L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il ritmo di Vivaldi

di Roberta Pedrotti

Il violinista Alessandro Tampieri è uno degli interpreti di spicco della Vivaldi Edition che l'Accademia Bizantina sta registrando con Naïve. In occasione anche dell'uscita di un nuovo CD di concerti vivaldiani (leggi la recensione: CD Vivaldi, Concerti per violino) gli abbiamo posto qualche domanda a partire dal suo rapporto con la musica del Prete Rosso.

Con questi concerti arriviamo al sessantaduesimo volume della Vivaldi Edition, a novant'anni esatti dall'acquisizione del fondo vivaldiano da parte della Biblioteca nazionale di Torino. Ci può raccontare il suo viaggio con l'Accademia bizantina nell'integrale del Prete Rosso? È cambiata in qualche modo la sua visione di questa musica? Quali sono gli elementi che più l'hanno colpita sia nell'evoluzione dello stile nel corso della sua vita, sia nei diversi generi teatrali, concertistici, sacri, strumentali e vocali?

Il mio viaggio nella Vivaldi Edition inizia parecchi anni prima del coinvolgimento di Accademia Bizantina in questo progetto, a partire già con il volume 5 dove, tra l’altro, compaio per la prima volta come suonatore di di viola d’amore.

A ben pensarci, con 10 dischi registrati a vario titolo e in vari ruoli, potrei essere forse tra i musicisti più presenti in tutta la Vivaldi Edition!

Con la musica di Vivaldi ho sempre avvertito una grande affinità e grande coinvolgimento.

Mi spiego: sono molto attratto dall’energia scaturita da qualsiasi forma ritmica, e trovo affascinante il rapporto che c’è tra ripetizione e variazioni ritmiche. Vivaldi è un compositore decisamente ritmico e il suo stile mi ha conquistato fin dalle mie prime esperienze musicali.

Il suo modo di  prendere in considerazione l’elemento ritmico ha una consapevolezza decisamente superiore ai compositori della sua epoca.

E’ risaputo che si ha la tendenza a cercare (e alla fine anche a trovare) nell’oggetto del proprio studio un riflesso di se stessi e questo accade anche in musica.

Non c’è niente da fare: siamo strettamente legati al nostro tempo, alla contingenza, e un discorso di ricerca storica (e filologica), per quanto rigoroso e intellettualmente onesto, non riesce ad esserne completamente affrancato.

Io cercavo energia ed espressione ritmica e l’ho trovata in Vivaldi rielaborata, con opportune e sapienti variazioni, in tutti i generi musicali, dal teatro al sacro, dallo strumentale al vocale, con ibridazioni spesso molto interessanti.

Quasi un secolo di Vivaldi renaissance: uno dei compositori più popolari in assoluto, come nome, ma di cui fino a qualche lustro fa si tendevano a eseguire quasi solo Le quattro stagioni. Anche dal punto di vista dell'interprete – e dunque quanto a prassi esecutiva e stile – quanto è cambiato? Che effetto le fa ascoltare esecuzioni storiche con grandi orchestre di stampo romantico o tardo romantico, virtuosi solisti anche eccellenti ma d'impostazione moderna?

Non sono mai stato un fanatico delle esecuzioni filologiche come rappresentazione perfetta di ciò che è stato, principalmente perché la cosa è impossibile da attuare e soprattutto perché non interessa alla mia idea di musica; ma credo sia un atteggiamento insensato rifiutare a priori le profondissime riflessioni che lo studio della filologia, dell’organologia degli strumenti musicali e della prassi esecutiva ci ha dato in questi decenni.

A volte si tratta di indicazioni chiare e facilmente applicabili su come potesse essere un’esecuzione, a volte i precetti sono più oscuri e complessi. In ogni caso trovo che  il movimento pionieristico delle esecuzioni “con strumenti originali”, di cui io sono stato testimone nella suo ultima parte di formazione, sia stato uno dei più interessanti e ricchi contributi alla storia dell’esecuzione musicale.
Detto questo, ci sono esecuzioni storiche che, benché paghino il loro non conoscere i criteri  filologici dell’interpretazione, mi piacciono molto, perché cercano nella loro interpretazione di rendere una verità sincera nei confronti della musica e dell’energia che il discorso musicale suggerisce.

Questo lo apprezzo molto e, in questo caso, poca importanza ha l’articolazione non corretta, lo strumentario non ortodosso, il vibrato forse eccessivo o altre cose percepibili dagli addetti ai lavori.
Altre esecuzioni sono figlie cieche del loro tempo e cercano di scimmiottare gesti e slanci musicali senza comprenderne l’essenza. Questo, ovviamente, mi interessa un po’ meno.

Questi concerti risalgono agli ultimi mesi di vita di Vivaldi e sono pagine di straordinario interesse: ci vuole raccontare quali sono dal suo punto di vista le caratteristiche salienti, le maggiori difficoltà, le peculiarità nel corpus dell'autore e gli elementi più riconoscibili del suo stile.

Sicuramente ci troviamo di fronte a concerti scritti per esecutori “molto più che abili”!

Forse non raggiungono la difficoltà di un Locatelli nei suoi Capricci, ma ci troviamo di fronte ad una scrittura dove il violino viene spesso spinto ai sovracuti, e la varietà dei colpi d’arco e della velocità di scrittura è molto virtuosistica.
Tutti i movimenti iniziali, ad esempio, sono costituiti sempre da quattro ordini di velocità (in genere semiminima, croma, semicroma e biscroma). L’effetto è sempre eccitante perché si inizia lentamente e progressivamente il ritmo si fa sempre più frazionato e incalzante.

Trovo interessantissimo l’uso delle convenzioni delle arie teatrali, qui applicati al violino,  la grandissima cantabilità in acuto e l’uso di  situazioni che sembrano quasi romantiche o verdiane (come l’andante ma poco del Concerto RV 367).
L’accompagnamento nei soli è spesso affidato a tutti i violini e viole all’unisono, un po’ come faceva Tartini. Questo rende estrema la contrapposizione tra una parte “A Solo” acuta e leggera ed un “Tutti” profondo e scuro.

Un’altra particolarità, che testimonia il fatto che ci troviamo di fronte ad un grandissimo compositore, ma sempre compositore di musiche di consumo, è l’utilizzo modelli ritmici identici nei vari concerti, declinati però a seconda della tonalità e delle esigenze espressive, come nei concerti Rv 390 in Si minore e Rv 371 in Sib maggiore: stesso stilema ritmico, stessa progressione ma diverso impianto tonale. Il risultato è estremamente interessante.

L'Accademia Bizantina è un ensemble ben rodato. In assenza di un direttore “classico” sul podio, in concerti come questi, in che modo collaborano – ed eventualmente si dividono i compiti – il violino solista e il maestro al cembalo? 

Collaborano nel modo più naturale possibile, facendo musica insieme! Casomai sarebbe la figura del direttore tradizionale ad essere fuori luogo, non solo perché questo ruolo di fatto si delinea nelle produzioni operistiche, dove il numero di esecutori, la scena e le grandi distanze lo rendono a volte necessario, ma soprattutto perché sappiamo che l’idea di direttore, così come la conosciamo, appare verso la fine dell’ottocento.

Nel caso dei concerti per violino, la collaborazione con Ottavio è stata magnifica: è stato un ispiratore, critico e consigliere, un vero coach, occupandosi dell’orchestra e lasciandomi totalmente libero di esprimermi.

La ricchissima produzione vivaldiana aveva senz'altro un notevole valore commerciale e rispondeva anche a esigenze di mercato. Lei riconosce degli elementi che, nel contesto in cui si muove l'autore, possono essere considerati “di moda” o “di consumo”? E in cosa un'ispirazione così fortunata e feconda si distingue, secondo lei, in modo tale da far si che a trecento anni di distanza l'opera di Vivaldi sia così vitale e interessante?

Sicuramente Vivaldi componeva per fornire un occasione di consumo musicale per i nobili e per i Teatri, e non è un caso che proprio Vivaldi e le sue composizioni siano al centro del libello satirico di Benedetto Marcello intitolato “Il Teatro all Moda”.
Vivaldi era in tutto e per tutto uomo del suo tempo e cercava di fare quadrare i conti e affrontare le avversità della vita e la fortuna che a Venezia, verso la fine della sua esistenza non era più così benevola.

Proprio per questo, ormai ultra sessantenne, aveva intrapreso un viaggio alla volta di Vienna dove intendeva far rappresentare le sue opere.
Dunque, un compositore tra tanti altri, ma con una serie di opere a stampa che, oltre ad essere geniali, avevano idee originali anche dal punto di vista della comunicazione e commerciale.

Penso all’idea di concepire una serie di concerti, come le  famose “Quattro Stagioni” legandoli a dei sonetti, ai  titoli accattivanti delle opere strumentali come “la Stravaganza”, “il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione”, L’Estro Armonico”: insomma, pensate da un autentico pubblicitario!

Se però devo immaginare una qualità che Vivaldi particolarmente incarna, beh questa è sicuramente la capacità di essere semplici, immediati e diretti sia verso l’esecutore che, soprattutto verso il pubblico.

Quali pensa che saranno i prossimi orizzonti della Vivaldi Renaissance?

Noi di Accademia Bizantina  siamo già ad un Vivaldi 2.0
Stiamo lavorando in questi giorni all’editing della nostra nuova registrazione vivaldiana, “Il Tamerlano o la morte di Bajazet”, un Pasticcio musicale dove le arie di Vivaldi sono circa il 60% mentre il resto sono brani di autori più di stile napoletano come Hasse, Giacomelli e Broschi.

Siamo quindi a proporre non più un Vivaldi “puro”, ma messo a confronto con altri grandi compositori del suo tempo, e l’effetto è ancora più convincente, anzitutto per la qualità delle arie del violinista veneziano, e, in seconda istanza, perché la varietà dei compositore e quindi dello stile rendono più vario e piacevole l’ascolto.

E i suoi orizzonti? Vivaldi la sta assorbendo completamente, o si sta dedicando anche ad altri progetti?

Accademia Bizantina assorbe gran parte della mia attività artistica, e assieme abbiamo un nutrito piano di registrazioni per i prossimi anni.
Tra quelli più prossimi figurano i concerti grossi di Handel (Op. 3 e Op 6) e Corelli. Corelli, in particolare, lo abbiamo registrato già molti decenni fa in  Compact Disc, e all’epoca avevamo un’altra faccia, un’altra pelle, oltre che un’altra età. Ci è sembrato giusto affrontarlo nuovamente per vedere quanto ancora abbiamo da imparare e da dare in termini di lettura musicale, energia ed espressione.

Poi ho un paio di progetti personali, solistici e cameristici, che vorrei iniziare a concretizzare. Vedremo…

A proposito di nuovi progetti. Per quanto opere e concerti dal vivo siano sospesi e anche le incisioni discografiche immagino che in queste settimane stiano subendo slittamenti, c'è qualche programma futuro a cui sta(te) lavorando e che le/vi sta particolarmente a cuore? In che modo e con quali sta e state lavorando il questo momento?

Viviamo in un tempo di sospensione e di cancellazioni, purtroppo.

In questi giorni abbiamo dovuto far slittare un progetto discografico con Andreas Scholl (grandissimo musicista e  caro amico di vecchia data), proprio per l’impossibilità di spostarsi in Germania per effettuare la registrazione.

La realizzazione di un progetto è un elemento fondamentale nel lavoro di un musicista, e ci si immerge anima e corpo finché il compito non è stato portato a termine, con un concerto o con un disco.

Eliminare, fare sparire improvvisamente, come con un colpo di bacchetta magica il motivo di una tensione e di una pianificazione che dura da mesi può portare ad uno sconforto quasi esistenziale.
Non nascondo che le cancellazioni pressoché simultanee di impegni in tutta Europa siano state un colpo alla proprio autostima, prima ancora che artistico ed economico.

Me ne sono subito reso conto e ho cercato di rispondere a questa nuova situazione come sempre, facendomi guidare dalla musica, suonando, studiando, progettando.

Ora, se i programmi discografici sono salvi e hanno subito tutto sommato poche modifiche, l’attività concertistica si è completamente paralizzata, paralizzando il lato di questo lavoro che in assoluto amo di più: la performance.

Quello di cui più avverto la mancanza è l’impossibilità di poter salire sul palco. Mi manca il piacere di suonare in uno spazio ampio e diverso da quello che è il mio piccolo studio e voglio provare quanto prima il piacere di essere a contatto con il pubblico.

Ma sono contento, perché so che ci vorranno ancora alcuni giorni, ma poi si ricomincerà, con più energia di prima ed una diversa consapevolezza!

Grazie e in bocca al lupo. Sperando di ritrovarci presto dal vivo!


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