NOTE DEL DIRETTORE
Testo di Alessandro Bonato
Nel momento in cui si affronta una partitura come Norma ci si rende subito conto di essere di fronte ad una pietra miliare del repertorio operistico, nonché, a mio avviso, ad una delle opere più complesse in assoluto.
E la complessità deriva dal fatto che Norma non è chiaramente catalogabile e inscrivibile in un preciso contesto semantico. Essa è infatti una sorta di congiunzione tra un “prima” e un “dopo”: richiama per molti aspetti la nitidezza della scrittura e della forma tipiche del periodo classico, ma allo stesso tempo evoca la forza drammatica (il pianto su tutto) e lo spirito di guerra, ribellione e vendetta che ritroveremo in autori come Verdi o Puccini.
Ho riflettuto molto a fondo su tre aspetti principalmente.
Il primo è la quasi totale assenza di tempi lenti: ci sono, infatti, solo due “Largo” in tutta l’opera, quasi a voler indicare un’azione drammatica vorticosa, come a non voler prendere fiato, dove non si ha il tempo di somatizzare un avvenimento che subito ne accade un altro a destabilizzare. Una sorta di turbinìo emozionale nel quale si entra all’inizio e si esce solo alla fine, senza respiro.
Il secondo aspetto è la meticolosità con cui Bellini descrive le agogiche; abbiamo infatti almeno sette tipi di “allegro”: assai, moderato, molto, marziale, maestoso, agitato, agitato assai (che è anche l’indicazione più frequente nell’opera assieme al “moderato”, anch’esso puntualmente differenziato in grave, sostenuto, sostenuto assai, marcato, ecc…). Questo mi fa pensare che, in questo vortice drammatico e pur nella velocità, ogni affetto deve essere ben distinto da quello precedente e successivo: ogni azione deve necessariamente avere il proprio pathos, specifico e univoco.
Il terzo punto che mi ha colpito è l’uso delle tonalità, in particolare quella maggiore, universalmente riconosciuta come solare, allegra, vivace. Bellini usa la tonalità maggiore in momenti dove non mi sarei mai aspettato, ricchi di negatività, di barbarie, di menzogna, come a voler indicare che, sotto sotto, in una azione spregevole c’è sicuramente chi soffre, ma anche chi, nell’averla compiuta, ne guadagna qualcosa (o almeno così pensa).