Imbroglio alla francese
di Luca Fialdini
La nuova produzione dell’Accademia della Scala propone un riuscito allestimento del Cappello di paglia di Firenze di Nino Rota
Leggi anche la recensione di Roberta Pedrotti sul cast alternativo: Milano, Il cappello di paglia di Firenze, 18/09/2024
MILANO 14 settembre 2024 – Ci sono titoli che si lasciano nell’armadio, pronti in bell’ordine per i progetti di opera studio o accademie e Il cappello di paglia di Firenze è forse un emblema di questo destino: è pacifico che il catalogo operistico di Nino Rota sia – purtroppo – poco presente nei cartelloni lirici, tuttavia degli undici titoli il Cappello è senza dubbio quello che viene riproposto con maggior frequenza proprio perché calza così bene su progetti speciali. Vocalmente non è affatto impegnativo e i personaggi cantano poco da soli, musicalmente è piacevolissimo, senza inquietanti afrori sulfurei di avanguardie o simili, e infine il contenuto dell’opera è solo quello che vediamo sulla scena pertanto non richiede alcuna analisi rompicapo né particolari sforzi per seguire gli intrecci di questa serena commedia degli equivoci; in breve, con il suo Cappello Rota propone una piacevole serata a teatro che si distanzia notevolmente da opere buffe su cui si allungano ombre e turbamenti (come quelle della trilogia italiana di Mozart, ad esempio).
Nessun mistero per cui l’annuale produzione settembrina dell’Accademia della Scala abbia selezionato proprio questo titolo e ne siamo ben felici. Come detto, Rota è un grande assente dalle proposte teatrali e ogni occasione che possa colmare la lacuna è la benvenuta.
In effetti è la produzione stessa a segnalarsi innanzitutto per aver preso il Cappello dal verso giusto. Più che di un’opera di rango ordinario, quella proposta in partitura è un finissimo divertissement che gioca con l’oggetto operistico, in primis con un impiego chirurgico di citazioni musicali e testuali più o meno scoperte; dato il genere appare naturale che si guardi molto a Rossini (dal tema principale dell’opera desunto dall’accompagnamento degli archi di «Una voce poco fa» sino alla «villa vicino a Passy»), ma si sfrutta anche qualche addentellato malizioso, ad esempio, per richiamare l’ingresso di Alfio in Cavalleria rusticana. La natura giocosa del titolo, insieme alla sua eleganza così come alla sua naïveté, sono gli elementi principali della splendida ideazione scenica di Mario Acampa che risulta debitamente memore – ma senza caricature – dell’impronta di vaudeville della commedia di Eugène Labiche. L’impostazione visiva è davvero curata nella sua linearità ed è impossibile non apprezzare le belle scene di Riccardo Sgaramella animate dai costumi di Chiara Amaltea Ciarelli, entrambi puntano le lancette verso il primo Novecento piuttosto che verso il 1850, ma l’operazione è già nota quindi ben si sa che questo tipo di spostamento temporale funziona assai bene con la musica di Rota. Di buon effetto le luci di Andrea Giretti, mentre le coreografie firmate da Anna Olkhovaya si integrano con gusto nella scena.
Si apprezza in modo adeguato anche la richiesta di un gesto scenico che non sia mai sopra le righe, congruente di certo con l’azione ma anche con la necessità di non ostacolare il canto; forse un poco scontata la soluzione della piattaforma girevole, ma non si può non ammirare l’elegante movimento della macchina scenica durante il segmento del temporale.
Notevole la direzione di Donato Renzetti, attenta nel seguire il canto con tempi comodi ma senza mai raffreddare il clima brillante della commedia. Si respira una grande liberà sia per le voci sia per l’orchestra (beninteso, libertà di eseguire come Renzetti comanda), mettendo però al centro della questione una lettura aderentissima alla partitura da una parte conservandone i toni lievi e sereni, dall’altra lavorando intensamente sul denso impasto orchestrale, senza dubbio l’aspetto più complesso della parte musicale; a questo impulso l’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala risponde con entusiasmo e compattezza, significativamente precisa anche nei passi più scoperti; non ultimo, merita una menzione anche il violinista dell’Accademia Daniel Bossi a cui è toccata in sorte il ruolo (qui realizzato con un meraviglioso nonsense) di Minardi. Bene anche il Coro dell’Accademia preparato da Salvo Sgrò – costantemente frammentato in modiste, invitati, corteo nuziale e quant’altro – che si produce in un’interpretazione tanto corretta quanto gustosa dei numerosi interventi assegnatigli.
Il cast dei solisti, fra allievi dell’Accademia di perfezionamento e guest star, registra un risultato assolutamente positivo a cominciare dai comprimari Fan Zhou (La modista), Tianxuefei Sun (Achille di Rosalba/Una guardia) e Haiyang Guo (allievo dell’Accademia, interprete di Felice).
Parlando proprio degli allievi dell’Accademia scaligera, si apprezza il Caporale delle guardie di William Allione, mentre Dilan Şaka offre una Baronessa di Champigny tratteggiata con carisma unitamente a una curata linea vocale. Molto riuscito il goffo e intemperante Beaupertuis di Chao Liu di cui si applaudono sia la realizzazione vocale sia i tempi comici, così come si mostra più che valido il burbero Emilio portato in scena da Wonjun Jo, convincente nella recitazione così come nel timbro brunito; bene María Martín Campos come Elena, anche se i picchiettati del terzo atto – cioè l’unica cosa un po’ più tecnica del ruolo – potrebbero essere più sicuri. Irresistibile il Nonancourt di Xhieldo Hyseni, di cui colpisce in particolare lo strumento solido, dal timbro scuro, che vanta una bella proiezione del suono; ottima Greta Doveri nel ruolo di Anaide, del tutto a suo agio sulla scena e sicura allo stesso modo nel controllo vocale, l’unica cosa di cui ci si può rammaricare è che la si sarebbe voluta ascoltare di più.
Completano il cast due ex allievi dell’Accademia stessa: Paolo Antonio Nevi, che firma uno Zio Vézinet contraddistinto da una singolare levità umoristica e a cui concede qualche passo sopra le righe, e Andrea Tanzillo titolare del corposo ruolo di Fadinard, il protagonista maschile, su cui grava lo stesso peso della Susanna mozartiana ossia di essere quasi sempre in scena. Tanzillo si disimpegna egregiamente in virtù di una buona espressività, inoltre dimostra di avere abbastanza mestiere da avere sempre sotto controllo le diverse situazioni imposte dal libretto.
I lunghi applausi e la grande affluenza nonostante si sia già alla quarta recita testimoniano la buona accoglienza da parte del pubblico di una produzione senz’altro riuscita e che, en passant, porta di nuovo un pezzetto del Rota operistico al Piermarini.