con i cantanti che chiedono puntature, abbassamenti, rallentando, corone, etc… solo che tutto, poi deve essere fissato non su carta ma su file audio.

Centocinquant'anni fa, in Francia, debuttava il Theatrophone (che non piaceva a Verdi, ma aveva Proust fra i suoi abbonati), nel secolo scorso si sono scritte opere espressamente per la radio o la televisione. L'opera è spesso vista come qualcosa che appartiene a un mondo passato, eppure ha sempre avuto un rapporto strettissimo con la tecnologia. Da compositore come vede oggi questo rapporto fra artigianato e innovazione, fra reale e virtuale?

FB 

In generale penso che vada bene tutto, che si possa fare tutto, e che la tecnologia permei ogni espressione umana e dunque anche la pratica musicale. Ma qual è mai il problema, nell’uso della tecnologia? La tecnologia è uno strumento che può essere usato in molti modi diversi, non bisogna dimenticarlo: noi stessi, in questa esperienza, ci siamo dovuti confrontare con le possibilità realistiche date da tecnologia e lock down, ma nelle scelte, e questa è la cosa più importante, siamo sempre stati guidati dalla volontà, dalla necessità di raggiungere il risultato musicalmente più apprezzabile, compatibilmente con la situazione. Una sfida interessante sui cui esiti il pubblico potrà fra poco giudicare. Che l’opera poi appartenga a un mondo passato è una grande falsità, forse alimentata anche dalla constatazione che il suo pubblico è tradizionalmente piuttosto attempato. Però un attimo: non cercherò di negare che nel corso del Novecento il focus si sia spostato su altre forme di comunicazione, con conseguente drastica perdita di centralità e popolarità (acquisita invece dal cinema); occorre poi doverosamente notare che l’albero ha senso di esistere se è vivo e produce ancora rami, foglie, frutti, altrimenti è condannato a divenire museo. Questo processo è quasi del tutto compiuto, ma forse non è irreversibile: l’opera, se un futuro ce l’ha, deve necessariamente ricominciare a servirsi di una qualche koiné a livello musicale, a livello di taglio degli argomenti e a livello di linguaggio del testo (poiché va bene che il Teatro è sempre e comunque astrazione, finzione e artificio, ma ambientare Traviata sulla Luna, faccio per dire, e poi sentire “Di Provenza il mare e il suol”, come può essere tollerato?). Io sono un sognatore, e affermo che questa koiné esiste e che bisogna solo lasciarla parlare: è ad essa che faccio riferimento nel momento in cui immagino la mia musica. Quanto alle parole artigianato/ innovazione, reale/virtuale, queste dicotomie sono solo apparenti: l’innovazione è il contrario dell’artigianato solo nel momento in cui le estetiche impongono un’opera d’arte concettuale deprivata del valore della fattura in quanto portatrice di senso (e relegando così l’opera al museo fin dalla sua nascita). Aggiungo che la parola “artigianato” evoca un repertorio fantasmagorico di possibilità che ci vengono dal passato le cui combinazioni, sono convinto, non sono ancora state tutte esperite e aspettano solamente di essere scoperte. Il reale, infine, non è contrapposto al virtuale: quanti di noi non rimpiangono le commedie che venivano date alla televisione un giorno alla settimana fino agli anni Settanta/Ottanta? Erano in realtà messinscene teatrali filmate, quindi “virtuali” per antonomasia, ma non è che non si potessero apprezzare la reale profondità di una recitazione, la reale pregnanza di una lettura registica, la reale complessità e la validità di un testo. Anche in una messinscena virtuale.

AC L’innovazione è necessaria. Formale e contenutistica. L’opera appartiene al passato né più né meno di ogni altra forma d’arte. Credo che l’opera avrà un futuro solo se si investe su cose nuove, come questa.

CC Immaginare come scrivere Opera per il nostro tempo è la sfida dei compositori d’oggi. L’Opera non è morta, ma, per quanto riguarda le composizioni d’oggi, subisce, giustamente, gli stimoli della contemporaneità. Accettare questa sfida, a mio avviso, è l’unico modo per dar vita ad un teatro musicale contemporaneo capace di aprirsi a tutti, senza rinchiudersi in una torre d’avorio che lo destinerebbe alla scomparsa.

FG Devo essere sincero: non vedo l’ora che si torni in teatro. “Alienati” resterà – bella brutta che sia – come testimonianza di questo periodo orrendo che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, e la fortuna è quella di aver lavorato tra amici, per farci e far fare al pubblico una risata. Però il luogo dell’opera è il teatro, la performance dev’essere dal vivo: in un’epoca in cui tutto è mediato (dal cinema, alla televisione, all’ascolto musicale tramite radio, cd, podcast, Ipod etc…), l’opera rappresenta un ancora di salvezza per la nostra “naturalità”: siamo animali, non robot, ricordiamocelo.

 


 

 

 
 
 

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